Philippe Daverio per i 250 anni dell’Accademia Cignaroli
Auditorium della Gran Guardia
Lunedì 22 diceembre 2014, ore 18.30
ANNIVERSARIO. Domani lo storico dell’arte alla Gran Guardia
I 250 anni della Cignaroli
Incontro con Daverio
«Amar la pittura» è il titolo che l’Accademia Cignaroli di Verona ha dato, traendo spunto da uno scritto del suo fondatore, alle manifestazioni per i 250 anni dell’istituzione che si sono aperte con la presentazione del restauro della lapide a Gianbettino Cignaroli in via Roma 6, raffinato tributo marmoreo all’artista veronese. È avvenuta il 16 dicembre, proprio nella stessa data in cui nel 1764 il doge Alvise Mocenigo informò il capitano e vice podestà di Verona che il Senato veneto aveva approvato i «Capitoli», cioè lo statuto, dell’Accademia di pittura. Qualche giorno più tardi, il 22 dicembre a Verona, il Consiglio dei XII e L («Dodici e Cinquanta»), chiamato a «proteggere e sostenere l’Accademia de’ nostri pittori, raminga fin oggi, e priva di stabile domicilio» concesse alla neonata Accademia la sua prima sede, una «casa con bottega nello stabile alla Giara» e «un contributo annuo, per supplire alle spese».
Così, proprio domani, si terrà la seconda iniziativa promossa dalla Cignaroli: un incontro con lo storico dell’arte Philippe Daverio, alle 18,30 nell’auditorium della Gran Guardia, con ingresso libero.
Verona si stringerà quindi attorno a una delle sue più antiche e illustri istituzioni. Come 250 anni fa in via Giara, ancor oggi nella sede di via Mameli, 73/A i corsi liberi dell’Accademia Cignaroli continuano a diffondere cultura e amore per l’arte. «Siamo molto gratificati dall’entusiasmo dei docenti che animano i nostri corsi», sottolinea il presidente Stefano Dorio. «La calorosa accoglienza riservata ai nostri allievi continua la tradizione dell’Accademia che non ha mai tradito lo spirito e il mandato del fondatore».
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«Non me ne vogliano le signore artiste, ma sappiano che la pittura, all’origine, è una malattia comportamentale tipica dei maschi dell’area mediterranea, che ci avevano preso gusto a mescolare materie». Ammesso e non concesso che le donne ai fornelli se la cavino meglio degli uomini, però, «chi non sa fare le salse non sa dipingere. Perché pittura e cucina non sono diverse: una salsa non si sa mai esattamente quando è finita ed è la parente più stretta del fenomeno pittorico». Uno a uno.
Philippe Daverio non ama i paroloni, i discorsi aulici. Altrimenti non sarebbe lo storico dell’arte e il divulgatore anche televisivo che tutti conosciamo. E tale si è confermato ieri sera nell’incontro che l’Accademia Cignaroli ha organizzato per celebrare i 250 anni della propria fondazione, in un auditorium della Gran Guardia gremito dai primi posti (dove sedeva il prefetto Perla Stancari) all’ultima fila. Il titolo era «Amar la pittura», da una citazione di Gianbettino Cignaroli («Il colore accarezza l’occhio, l’incanta e l’obbliga ad amar la pittura» scriveva a Parma all’abate Carlo Innocenzo Frugoni).
Stefano Dorio, presidente della Cignaroli, ha parlato di «ri-fondazione» più che di anniversario della nascita, considerato che l’Accademia è tornata a organizzare solo i corsi liberi di arti figurative, come alle origini, quando nacque come seconda delle quattro accademie cittadine (la Filarmonica nel 1543, la Cignaroli nel 1764, quella di Agricoltura scienze e lettere nel 1768 e la Società letteraria nel 1808), sottolineando come nel tempo illustri veronesi furono soci di più di una istituzione, come Scipione Maffei e Alessandro Pompei. Di Gianbettino Cignaroli è stata letta anche un’altra riflessione. In soldoni: la pittura è come un cocchio trainato da due cavalli, uno è il disegno e l’altro è il «colorito». E per procedere bisogna che vadano di pari passo.
La pittura, l’arte, le accademie. Sono stati questi i temi sviscerati da Daverio: «Faremmo di tutto per abolirle, le accademie, dimenticando che la lingua della pittura ci segue da sempre, proprio noi italiani. Ma sono le nostre contraddizioni. Non è forse vero che abbiamo una Biennale di Venezia che è guidata da stranieri e che si occupa di tutto tranne che di pittura? Noi, questa appendice nel Mediterraneo che ha “contagiato” di pittura tutta l’Europa, noi che abbiamo insegnato a usare la materia in altra forma, noi che avevamo in Firenze la capitale del disegno e in Venezia quella del colore».
«Eppure siamo stati noi a inventare tutto: musei, università, accademia? A volte gli avvocati sanno essere intelligenti: fu Cicerone, che non era uno stupido, ad assicurarsi alle aste a Roma statue sottratte ad altri popoli, a costituire con le muse il primo museum. E fu Bologna a istituire la prima università. Poi nacquero le accademie, sapete dove? A Forlì e Rimini, perché i romagnoli ci tengono a distinguersi dagli emiliani, dato che da una parte di mangia il maiale e dall’altro il castrato: “Voi avete l’università? Noi ci facciamo le accademie, dove c’è un confronto formativo, c’è ricerca».
Ed ecco la conclusione: «Qui, nelle accademie, noi italiani abbiamo espresso la nostra sensibilità del fare. Abbiamo un polpastrello che nessuno al mondo ha».
Poi una previsione: «Nel mondo, tra un po’, ci saranno sessanta milioni di persone ricchissime. Sessanta milioni come noi italiani. Ecco, facciamoci tutti adottare da uno di loro, mostriamo che cos’è la moda, che cosa è il cibo, che cosa sono le Ferrari autentiche e non le finte Ferrari. Educhiamoli, questi sessanta milioni di paperoni. E vedrete che a cascata ne guadagneremo tutti».