DA QUESTA CASA NEL SECOLO XIV TADDEA CARRARA MOGLIE DI MASTINO II DELLA SCALA FECE OSPIZIO DI TROVATELLI _______________ QUI A 25 LUGLIO 1846 MORÍ IL FISICO GIUSEPPE ZAMBONI INVENTORE DELL'ELETTRO MOTORE PERPETUO. Veronesi illustri

Una targa per due: Taddea da Carrara e Giuseppe Zamboni


In via Pietà Vecchia 2 a Verona (di fronte alll’entrata disabili del Duomo)

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DA QUESTA CASA NEL SECOLO XIV TADDEA
CARRARA MOGLIE DI MASTINO II
DELLA SCALA FECE OSPIZIO DI TROVATELLI
_______________

QUI A 25 LUGLIO 1846 MORÍ IL FISICO
GIUSEPPE ZAMBONI INVENTORE DELL’ELETTRO
MOTORE PERPETUO.

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 DA QUESTA CASA NEL SECOLO XIV TADDEA CARRARA MOGLIE DI MASTINO II DELLA SCALA FECE OSPIZIO DI TROVATELLI _______________  QUI A 25 LUGLIO 1846 MORÍ IL FISICO GIUSEPPE ZAMBONI INVENTORE DELL'ELETTRO MOTORE PERPETUO.

Taddea da Carrara

Nel 1328 sposò Mastino II della scala, figlio del famoso Cangrande cui Dante dedicò il Paradiso.
Pare infondata la notizia della targa: la Domus Pietatis cui si allude venne fondata solo nel 1425-26. L’errore è dovuto al fatto che l’edificio un tempo era di proprieta degli scaligeri.

Taddea da Carrara

di Fabio Carlo Sansoni

“Marsilio da Carrara segretamente adunque spedì a Cane, Filippo da Peraga offrendogli il dominio della città di Padova purché Mastino della Scala, di lui nipote,  sposasse Taddea da Carrara figliuola di Jacopo* già Signore di Padova…”
*dal volume di L.A.Muratori pgg.155-156

Sul finire del secondo decennio del XIV secolo, la potente famiglia dei Carraresi, in particolare Jacopo Da Carrara, si avviava a conquistare la signoria di Padova.
Erano però anche gli anni in cui Cangrande della Scala, dopo aver conquistato Vicenza, cominciava ad attaccare Padova, che cercava di difendersi affidandosi alla forza di Jacopo da Carrara e rinunciando alle proprie libertà comunali. I padovani consideravano Jacopo più adatto a trattare con il signore di Verona, poiché aveva spiccate doti diplomatiche. Nel 1324 Jacopo da Carrara morì e le mire espansionistiche di Cangrande diventavano sempre più decise. In effetti Cangrande era stanco di guerreggiare contro i padovani: le continue lotte contro la città guelfa gli erano costate parecchio e accolse positivamente le proposte diplomatiche di Marsilio da Carrara. Marsilio propose al signore di Verona di far sposare la figlia di Jacopo, Taddea da Carrara, con il giovane Mastino, nipote di Cangrande. Parte del patto era che, una volta caduta la città in mano scaligera, Marsilio avrebbe tenuto per sé i beni dei fuoriusciti dato che Cangrande aveva già pianificato di posizionare uomini della sua corte nel governo cittadino padovano.
Mastino della Scala andò segretamente a Venezia dove sposò Taddea senza grandi cerimonie, poi sobillò dei popolani fino a spingerli a invocare la sua presenza in Padova ed in breve gli stessi padovani rappresentati dal Consiglio della Città vollero Cangrande come loro Principe. Cangrande potè quindi entrare trionfalmente in Padova e le famiglie a lui contrarie furono esiliate e i loro beni divennero parte del già enorme patrimonio di Marsilio da Carrara. Tra questi esuli c’era anche lo storico Albertino Mussato, noto cronista dell’epoca, il quale osò rientrare in Padova senza permesso e fu mandato al confine, a  Chioggia, dove nel 1325 morì. Dopo la conquista di Padova, Mastino II della Scala e Taddea da Carrara si poterono sposare ufficialmente con una solenne cerimonia nuziale. Cangrande fece ritorno a Verona e alla fine di novembre volle festeggiare la sua conquista e il matrimonio del nipote con un grande banchetto. I festeggiamenti andarono avanti per settimane e si narra fosse una delle celebrazioni più fastose che mai si erano tenute alla corte scaligera. Ci furono tornei cavallereschi, giostre, banchetti e spettacoli pubblici. Cangrande nominò in quell’occasione parecchi nuovi cavalieri tra i rampolli delle nobili casate di Verona, Mantova, Vicenza, Padova, Bergamo, Como, Reggio e Vercelli. (fonte)

testi di riferimento:
-“Storia della cultura veneta”, a cura di G. Folena, con la collaborazione di Berengo, Cozzi, Magagnato, Petrobelli, volume 2 – IL TRECENTO –
-Annali d’Italia dal principio dell’era volgare al 1749, di L. A. Muratori

Giuseppe Zamboni

Giuseppe Zamboni (Arbizzano, 1º giugno 1776 – Verona, 25 luglio 1846) è stato un abate e fisico italiano, padre dell’elettromotore perpetuo. Egli è infatti conosciuto come l’inventore, nel 1812, della pila a secco.

Con due di queste pile costruì un orologio custodito nel Museo di Storia dell’Arte del Comune di Modena.

Una variante dell’elettromotore di Zamboni da 140 anni si muove nel Clarendon Laboratory dell’Università di Oxford, senza che, in questi 140 anni, alcuna sorgente energetica abbia fornito energia per il mantenimento del suo movimento.

Pendolo di Zamboni

Pose un pendolo verticale sorretto da un perno, in mezzo al polo positivo e al polo elettrico negativo di due pile di Zamboni, disposte in modo che una avesse davanti il polo elettrico opposto dell’altra. L’alternanza di attrazione e repulsione elettromagnetica provocava l’oscillazione del pendolo. Zamboni cercò di costruire un orologio elettrostatico di piccole dimensioni e con un’efficienza elettrica molto alta, tale da poter essere mosso per un periodo di tempo molto lungo, senza cambiare batteria. La ricerca si dirigeva verso pile a secco, nelle quali l’acido elettrolita non poteva reagire chimicamente e corrodere gli strati di conduttore, prolungando molto la sua vita utile.

La pila di Zamboni è composta da una pila di sottili dischi di due metalli conduttori posti dentro un tubo di vetro chiuso che ha una colonna di alluminio al centro. I dischi sono concentrici a tale colonna, e sono impilati uno sopra l’altro secondo la sequenza: disco di rame/ foglio di carta commerciale (detta “carta d’argento”), a forma di disco, con strato di collante /disco di lega stagno-zinco/ disco di rame. La pila sviluppa una forza elettromotrice sufficiente da essere misurabile con un elettroscopio. I dischi non erano posti a contatto diretto con alcuna sostanza acidula o inumidita, ma come le altre pile a secco, in realtà esisteva un elettrolita, che era il collante utilizzato tra i fogli di carta commerciale e quelli di metallo. La carta commerciale manteneva i dischi di metallo isolati dall’elettrolita che non reagiva chimicamente, cessando di deteriorare la pila.

La pila rispetta la prima legge dell’effetto Volta, per la quale si sviluppa una forza elettromotrice tra metalli diversi che non dipende dall’estensione della superficie di contatto (che è molto piccola).

Le ricerche sulla pila a secco ebbero un forte impulso all’interno del dibattito sul comportamento elettrico della pila di Volta, alla domanda se questo era dovuto ad una tensione di contatto oppure ad una nuova reazione elettro-chimica.

Dal 1800 al 1840 circa furono sviluppati un considerevole numero di modelli di pile a secco, nell’intento di stabilire la natura della corrente elettrica nella pila voltaica, e in particolare di verifica l’ipotesi di Volta di una tensione di contatto. Lo stesso Volta eseguì esperimenti su pile di questo tipo.

Il primo ad annunciare la scoperta di una pila di questo tipo fu Johann Wilhelm Ritter nel 1802. Ritter costruì una pila a colonna formata da 600 dischi di zinco e rame separati da una pelle di pecora bianca e asciutta. La pila era in grado di caricare un capacitore di Jar nella stessa misura di una pila voltaica di analoghe dimensioni (contenente 600 dischi) e produceva gli stessi urti e scintille di un capacitore di Jar di analoghe dimensioni. La principale differenza era il tempo di ricarica, decisamente superiore a quello che la pila voltaica impiegava a caricare il capacitore di Jar. Dopo ulteriori esperimenti, Ritter concluse che la differenza era dovuta all’umidità presente nella pila voltaica, o ad una qualunque altra sostanza (elettrolita) che rendeva elettricamente attiva la pila, e che perciò era indispensabile una quantità anche minima di umidità, purché prodotta da un liquido che non interagisse chimicamente coi metalli.

Bibliografia

G. Zamboni, Della pila elettrica a secco. Dissertazione, Verona, Dionigio Ramanzini, 1812

G. Zamboni, Descrizione ed uso dell’elettromotore perpetuo, Verona, Tipografia Mainardi, 1814

G. Zamboni, “Sopra i migliormenti da Lui fatti alla sua pila elettrica,Lettera all’Accademia Reale delle Scienze di Monaco, Verona, Tipogafia Ramanzini ,1816

G.Zamboni,”L’elettromotore perpetuo.Trattato diviso in due parti. Verona Tipografia Erede Merlo, 1820(1°parte) 1822(2°parte)

G.Zamboni.”All’Accademia Reale delle scienze di Parigi”lettera estratta da “Poligrafo” marzo 1831

G.Zamboni, Sull’argomento delle Pile secche contro la Teoria elettro-chimica.Risposta alla nota del Dott. A.Fusineri. Verona, Tipografia Ramanzini, 1836

G.Zamboni, Sulla teoria Elettro-chimica delle Pile Voltiane al Dott.A.Fusineri.Lett.2°Tomo IV.,Bimestre 1° Gennaio Febbraio 1836. Padova, Seminario 1836

G.Zamboni, Difesa degli argomenti tratti dalle Pile secche per la teoria voltiana contro le obiezioni Sig.De la Rive. Memorie di fisica Tomo XXI,368. Tipografia Camerale Modena 1837.

G.Zamboni , Sull’elettro motore perpetuo,istruzione teorico-pratica. Verona Tip.Antonelli 1843

Collegamenti esterni 

 

Foto dell’orologio di Zamboni

l'orologio meccanico perpetuo di Giuseppe Zamboni

Foto della pila a secco di Zamboni

La pila a secco inventata da Giuseppe Zamboni