Regina Mab, Charles che scalava le piramidi
FonderiaAperta Teatro
15 e 16 aprile, ore 21.00
Spettacolo musica dal vivo
REGINA MAB
in
CHARLES CHE SCALAVA LE PIRAMIDI
Una Produzione Cikale Operose con Manzanilla Musica Dischi
Testo Originale di Paolo Ragno
Costumi di Chiara Sirignano Salomè
Realizzazione dei fondali Chiara Bonazzi
Arredi di scena di Michele Perazzoli e Gabriele Gabrizio Giuliani
Musiche originali di Regina Mab
Regia Franco Manzini
Cosa definisce un grande successo?
La durata nel tempo del nome del suo artefice, una diffusione planetaria del fenomeno, un reiterato manifestarsi nel tempo e nello spazio.
Se poi a questo uniamo l’eccellenza italiana e riuniamo tutto sotto l’egida del grande circo della finanza non possiamo che non pensare a Carlo Charles Ponzi.
Non conoscete Carlo Charles Ponzi?
Come è possibile?
Ma non vi preoccupate, siete nel posto giusto.
State per diventare ricchi, in men che non si dica.
Che dite?
Non ci credete?
È tutto falso?
È una truffa?
Ma voi siete matti: Charles ha troppi amici, Charles vivrà per sempre.
Video Gallery
I ReginaMab non hanno mai smesso di suonare. Anni impegnati a riempire teatrini off, bar, prati verdeggianti di spettacoli di teatro-canzone: con “Palle da Tennis”, “Col Sole In Fronte”, “Cinemab”, “FIOI”,“I Racconti Del Tannino” e ora l’inedito “Charles che scalava le piramidi”. E a produrre dischi “Una cosa simile…” “Rupert” “booq” e il recente “Piani di accumulo di rabbia e di coraggio”.
Galleria fotografica
I Regina Mab sono Gabriele Gabrizio Giuliani, Franco Manzini, Matteo Micheloni, Michele Perazzoli e Nicola Tonin.
sito web www.reginamab.it
Biglietto intero euro 10
Biglietto ridotto euro 8
Disabile + accompagnatore 1 ridotto + 1 gratuito.
Il teatro è senza barriere architettoniche, per il bagno, in sé accessibile, ci sono 4 scalini.
Charles Ponzi
Charles Ponzi, nato Carlo Ponzi (Lugo, 3 marzo 1882 – Rio de Janeiro, 18 gennaio 1949), è stato un truffatore italiano.
Emigrato negli Stati Uniti, divenne uno dei più grandi affaristi truffatori della storia americana.
Registrato all’anagrafe con il nome di Carlo Pietro Giovanni Guglielmo Tebaldo Ponzi, tra i molti nomi che adottò per mettere in atto le sue operazioni ci sono Charles Ponei, Charles P. Bianchi, Carl e Carlo. Dal suo nome è derivata l’espressione “Schema Ponzi” per indicare il meccanismo di truffa che ideò e che ancora oggi è in uso in numerose versioni moderne che fanno uso della posta elettronica.
Biografia
I primi anni della vita di Ponzi sono difficili da ricostruire, anche a causa della sua propensione a inventare e abbellire gli eventi. Nato a Lugo, in provincia di Ravenna, il 3 marzo del 1882, trascorre l’adolescenza a Parma, dove in seguito trova un impiego alle Poste. Si iscrive da lì a poco all’Università La Sapienza di Roma. Si inserisce in un giro di studenti che considerano il periodo universitario come una “vacanza di quattro anni”; Ponzi li segue in giro per bar e teatri. A un certo punto, a corto di fondi, abbandona l’università e si imbarca per Boston.
Arrivo negli Stati Uniti
Secondo quanto riportato dallo stesso Ponzi, arriva negli Stati Uniti nel 1903 con soli due dollari e cinquanta centesimi in tasca, dopo aver perso in scommesse tutti i risparmi di una vita durante il viaggio in nave. Impara presto l’inglese e trascorre gli anni seguenti facendo alcuni lavoretti lungo la East Coast. Alla fine trova impiego come lavapiatti in un ristorante, dove la notte dorme sul pavimento. Riesce a farsi promuovere cameriere, ma viene presto licenziato per piccoli furti e perché imbroglia i clienti sul resto.
Nel 1907 si sposta a Montreal (Canada), dove diventa consulente del Banco Zarossi, giovane banca fondata da Luigi “Louis” Zarossi per gestire i risparmi degli immigranti italiani che arrivano in città. Zarossi garantisce un tasso d’interesse del 6% sui depositi, doppio del tasso corrente, e questo consente una crescita molto rapida della banca. Ponzi scopre che in realtà la banca versa in gravi difficoltà economiche, a causa di alcuni prestiti immobiliari sbagliati, e che Zarossi riesce a pagare gli interessi non attraverso gli utili realizzati sul capitale investito, ma utilizzando i depositi dei nuovi correntisti. La banca alla fine fallisce e Zarossi fugge in Messico con gran parte del denaro.
Ponzi rimane a Montreal e, per qualche tempo, vive nella casa di Zarossi, aiutandone la famiglia. Avendo intenzione di ritornare negli Stati Uniti, cerca di racimolare i soldi per il viaggio. Alla fine, mentre si trova negli uffici di uno degli ex clienti di Zarossi, trovando un libretto di assegni incustodito, ne stacca uno intestandoselo per $423,58 e falsifica la firma di uno dei direttori della compagnia. Scoperto dalla polizia, che aveva notato le ingenti spese effettuate subito dopo la riscossione dell’assegno, Ponzi, mostrando i polsi, si afferma colpevole. Finisce in una prigione del Québec, dove trascorre tre anni come detenuto numero 6660. In una lettera dice alla madre di aver trovato lavoro come “assistente speciale” di una guardia carceraria.
Dopo il rilascio, nel 1911, decide di ritornare negli Stati Uniti, ma si trova coinvolto in un progetto di immigrazione clandestina di italiani. Viene scoperto e trascorre altri due anni in un carcere di Atlanta. Diventa traduttore della guardia carceraria, che stava intercettando le lettere del famoso gangster Ignazio “the Wolf” Lupo[1].
Lo “schema Ponzi”
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Liberato, Ponzi torna a Boston, dove incontra una ragazza italiana, Rose Gnecco, che ne rimane affascinata. Benché Ponzi non racconti a Rose del suo passato in carcere, la madre invia alla ragazza una lettera in cui descrive il passato burrascoso del figlio. Nonostante questo, Rose decide di restare con Ponzi, con cui convola a nozze nel 1918.
Nei mesi successivi Ponzi si occupa di diversi affari. Scrive una «Guida del commerciante», una sorta di vademecum per promuovere i rapporti commerciali. La guida contiene le pubblicità e gli indirizzi di una serie di inserzionisti, di tutti i generi merceologici. Il volume viene spedito agli interessati, su richiesta[3]. La Guida passa pressoché inosservata, finché alcune settimane dopo Ponzi riceve una lettera da una società spagnola che chiede informazioni in merito al volume. Dentro la busta c’è un Buono di risposta internazionale (IRC), che Ponzi non aveva mai visto prima. Chiede allora informazioni e scopre qualcosa che gli può permettere di fare molti soldi.
La busta conteneva un buono da scambiare con il francobollo da applicare alla risposta. E, dato il diverso costo della vita in Spagna rispetto agli Stati Uniti, il buono (spagnolo) valeva di meno del francobollo (americano). I buoni hanno un costo diverso in ciascun Paese ma il loro controvalore in francobolli è lo stesso dappertutto. Gli accordi postali internazionali prevedono che il destinatario non possa utilizzare i francobolli della nazione del mittente, né il mittente può, nel proprio paese di residenza, acquistare i francobolli del paese estero di residenza del destinatario. Bisogna utilizzare i buoni internazionali, che hanno la funzione di pagare i costi postali tra due persone che vivono in stati diversi, con un diverso costo della vita.
Ponzi capisce che se riceve i buoni da un paese dove costano di meno, come la Spagna o l’Italia, la sola transazione[4] può generare un profitto. 100 buoni possono originare 100 francobolli, ma se un buono spagnolo (costo in dollari = 10 centesimi) è cambiato negli Stati Uniti con francobolli da 15 o 20 centesimi l’uno, ecco che il profitto è del 50% o del 100%. L’alta inflazione del Primo dopoguerra aveva diminuito il costo dell’affrancatura in Italia in dollari statunitensi. Quindi, acquistando i buoni in Italia e scambiandoli con francobolli statunitensi, era possibile guadagnare sulla differenza.
Il sistema è dunque: inviare soldi in Italia; far acquistare da un mandatario gli IRC; farglieli inviare negli USA; scambiare gli IRC con francobolli statunitensi; vendere i francobolli. Ponzi sostiene che il saggio di profitto realizzabile, tenuto conto delle transazioni e dei tassi di cambio, è del 400%. Inoltre questa forma di arbitraggio non è illegale in quanto tale. Ponzi incoraggia amici e colleghi a scommettere sul suo sistema, promettendo loro un tasso di rendimento sugli investimenti del 50% in 90 giorni[5].
Costituisce una società, la Securities Exchange Company, per promuovere il suo sistema. Alcuni investono e sono ripagati come promesso. Si sparge la voce e gli investimenti cominciano ad affluire a un tasso crescente. Ponzi assume degli agenti e paga provvigioni molto generose.
Nel febbraio 1920, il capitale di Ponzi ammonta a $5.000, una somma abbastanza cospicua per il tempo. A marzo ha 30.000 dollari. Ponzi inizia ad assumere altri agenti per raccogliere fondi dal New England e dal New Jersey. Chi investe denaro nella compagnia in quel periodo guadagna moltissimo e questo incoraggia altri a investire i propri fondi. A maggio Ponzi ha raccolto 420.000 dollari e inizia a depositare il denaro nella Hanover Trust Bank. Una volta che il suo deposito fosse diventato grande abbastanza, spera di poter prendere il controllo della banca. Riesce nell’intento. A luglio arriva ad avere diversi milioni. Le persone ipotecano le proprie case e investono nella compagnia tutti i loro risparmi. Molti reinvestono nella compagnia tutti gli utili.
Ponzi incamera fondi a tassi favolosi, ma un’analisi finanziaria avrebbe potuto mostrare come in realtà la compagnia fosse in forte perdita. Nonostante questo, fino a quando i soldi continuano ad affluire a tassi crescenti, è possibile per Ponzi remunerare gli investitori ai tassi promessi.
Ponzi inizia a vivere nel lusso: compra un palazzo con l’aria condizionata e una piscina riscaldata, fa viaggiare sua madre dall’Italia in prima classe in una nave da crociera di lusso.
I primi sospetti
Cominciano ad avvertirsi i primi segnali del fallimento finale: un rivenditore di mobili, che ne aveva venduti alcuni a Ponzi quando questi non poteva permettersi di pagare, lo cita in giudizio per il dovuto. Ponzi vince la causa, ma le persone cominciano a chiedersi come egli abbia fatto da nullatenente a diventare un milionario in così poco tempo. Alcuni investitori decidono così di ritirare i loro fondi dalla Securities Exchange Company. Ponzi li remunera profumatamente e la corsa all’uscita dalla compagnia si esaurisce.
Di fatto, il 24 luglio 1920, il Boston Post pubblica un articolo positivo su Ponzi e il suo schema, che riesce a fare incetta di fondi come mai prima d’allora. In quel periodo Ponzi riesce a raccogliere 250.000 dollari al giorno. Ma uno dei redattori del Post, non convinto, ingaggia un investigatore per fare luce sulla società di Ponzi.
Frattanto, la Securities Exchange Company è sotto sorveglianza anche dello Stato del Massachusetts, e Ponzi incontra gli ispettori proprio il giorno della pubblicazione dell’articolo. Ponzi conta di distogliere temporaneamente i funzionari dai libri contabili della società offrendosi di sospendere la raccolta durante le indagini. L’offerta di Ponzi seda momentaneamente i sospetti degli ispettori.
Il tracollo
Ponzi nel frattempo è in cerca di un’idea per poter uscire dalla trappola dorata in cui si è cacciato, ma il tempo scorre veloce. Il 26 luglio il Post inizia la pubblicazione di una serie di articoli che pongono seri dubbi sulle operazioni della sua macchina per far soldi. Il Post contatta Clarence Barron, noto analista finanziario, per esaminare lo schema di Ponzi. Barron osserva che, nonostante i rendimenti fantastici realizzati dalla Securities Exchange Company, Ponzi non sta investendo nella società. L’analista nota poi che le attività della Securities Exchange Company avrebbero dovuto mettere in circolazione 160.000.000 di Buoni di risposta internazionale, mentre ne risultano in circolazione solo 27.000, e le Poste statunitensi affermano che non ci sono stati acquisti ingenti di buoni né in patria né all’estero. Inoltre, se è vero che il margine lordo di profitto nella compravendita di ciascun buono è enorme, gli overhead (le spese generali) che occorre affrontare per gestire l’acquisto e il successivo riscatto di tutti i buoni, ciascuno di valore estremamente basso se preso individualmente, sono tali da erodere gran parte dei profitti.
Gli articoli causano un’ondata di panico tra coloro che hanno investito nella compagnia. Ponzi risarcisce $2.000.000 in soli tre giorni alla folla assiepata davanti al suo ufficio. Ponzi esce tra la folla, discute con le persone, offre caffè e ciambelle e le rassicura dicendo che non hanno niente da temere. Molti cambiano idea e lasciano i loro risparmi presso di lui.
Frattanto, i dirigenti delle Poste annunciano un cambiamento nei tassi di conversione postale, il primo da prima dell’inizio della guerra. Tuttavia, nell’annuncio viene dichiarato che i nuovi tassi non sono dovuti a nessuno schema posto in essere da individui o società al fine di lucrare sulle differenze nei tassi di cambio.
Ponzi accumula denaro, ma solo aumentando le passività. Ad un certo punto, in un’ottica truffaldina la cosa più logica sarebbe stata quella di trasportare il denaro fuori dagli USA, dove le autorità non sarebbero riuscite a recuperarlo. Invece Ponzi resta fermo e continua a rimborsare gli investitori. Vuole sembrare il più onesto possibile e, stando alla sua autobiografia, spera sempre di riuscire a utilizzare il tesoro accumulato per iniziare un commercio legale che avrebbe generato rendimenti tali da permettergli di rimborsare gli investitori e far arricchire tutti.[6]
Nel frattempo, Ponzi aveva assunto un agente pubblicitario, un certo James McMasters, il quale presto diventa diffidente dei discorsi senza fine di Ponzi sui buoni, visto anche il fatto che Ponzi era sotto inchiesta. Va al Post, dove dice che Ponzi è finanziariamente un folle. Il giornale gli offre cinquemila dollari per la sua storia ed esce con un articolo in prima pagina il 2 agosto in cui si dichiara che Ponzi è irrimediabilmente insolvente e sull’orlo della bancarotta. Il 10 agosto gli agenti federali irrompono nella società e ne ordinano la chiusura, assieme alla Hanover Trust Bank. Non viene trovato nessuno stock consistente di buoni.
Il Post continua i suoi articoli. In uno di questi vengono mostrati la fedina penale di Ponzi e i primi piani del suo volto sorridente scattati durante l’arresto in Canada. Il 13 agosto Ponzi viene arrestato. Tra i suoi capi d’accusa si contano 86 frodi.
Nonostante tutto, molte persone credono ancora in Ponzi e se la prendono con gli ispettori federali che hanno indagato su di lui. Circa 40.000 persone avevano investito milioni nella società di Ponzi. Secondo le stime finali si tratta di circa 15 milioni di dollari (140 milioni di dollari ai prezzi del 2006).
La prigione e gli ultimi anni
Il 1º novembre 1920, Ponzi è dichiarato colpevole di frode postale e condannato alla pena di cinque anni da scontare in una prigione federale. Viene rilasciato dopo tre anni e sei mesi. Viene condannato ad altri nove anni dalle autorità del Massachusetts.
In attesa del processo di appello, paga la cauzione e una volta libero si trasferisce in Florida, dove, sotto falso nome (Charles Borelli), organizza una nuova truffa (del genere scam). Compra dei terreni a 16 dollari l’acro, suddivide ogni acro in ventitré lotti e vende ciascun lotto a 10 dollari, promettendo agli acquirenti rendimenti favolosi.[8]
Le autorità della Florida si accorgono presto dello scam organizzato da Ponzi e lo arrestano per frode, condannandolo ad un anno di reclusione. Ancora una volta, il 3 giugno 1926 Ponzi esce su cauzione e scappa in Texas, dove, rasatosi i capelli e fattosi crescere i baffi, cerca di imbarcarsi su un nave mercantile diretta in Italia. Ma il 28 giugno viene scoperto e catturato nel porto di New Orleans. Scrive un telegramma al Presidente Calvin Coolidge chiedendo di essere espatriato, ma la sua richiesta viene rifiutata e Ponzi viene rispedito a Boston per finire di scontare la sua pena.
Nel frattempo, gli ispettori governativi stanno cercando di ricostruire i bilanci di Ponzi, per capire quanto denaro avesse raccolto e dove fosse andato. Ma una stima precisa non è mai stata raggiunta.
Ponzi viene rilasciato il 7 ottobre 1934, dopo aver scontato sette anni di carcere. È immediatamente espatriato e ricondotto in Italia, non avendo mai ottenuto la cittadinanza statunitense. All’uscita della prigione una folla inferocita lo attende. Prima di andarsene dice ai giornalisti lì presenti: “Cercavo guai, e li ho trovati.”
Rose, la moglie, decide di rimanere a Boston, di non seguirlo in Italia e chiede il divorzio.[9]
In Italia, Ponzi tenta di replicare diverse volte lo schema, ma senza fortuna. Tornato a Roma, si guadagna da vivere come traduttore d’inglese. Dal 1939 al 1942 lavora nella compagnia aerea di bandiera, l’Ala Littoria, per gestire i rapporti con Rio de Janeiro. Ma, durante la seconda guerra mondiale, il Brasile entra in guerra contro l’Asse e Ponzi perde il lavoro.
Trascorre gli ultimi anni di vita in povertà a Rio, sbarcando il lunario con lavoretti. Nel 1948 ha un ictus, che gli provoca un’emiparesi sinistra e la perdita parziale della vista. Muore in un ospedale per poveri a Rio de Janeiro l’anno dopo, il 18 gennaio 1949.
Lascia un manoscritto incompiuto intitolato: The fall of mister Ponzi (La caduta del signor Ponzi).
Intervistato da un cronista americano durante il ricovero, parlando del suo schema dichiara:
« Io ho dato agli abitanti di Boston il miglior spettacolo che sia mai stato visto sul territorio dai tempi dello sbarco dei Padri pellegrini! Valeva ben quindici milioni di verdoni il vedermi mettere su tutta la baracca. » |