Reyhaneh Jabbari, iraniana, è stata accusata dell’uccisione di un uomo, un medico, imprigionata a 19 anni e condannata a morte per omicidio. È stata giustiziata il 25 ottobre del 2014, malgrado le proteste dell'opinione pubblica internazionale e quelle di Amnesty International. Non è riuscita a salvarla nemmeno l’impegno della madre Shole Pakravan, nota attrice di teatro che pure era riuscita a raccogliere attorno a sè tanti esponenti della cultura. Delle tre cose che la figlia le aveva chiesto, di non vestirsi di nero, di donare i suoi organi e di perdonare quelli che le avevano fatto del male, «solo la prima sono riuscita a fare», ha detto la madre. Sede CTG Santa Maria in Chiavica

Lascio le mie lettere al vento della libertà


Sede CTG Santa Maria in Chiavica
Mercoledì 11 novembre 2015, ore 18.00
Entrata libera

«Io, Reyhaneh, ho ventisei anni e porto sulle spalle un cumulo di dolore e sofferenza. Per liberarmi di questo peso scrivo queste parole e le consegno ad un’amica. Lei ha l’incarico di dare le mie lettere al vento della libertà, perché possano volare dappertutto». Scritte su pezzi di carta fortunosamente rubati al nulla che la circondava nei sette anni di prigione, le parole di Reyhaneh Jabbari, la giovane iraniana giustiziata a Teheran un anno fa, il 25 ottobre 2014 con l’accusa di avere ucciso l’uomo che aveva cercato di violentarla, sono oggi una testimonianza straordinaria che scuote le nostre coscienze, emozionandoci e turbandoci, e chiamandoci tutti a ricordare il suo terribile destino. Una occasione per riflettere e ascoltare la voce di Reyhaneh sarà, mercoledì prossimo, alle 18, nella sede del Ctg a Santa Maria in Chiavica grazie all’incontro «Lascio le mie lettere al vento della libertà» organizzato dall’associazione Isolina e… che si è impegnata a raccogliere e diffondere le lettere. «Quando nel 2014 sono apparse su internet le lettere in persiano di Reyhaneh Jabbari con la notizia che era stata giustiziata per aver ucciso l’uomo che aveva cercato di usarle violenza», spiega la presidente di Isolina Marisa Mazzi, «ci siamo impegnate a diffonderle insieme ad una donna iraniana rifugiata che vive a Verona che aveva iniziato a tradurle con Emma Carraro della casa di Ramia. Ne è nato un diario toccante di una donna forte e coraggiosa anche se molto giovane. Inoltre la giornalista Viviana Mazza ha intervistato la madre di Reyhaneh, incontrandola a un anno dalla morte della figlia». Mercoledì sarà presente Viviana Mazza e verrà proiettata la video intervista alla madre che continua a battersi per difendere l’innocenza della figlia. Margherita Sciarretta leggerà una delle lettere. Isolina proporrà quindi altre iniziative nelle scuole in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, in collaborazione con Amnesty che si era occupata del caso. Ci saranno anche letture in biblioteca civica il 27 novembre alle 18.
Reyhaneh Jabbari, iraniana, è stata accusata dell’uccisione di un uomo, un medico, imprigionata a 19 anni e condannata a morte per omicidio. È stata giustiziata il 25 ottobre del 2014, malgrado le proteste dell'opinione pubblica internazionale e quelle di Amnesty International. Non è riuscita a salvarla nemmeno l’impegno della madre Shole Pakravan, nota attrice di teatro che pure era riuscita a raccogliere attorno a sè tanti esponenti della cultura. Delle tre cose che la figlia le aveva chiesto, di non vestirsi di nero, di donare i suoi organi e di perdonare quelli che le avevano fatto del male, «solo la prima sono riuscita a fare», ha detto la madre.
Reyhaneh Jabbari, iraniana, è stata accusata dell’uccisione di un uomo, un medico, imprigionata a 19 anni e condannata a morte per omicidio. È stata giustiziata il 25 ottobre del 2014, malgrado le proteste dell’opinione pubblica internazionale e quelle di Amnesty International. Non è riuscita a salvarla nemmeno l’impegno della madre Shole Pakravan, nota attrice di teatro che pure era riuscita a raccogliere attorno a sè tanti esponenti della cultura. Delle tre cose che la figlia le aveva chiesto, di non vestirsi di nero, di donare i suoi organi e di perdonare quelli che le avevano fatto del male, «solo la prima sono riuscita a fare», ha detto la madre.

Reyhaneh Jabbari, la lettera alla madre prima di essere impiccata: “Accuserò i giudici di fronte a Dio, ora dona i miei occhi”

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“Mia dolce madre, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore divengano polvere. Accuserò gli ispettori, il giudice e e i giudici della Corte Suprema di fronte al tribunale di Dio”.

Con queste le parole Reyhaneh Jabbari, la donna iraniana di 27 anni impiccata nel suo Paese l’alba di sabato scorso per aver ucciso l’uomo che aveva tentato di stuprarla, ha salutato la madre. Una madre condannata a sopravvivere alla figlia, ad assistere alla sua immolazione.
Ma le disposizioni di Reyhaneh sono precise: “Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via”.

A nulla sono valsi gli appelli internazionali Papa Francesco, di Amnesty International, del ministro degli Esteri Federica Mogherini e di tanti intellettuali iraniani per salvare la giovane donna dal suo destino. Cinque anni nel braccio della morte sono finiti con la forca.
Scrive così Reyhaneh,. in una lettera pubblicata sull’Huffington Post :

“Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassinio non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui.”

Ma le cose sono andate diversamente. Reyhaneh ha trovato la forza per reagire e uccidere chi voleva violarla. Un coraggio che è stato premiato con la morte, la sua.

“Con qual maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin. e della sua sezione di isolamento. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita. Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna lottare.
Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. La tua esperienza era sbagliata. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata perché avevo fiducia nella legge. Ma sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte a un crimine. “

Alla bellezza che salverà il mondo, non ci credeva Reyhaneh.

“Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in questa epoca. La bellezza dell’aspetto, dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce”.

Poi le ultime volontà consegnate alla madre, lei che dovrà imparare a convivere col vuoto.

“Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata, il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le mie ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome., compratemi un mazzo di fiori oppure pregate per me.”