20151111-Reyhaneh-Jabbari-mani-manette

Reyhaneh Jabbari, iraniana, è stata accusata dell’uccisione di un uomo, un medico, imprigionata a 19 anni e condannata a morte per omicidio. È stata giustiziata il 25 ottobre del 2014, malgrado le proteste dell'opinione pubblica internazionale e quelle di Amnesty International. Non è riuscita a salvarla nemmeno l’impegno della madre Shole Pakravan, nota attrice di teatro che pure era riuscita a raccogliere attorno a sè tanti esponenti della cultura. Delle tre cose che la figlia le aveva chiesto, di non vestirsi di nero, di donare i suoi organi e di perdonare quelli che le avevano fatto del male, «solo la prima sono riuscita a fare», ha detto la madre.

Reyhaneh Jabbari, iraniana, è stata accusata dell’uccisione di un uomo, un medico, imprigionata a 19 anni e condannata a morte per omicidio. È stata giustiziata il 25 ottobre del 2014, malgrado le proteste dell’opinione pubblica internazionale e quelle di Amnesty International. Non è riuscita a salvarla nemmeno l’impegno della madre Shole Pakravan, nota attrice di teatro che pure era riuscita a raccogliere attorno a sè tanti esponenti della cultura. Delle tre cose che la figlia le aveva chiesto, di non vestirsi di nero, di donare i suoi organi e di perdonare quelli che le avevano fatto del male, «solo la prima sono riuscita a fare», ha detto la madre.

Reyhaneh Jabbari, iraniana, è stata accusata dell’uccisione di un uomo, un medico, imprigionata a 19 anni e condannata a morte per omicidio. È stata giustiziata il 25 ottobre del 2014, malgrado le proteste dell’opinione pubblica internazionale e quelle di Amnesty International. Non è riuscita a salvarla nemmeno l’impegno della madre Shole Pakravan, nota attrice di teatro che pure era riuscita a raccogliere attorno a sè tanti esponenti della cultura. Delle tre cose che la figlia le aveva chiesto, di non vestirsi di nero, di donare i suoi organi e di perdonare quelli che le avevano fatto del male, «solo la prima sono riuscita a fare», ha detto la madre.

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