Le ombre dorate di Asaf Avidan a Rumors
Teatro Romano di Verona
Giovedì 18 giugno 2015, ore 21.00
ASAF AVIDAN – “GOLD SHADOW”
Rassegna “RUMORS”
In “Gold Shadow” Asaf esplora gli angoli più remoti del cuore e da voce ai silenziosi pensieri che mettono in pericolo la stabilità di un amore. Cosi il nuovo disco è un mix di colori ed emozioni che si mixano e confondono senza dare un vero e proprio genere musicale ma divertendosi a spaziare dal pop anni ’50 al jazz anni ’30, dalle ballate folk anni ’60 al blues fino ai più recenti synth. Bing Crosby, Billie Holiday, Howlin’ Wolf, Serge Gainsbourg, Leonard Cohen, Bob Dylan e persino Bob Marley: una tavolozza di colori e generi in cui la strabiliante voce di Asaf Avidan dà forma alle emozioni di un cuore spezzato che vuol tornare a pulsare.
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► IL CONCERTO FA PARTE DELLA RASSEGNA “RUMORS” ORGANIZZATA E PROMOSSA IN COLLABORAZIONE CON IL COMUNE DI VERONA E CON LA DIREZIONE ARTISTICA DI ELISABETTA FADINI.
PRIMA SERATA. Pubblico non numeroso ma rapito dall’artista israeliano
Avidan, le sfumature di voce che illuminano l’anima
Giulio Brusati
Madre natura gli ha donato uno strumento magico e Asaf lo usa spaziando dal cabaret decadente al rock
Alla fine del concerto, quel che resta sospeso è il mistero della voce di Asaf Avidan. Da dove viene questo torrente di energia che esce da un uomo così magro, minuto e iper cinetico? E come riesce questa voce a scendere sotto pelle, provocando brividi? Per la sua unica data estiva – ieri sera al teatro Romano per la rassegna Rumors – non c’era il pubblico delle grandi occasioni. Purtroppo. Asaf non ha più la spinta promozionale del remix del singolo One Day, com’era successo giusto qui a Verona un paio d’anni fa. Ma le giustificazioni finiscono qui, per chi è rimasto a casa e s’è perso uno show di grande fascino, con echi di una “soul revue” alla James Brown, di un concerto di Prince (la connessione tra Asaf e le musiciste donne della sua band), di una confessione alla Bob Dylan, di una processione con la colonna sonora di Leonard Cohen, di un cabaret decadente. Ma al di là delle mille connessioni, quest’artista israeliano – che ha trovato una nuova casa in Italia («Ho comprato una proprietà nelle Marche e ho iniziato un nuovo capitolo della mia vita», ha detto ieri sera) – riesce ad essere ugualmente originale, specie quando porta la voce dal rantolo all’urlo, quando sale così alto da sfondare in un registro femminile. Quando canta come se ne andasse della sua vita. Mentre altri cantanti occupano il palco con se stessi, tanto volume e poco altro, Asaf usa il concerto per convogliare l’energia dello strumento che Madre Natura gli ha donato. Più sentimento che sostanza, canta in un brano dominato da chitarra acustica e strumenti elettrici suonati con gli archetti. Ed è proprio così: è il feeling, quello che lui sente e quello che cerca di trasmettere, a dominare la scena. La scaletta così cambia, il mood è altalenante e si sale e scende: si passa da un brano sostenuto a una ballata piano e voce come Gold Shadow, quella che dà il titolo al suo ultimo disco, per arrivare a una song alla Kurt Weil, con Asaf che passeggia sul palco come in un cabaret della Germania anni ’20, cantando con un registro operistico. E poi se ne esce con un pezzo dance che potrebbero cantare anche gli Scissor Sisters, con un ritornello che dice: «Io sarò la prigione che ti renderà libera». Ne esce il racconto di un’anima trafitta dall’amore (“Brindo”, dice con un bicchiere in mano, “a chi ha conosciuto l’amore eterno, ed è sopravvissuto”); un kamikaze del sentimento che non pretende reti di protezione. Con la voce che ha, Asaf si prende tutti i rischi. Come quello di non riempire completamente un teatro. Ma chi c’era, ieri, si è innamorato per sempre di una vera voce rock.
ASAF AVIDAN
«Ho una voce angelica da uomo e da donna»
Asaf Avidan, come dice giustamente Elisabetta Fadini direttrice artistica del festival Rumors, ha «una voce duttile e angelica, che arriva al cuore» e il musicista israeliano l’ha dimostrato alla Feltrinelli, nell’incontro con il pubblico, culminato in una versione a cappella di un brano dal suo nuovo disco. Asaf si esibirà stasera alle 21 al Teatro Romano. Chi ama Nina Simone, Jeff Buckley, Antony & the Johnsons insomma chi ama le più belle voci del rock e del blues non può perderselo. Anche perché è l’unica data italiana dell’estate.Asaf, è vero che diventerai italiano? «Ho comprato una piccola proprietà nelle Marche, vicino a Pesaro, sul mare, e devo imparare un po’ di italiano perché devo andare in banca, al supermercato Il posto è bellissimo, c’è bella gente, si mangia bene, le ragazze sono bellissime. Imparare l’italiano sarà duro, ma la vostra è una lingua affascinante. Con mio fratello stiamo costruendo uno studio di registrazione nelle Marche e sì, magari un giorno chiederò la cittadinanza italiana». Rumors, il festival per il quale ti esibirai stasera, è incentrato sulla voce. Ascoltandoti, senza sapere chi sei, uno potrebbe pensare che potresti essere una donna o un uomo Lo diciamo come complimento.«Non mi offende né mi confonde: il genere non ha niente a che fare con la musica. Nei nuovi spettacoli, come quello di stasera al Teatro Romano, suono poco o niente la chitarra e ci sono state ragazze delle prime file che mi hanno detto: Asaf, sai che scivoli dal maschile al femminile, da mosse femminili a mosse maschili, quando canti? E io non capivo finché non mi sono rivisto su YouTube. Penso che facessero riferimento ad espressioni che la gente si aspetta vengano più da una donna. Io non posso confinare nei generi lo spettro illimitato delle emozioni. Femminile e maschile sono distinzioni psicologiche più che biologiche, per me. E non me ne curo».E poi ascoltandoti vengono altri dubbi: a cantare è un giovane o un uomo maturo?«Magari sembra un luogo comune stile buddista, ma l’età è una falsità. A 21 anni avevo fatto così tante esperienze da poter cantare per almeno due vite. E c’è gente che a 70 anni non ha l’esperienza, magari, per cantare una sola canzone. Si tratta di provare sulla propria pelle la vita e trasformarla in musica».Hai avuto successo con il brano «One day (Reckoning song)», e con il disco «Different pulses». In pochi anni sei passato da suonare nei locali di Tel Aviv ai club e ai teatri di tutto il mondo. E se tutto sparisse domani?«Il mio successo non dipende da quanto io sia bravo a fare canzoni. È tutto frutto di una casuale concatenazione di eventi. Recepire l’arte è una questione individuale. Una mia melodia, una strofa o una parola sono il catalizzatore delle emozioni di una persona. Non posso capire né riprodurre questo effetto. Quando canto, produco un suono ma non sarebbe nulla se non ci fosse qualcuno che ascolta e un cervello che processa questo suono. Ma se anche domani tagliassero le orecchie a tutti gli uomini sulla faccia della Terra, io continuerei a fare quello che faccio. Perché non lo faccio per gli altri, per il pubblico, per le classifiche: lo faccio per me».
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