Ruth Baettig: “Mi sono perso” in Via Stella a Verona
In via Stella si può vedere la targa “Mi sono perso”, datata 10 settembre 2010, segno del passaggio dell’artista Ruth Baettig a Verona
Viaggio in Italia
Ruth Baettig ha colto con un viaggio in Italia l’occasione offerta dalla Fondazione Pfeiffer di adoperare un camper (Pfeiffer Mobil) per due mesi. Ha prodotto tre lavori artistici:
– “Auch ich in Arkadien”: lungo il percorso di andata del viaggio in Italia di Goethe, una serie di fotografie ripetono le inquadrature delle cartoline con l’inserzione di un personaggio vestito di bianco, figura da tempo presente nei lavori performativi dell’artista.
– “Souvenirs”: tutte le cartoline non utilizzate nel lavoro fotografico vengono bucate con un foro di due centimetri e timbrate con la scritta “Mi sono perso”, quindi spedite ad amici e centri d’arte.
“Mi sono perso”: quindici targhe in ottone sono affisse lungo il percorso di risalita dell’Italia dalla Sicilia alla frontiera svizzera. Sulle targhe compare la scritta “Mi sono perso” con la data in caratteri romani – i quindici giorni dispari del mese di settembre 2010. I luoghi prescelti per l’affissione sono strade il cui nome è particolarmente suggestivo, degno di un’esperienza.
“Mi sono perso”
Via Siracusa 95 | Via Paradiso 1|Corte degli Angeli 15 | Sabbiadoro |Via Amore 19 | Via S. Fortuna 2 |Piazza Miracoli 39 |
Via della Luce 51 | Via dei Cerchi 2 |Piazzetta del Limbo 8 | Via Stella 18|
Corte dello Zucchero 2637 |
Via del Prosecco 3 |
Via Abbondanza 31 |
Via Semplicità 3
«Auch ich in Arkadien. Anch’io in Arcadia: questo il proposito e il sottotitolo del Viaggio in Italia di Goethe. Nient’altro che la formulazione più precisa dell’atteggiamento turistico ancora attuale: obliterare un’immagine preconcetta – per Goethe quella dell’antichità greca e romana, del classicismo – riempire una casella prestabilita. Per poter dire poi, nel proprio salotto interiore, “ci sono stato”. La caccia alle ricchezze di pubblico dominio, per non sentirsi esclusi dalla Storia e dalla Cultura, si riduce però spesso a una collezione di clichés, ovvero a una collezione di cartoline. Le cartoline imitano le fotografie del turista che ha letto le guide turistiche, le fotografie del turista imitano le cartoline. E a ben vedere le cartoline parlano meno dell’Italia e degli italiani, e più di una storia monumentale dell’arte e di un’italianità che hanno una data di nascita ben precisa: il Settecento di Goethe. Dopo che i britannici e i francesi avevano rodato il Pittoresco nel Grand Tour italiano, i tedeschi gli avevano dato consapevolezza e scienza, fino a costruire e cristallizzare tutti quei luoghi comuni sull’Italia e gli italiani che ancora oggi costituiscono la spina dorsale del turismo italiano. Un gruppo di sguardi stranieri, tedeschi, per lo più riuniti a Roma: di qui, paradossalmente, la famosa “italianità”.
Oggi un viaggio in Italia non può prescindere da questa realtà ingombrante del turismo, ora ampiamente di massa. Non c’è percorso più “vero”, allora, di quello che segue le tracce di Goethe giù per la penisola, imitando l’attaggiamento turistico, infilandosi ad ogni pie’ sospinto dentro le cartoline, gridando quotidianamente “anch’io!”. E in quell’imitazione, destinata a essere ironica e autoironica, emerge lo spunto per una distanza, per uno sguardo critico, che decostruisce il cliché dall’interno.
Ma quello di Goethe, da tour alla caccia di conoscenza e immagini da portare a casa è diventato un vero e proprio viaggio. Il suo racconto in Viaggio in Italia è la descrizione di una sempre maggior apertura alla realtà scoperta in Italia: dalle immagini preconcette e cercate, Goethe si apre sempre più all’ esperienza di situazioni di vita che lo intercettano sul percorso verso il cuore del mediterraneo. Oggi un viaggio in Italia sulle tracce di Goethe, allora, significa anche e soprattutto sottolineare la differenza e la distanza tra atteggiamento turistico e atteggiamento di viaggio. Se il turista ha all’orizzonte il ritorno a casa in cui accumula le immagini catturate, il viaggiatore ha all’orizzonte solo l’esperienza presente a cui si dedica completamente. Il mondo del turista è un mondo prevalentemente di immagini, quello del viaggiatore è un mondo di fatti e situazioni: il suo unico dogma è l’esperienza. Esperienza a cui darsi, abbandonarsi, esperienza in cui perdersi.
C’è un momento critico di “conversione” del turista in viaggiatore: il momento del perdersi.
In questo momento il cliché va a pezzi, la cartolina è perforata, l’immagine sfondata sulla realtà presente. Perciò è una cartolina perforata il souvenir da inviare agli amici lontani: non serve da ricordo, ma da memento di un’esperienza mai catturabile.
È “mi sono perso” il motto paradossale del viaggiatore, “mi sono perso” l’annuncio della resa alla realtà.
Quando si perde l’orientamento, in realtà, si perde solo l’orientamento di un nord prestabilito, si perde l’organizzazione del viaggio pianificato, si perde la guida turistica, si perde il futuro preconizzato. Il futuro del viaggiatore riprende la sua giusta forma interrogativa. E il presente non è già proiettato allo scopo prefissato, ma riacquista la polpa della vita. Diviene certo e concreto. In quel punto il presente prende la forma di una dichiarazione iscritta su metallo perenne. “Mi sono perso”, appunto. Quando ci perdiamo, in realtà, non “siamo perduti”, non siamo affatto disperati, ma recuperiamo il senso più pieno del qui e dell’ora, e quindi anche della speranza del dopo – un dopo liberato da obblighi, libero di essere esplorato. Quando ci perdiamo, è l’occasione di scoprire davvero quanto ci tocca in quel momento e inoltrarci nel futuro prossimo, l’occasione di fare esperienza. Può capitare a via Siracusa, ma può aiutarci il gioco suggestivo dei nomi: Corte degli Angeli, Sabbiadoro, Paradiso, Amore; e poi su per la penisola ritrovata da viaggiatori: Miracoli, S.Fortuna, Luce, Cerchi, anche il Limbo, e Stella, Prosecco, Zucchero, Abbondanza e Semplicità. Queste le nuove strade quando si perde la strada prefissata. Nomi come il filo rosso di una nuova carta geografica. Una carta che non disegna il nostro cammino ma che camminando noi disegniamo».
Giuseppe Di Salvatore (fonte)