Mostra “I bambini abbandonati nell’Ottocento”
Archivio di Stato di Verona
(vedi scheda accessibilità)
22 settembre – 30 ottobre 2017
Ingresso libero
I Bambini abbandonati nell’ottocento. Mostra documentaria sull’assistenza agli “Esposti” a Verona
Programma
10.00 – 10.15 R. Mazzei Direttore dell’Archivio di Stato
Introduzione e presentazione dell’evento
10.15 – 10.30 C. Bianchini
Il percorso didattico: le fonti dell’Istituto Esposti
10.30 – 10.45 M. L. Rizzi
Presentazione del progetto
11.00 Rassegna
documentaria sull’infanzia abbandonata nell’800
11.30 Laboratorio sulle fonti documentarie
12.00 Visita guidata ai depositi
In collegamento con l’art.9 della Costituzione, l’Archivio di Stato intende aprire l’8 ottobre al Pubblico la consultazione della documentazione del fondo dell’Istituto degli Esposti, intitolando l’iniziativa “I bambini abbandonati nell’Ottocento a Verona” in cui il tema della conservazione e valorizzazione della memoria collettiva di un importante fondo storico- sociologico si unisce a quello della ricostruzione della memoria individuale e delle proprie origini.
La prima parte della mattinata sarà dedicata alla presentazione dell’evento incentrato sul tema dell’infanzia abbandonata a Verona nell’Ottocento, con un’introduzione del Direttore dell’Archivio di Stato di Verona, Roberto Mazzei sull’evoluzione del fondo archivistico “Istituto degli Esposti” da cui proviene la documentazione oggetto della ricerca e dell’esposizione.
Seguirà l’illustrazione, da parte del funzionario archivista di Stato Chiara Bianchini, delle fonti documentarie utilizzate dagli studenti delle classi IV del Liceo Scienze Umane L. Calabrese-P. Levi di San Pietro Incariano durante la ricerca condotta in Archivio nell’ambito di un progetto scolastico ideato e curato dalla loro professoressa Maria Luisa Rizzi che concluderà la serie degli interventi, illustrando l’articolazione del progetto.
Nella seconda parte sarà inaugurata la rassegna documentaria – che resterà aperta al Pubblico fino alla fine del mese di ottobre nell’orario di apertura dell’Istituto- allestita dai giovani volontari che prestano il servizio civile in Archivio di Stato e illustrata dagli studenti del liceo Calabrese-Levi.
Si darà spazio, come di consueto, all’interazione con il Pubblico, attraverso l’approntamento di un piccolo laboratorio in cui chiunque possa cimentarsi con la ricerca di nominativi nei registri di ingresso dei bambini abbandonati nella ruota e attraverso la visita guidata ai depositi e alle banche dati digitali, curata dai funzionari dell’Archivio di Stato.
Il Fondo archivistico dell’Istituto Esposti (divenuto poi Istituto provinciale di assistenza all’infanzia) è
conservato all’Archivio di Stato di Verona, proveniente dagli Antichi Archivi Veronesi. L’Istituto
Esposti di istituzione austriaca subentra nel 1836 alla Casa degli Esposti di istituzione napoleonica, a sua volta subentrato nel 1803 alla Santa Casa di Pietà, fondata il 13 febbraio 1426 in seguito ad un’epidemia di peste e costituita su iniziativa benefica del Collegio dei Notai di Verona presso il Palazzo dei Camerlenghi, anche se la leggenda tramanda che l’antico brefotrofio fosse stato istituito nel 1376 per volontà testamentaria di Taddea da Carrara, moglie di Mastino II della Scala.
Durante l’anno scolastico 2016-2017 gli alunni delle classi quarte del Liceo delle Scienze Umane “Calabrese-Levi hanno svolto un’interessante ricerca, utilizzando essenzialmente le fonti archivistiche tratte dal fondo “Istituto esposti” dietro la guida del funzionario archivista di Stato Chiara Bianchini e della professoressa del Liceo Maria Luisa Rizzi
Gli studenti, nell’individuare le cause più diffuse di questo fenomeno, dalle misere condizioni economiche dei genitori, alla mentalità dell’epoca caratterizzata da un rigido moralismo che non ammetteva la procreazione fuori dal matrimonio, hanno voluto raccontare la storia di alcuni di questi trovatelli abbandonati nella cosiddetta ruota e generalmente avvolti con alcuni indumenti e lasciati con qualche segno particolare, i cosiddetti “filo fede” che rappresentavano potenziali fonti di riconoscimento e venivano annotati scrupolosamente in modo tale che le madri potessero in futuro rintracciare il figlio e riprenderselo.
In questa edizione di Domenica di carta si vuole dar conto di questa affascinante ricerca attraverso le testimonianze dirette dei ragazzi che l’hanno condotta insieme alla loro professoressa.
(Dott. Roberto Mazzei)
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Informazioni Evento:
Data Fine: 08 ottobre 2017
Costo del biglietto: gratuito
Prenotazione: Nessuna
Luogo: Verona, Archivio di Stato di Verona
Orario: dalle ore 10.00
Telefono: +39 045594580
E-mail: as-vr@beniculturali.it
Sito web
Frammenti di stoffa, di catenine o santini. Preziosi monili divisi a metà: una parte per il bimbo, legata al collo con un cordoncino chiuso da un bottone di piombo, una parte alla mamma. Si chiamavano «filo fede» ed erano il prezioso riconoscimento che avrebbe ricongiunto, in futuro, l’uno all’altra. Oggi sono esposti in una bacheca all’Archivio di Stato, nello stabile di archeologia industriale recuperato in via Santa Teresa, 12, per la mostra «I bambini abbandonati nell’Ottocento», una mostra documentaria riguardante l’assistenza dei piccoli trovatelli affidati all’Istituto degli esposti o all’Ospizio di maternità di Verona, conservata nell’archivio e per la prima volta visibile al pubblico fino a fine ottobre. Si accede negli orari di apertura dell’Archivio, a ingresso libero. Nelle teche allestite i «filo fede», ai quali erano aggrappati i destini dei piccoli, sono la parte più commovente della mostra. E ci sono poi registri, documentazioni municipali, lettere, schedari che riportano le carte di accompagnamento, il colore dei capelli o «imperfezioni del corpo», la provenienza e la persona che lo portava, se era nota, infine i segni e gli involucri – una coperta o uno straccio – nel quale era avvolto il piccolo passato per la ruota degli esposti. Da questo scrigno documentario si ricostruiscono le storie di piccoli come Ester, nata ed esposta il 6 novembre 1882, o di Massimiliano, poi chiamato Giovanni, passato per la ruota nella sera del 25 febbraio 1874, o di Arturo, di genitori sconosciuti, abbandonato sulla porta dell’Istituto il 29 marzo 1874, o ancora Arcangela, affidata a una signora anziana nubile di Soave e adottata cinque anni dopo da una famiglia di Cerea, nel 1879. I libretti compilati, mese dopo mese, durante la permanenza in orfanotrofio del piccolo, permettono di sapere poi il suo percorso: se la mamma andò a riprenderselo, se fu adottato, se fu affidato temporaneamente a qualcuno. Come Ester, adottata da una famiglia che per questo percepiva un’indennità. La piccola morì, però, un anno dopo e fu sepolta con il suo filo-fede. Il segno non fu riconsegnato all’Ospizio, come da regolamento, impedendo alla madre naturale, se mai l’avesse cercata, di ritrovarla. Dal fondo archivistico si ricostruiscono la storia sociologica, ma soprattutto tante piccole memorie individuali. Ma il valore di questa ricerca è espressa dalla firma di chi l’ha portata a termine: gli studenti del liceo di scienze umane Calabrese-Levi di San Pietro in Cariano. Le classi quarte, coordinate dall’insegnante Maria Luisa Rizzi e da Chiara Bianchini, funzionaria dell’archivio, si sono cimentati in una ricerca tra faldoni e cartelle, stilando statistiche sugli ingressi, sui decessi, fino ai luoghi di abbandono: per la maggior parte i bimbi passavano per la ruota, molti venivano lasciati sulla porta dell’istituto o nascevano nel reparto di maternità dell’ospizio per poi esservi lasciati. Gli studenti hanno analizzato le cause di abbandono e il contesto sociale dell’epoca, dalla povertà delle famiglie alla rigida morale che non ammetteva la procreazione fuori dal matrimonio. La documentazione appartiene al fondo «Istituto degli Esposti». L’ospizio, di fondazione austriaca, era subentrato nel 1836 alla Casa degli esposti di istituzione napoleonica, a sua volta subentrato nel 1803 alla Santa Casa di Pietà fondata il 13 febbraio 1426 in seguito a un’epidemia di peste e costituita su iniziativa benefica del Collegio dei notai di Verona a palazzo dei Rettori della camera fiscale, i Camerlenghi, di fronte al Duomo. Si tramanda, però, che un antico brefotrofio fosse stato voluto, per espressa volontà testamentaria, nel 1376, da Taddea da Carrara, moglie di Mastino II della Scala.