Lastrico-Moselli-e-Paci-in-MOSCHETA-veronateatronuovo Teatro Nuovo

Tullio Solenghi nel “Moscheta” di Ruzante per la Rassegna Il grande teatro


regia di Marco Sciaccaluga
di Angelo Beolco detto Ruzante
con Tullio Solenghi e Maurizio Lastrico

20-21-22-23-24 novembre 2012 ore 20.45
25 novembre 2012 ore 16.00

Due gli incontri connessi allo spettacolo: giovedì 22 alle 16.45 nel foyer del Nuovo, nell’ambito di “Invito alla visione”, Simone Azzoni parlerà di “Un meraviglioso viaggio dentro l’umanità”. A seguire, alle 17, gli attori della compagnia incontreranno il pubblico. A condurre l’incontro sarà Giovanna Zofrea.

Entrambi gli appuntamenti sono a ingresso libero. 

La seconda rappresentazione del Grande Teatro è all’insegna dell’autore padovano Angelo Beolco detto Ruzante di cui va in scena al Nuovo, da martedì 20 a domenica 25 novembre, Moscheta nell’allestimento del Teatro Stabile di Genova per la regia di Marco Sciaccaluga. Ne sono protagonisti due affermati attori: Tullio Solenghi e Maurizio Lastrico affiancati da Barbara Moselli ed Enzo Paci. Giovedì nel foyer del Nuovo l’incontro con il pubblico.

 

Autore, opera e regia

«Uno straordinario teatrante della mia terra, poco conosciuto…anche in Italia. Ma che è senz’altro il più grande autore di teatro che l’Europa abbia mai avuto nel Rinascimento prima ancora dell’avvento di Shakespeare. Sto parlando di Ruzante, il mio più grande maestro insieme a Molière: entrambi attori-autori, entrambi sbeffeggiati dai sommi letterati del loro tempo.

Disprezzati soprattutto perché portavano in scena il quotidiano, la gioia e la disperazione della gente comune, l’ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia». Quest’appassionata difesa e nel contempo sconfinata ammirazione nei confronti di Angelo Beolco (detto Ruzante, di cui non è sicura la data di nascita che tuttavia si attesta attorno al 1496 mentre la morte è datata 1542) appartiene al premio Nobel Dario Fo.

In effetti, nel corso dei secoli, l’immagine del drammaturgo padovano e la sua fortuna hanno conosciuto momenti alterni. Ritenuto autore “tutto istinto” da molti studiosi, oggi è unanimemente considerato “colto”. Ne sono testimonianza le citazioni e i riferimenti contenuti nelle sue opere. Scritta tra il 1527 e il ’31, La Moscheta deve il titolo al “parlar moscheto”, come viene definita, in modo dialettale, la lingua cittadina più raffinata rispetto al dialetto contadino pavano di solito utilizzato da Ruzante.

L’opera mette a confronto due mondi opposti tra loro: quello rozzo e ruspante dei contadini e quello più affettato ma spesso più infido di chi vive in città. E non è certo quest’ultimo che ne esce alla meglio perché se il dialetto della classe contadina è usato da chi è vittima di inganni, le parlate forbite (tra cui il moscheto, appunto) sono appannaggio di individui furbi e imbroglioni. Per rendere lo spettacolo fruibile a tutti, il testo è passato al vaglio del regista Gianfranco De Bosio (grande estimatore di Ruzante e artefice, negli anni Cinquanta, della sua riscoperta) che lo ha opportunamente adattato limandone le asperità.

La Moscheta, sottolinea il regista Sciaccaluga, mette in scena «i nostri vizi, le nostre vigliaccherie, la nostra sessuomania, l’intelligenza utilizzata male, la furbizia che diventa ladrocinio. In quest’arcaica favola riluce tutto il fango del nostro Paese e ci fa molto ridere di noi stessi».

Trama

Menato lascia la campagna per raggiungere a Padova la moglie del contadino Ruzante, Betìa che era stata sua amante e della quale si dice tuttora innamorato. Respinto dalla donna, Menato pensa di riconquistarla facendola litigare con il marito. Racconta dunque a Ruzante di aver viso Betìa accettare le lusinghe amorose di uno sconosciuto.

In realtà, la donna è attratta da Tonin, un soldato bergamasco suo vicino di casa. Quando Ruzante le si presenta travestito da “spagnaruolo” e la corteggia parlando in lingua moscheta, Betìa cede alle galanterie fingendo poi di averlo riconosciuto quando il marito la insegue minacciandola di morte. Da simili premesse, scatta un gioco di bravate e vendette che coinvolge i tre uomini nel tentativo di conquistare, ciascuno a modo suo, la bella donna. Ma Betìa non si fa scrupolo di passare dalle braccia del ruvido Tonin al letto del furbo Menato riuscendo anche a tenersi in casa il marito.

 

Vendita biglietti al Teatro Nuovo, tel.0458006100 e tramite circuito GETICKET. Prosegue anche l’iniziativa TeatroUnder26 promossa dal Teatro Stabile di Verona con il contributo della Fondazione Cariverona: i giovani dai diciotto ai ventisei anni che vivono, lavorano o studiano a Verona, potranno vedere lo spettacolo con soli 3 euro.

L’agevolazione tariffaria è subordinata al possesso di una Card nominativa che può essere richiesta gratuitamente al Teatro Nuovo. Per la disponibilità dei biglietti consultare il sito www.teatrounder26.it