La Biblioteca Civica brucia di poesia
La notte dei fuochi
Aldo Palazzeschi
L’INCENDIARIO: Raccolta di poesie |
Assai complessa la storia dei testi successiva all’edizione del ’10. C’è anzitutto una seconda edizione che è in realtà un libro completamente nuovo, cioè L’Incendiario 1905-1909 uscito nel 1913, pure nelle Edizioni futuriste di «Poesia»: in effetti un’antologia personale trascelta dalle quattro raccolte poetiche fino allora pubblicate da Palazzeschi, più una manciata di testi nuovi nel frattempo usciti su «La Voce» o su «Lacerba»; solo una parte dei versi del primo Incendiario vengono qui accolti, come del resto è esplicitamente denunciato dalla seconda parte del titolo; drasticamente decurtato – appena una trentina di versi – e stampato in corpo minore, come in esergo, è per esempio il poemetto eponimo del libro del ’10; la dedica a Marinetti ora suona come segue: «a ET Marinetti che primo le amò, queste poesie gli vanno riconoscenti». E’ la prima di una lunga serie di rimaneggiamenti operati da Palazzeschi sul proprio repertorio poetico giovanile, che prosegue attraverso le edizioni riassuntive delle Poesie 1904-1909, per giungere alla ne varietur del 1904-1914, poi accolte nel volume complessivo delle Opere giovanili, del 1958. Le poesie – come, parallelamente, i «romanzi straordinari» pure destinati a fissare la propria lezione nel volume delle Opere giovanili subiscono una serie di normalizzazioni (lessicali, ortografiche, sintattiche, interpuntive e in generale tipografiche, con un nettissimo vettore di abbassamento del tasso di aggressività dialogica e scatologica) che rispecchiano appieno i mutati sentimenti ideologici e letterari di un Palazzeschi risolutamente “tornato all’ordine” negli anni delle Stampe dell’800 e poi dei Fratelli Cuccoli. E come una parodia del culto cristiano può pure essere letto il poemetto che dà il titolo al libro (una «messa rossa», l’ha definito Edoardo Sanguineti), che vale comunque, soprattutto, come allegorica messa in scena dello spirito dell’avanguardia. Nei primi dieci versi troviamo delineata la scena: in mezzo alla «piazza centrale / del paese» c’è «la gabbia di ferro» nella quale è esposto al pubblico ludibrio «l’incendiario», il quale resterà protagonista sì, ma muto; mentre alternativamente a lui e al pubblico (che, con tipica situazione palazzeschiana, funge da “coro”, continuamente commentante e variamente strologante) si rivolge il suo alter ego, il Poeta, che irrompe d’improvviso («Largo! Largo! Largo! / Ciarpame! Piccoli esseri / dall’esalazione di lezzo, / fetido bestiame») per proporsi quale «sacerdote» del nuovo Dio ingabbiato («quell’uomo è il Signore!»), e promette di liberarlo per «riscaldare / la gelida carcassa / di questo vecchio mondo!». Come scrive Sanguineti, «c’è qualcosa che brucia, intorno al ’10, in questo regno di carta e di parole che è la letteratura. C’è un poeta, in figura di clown, che ha scatenato un suo tragico doppio, che ride pazzamente, e distruttivamente»; anche se bisognerà prendere nota del fatto che il Poeta, dinanzi all’Incendiario, denuncia a piene lettere una condizione di inferiorità: «Anch’io, sai, sono un incendiario, / un povero incendiario che non può bruciare, / e sono comete in prigione» infatti «An tutte le cose la polizia, / anche la poesia» ; «Sono un povero incendiario mancato, / incendiario da poesia. / Ogni verso che scrivo è un incendio!»; ma «Incendio non vero / è quello che scrivo, / non è vero seppure è per dolo». Il riso «pazzo e distruttivo» di Palazzeschi giunge a un estremo non superabile con la «canzonetta» E lasciatemi divertire, destinata a diventare uno dei suoi testi più famosi malgrado l’uso audace di versi “senza senso” («Tri tri tri, / fru fru fru, / ihu ihu ihu, / uhi uhi uhi!»): il poeta li giustifica come «robe avanzate, / non sono grullerie, / sono la spazzatura delle altre poesie». E anche se «è un azzardo un po’ forte, / scrivere delle cose così, / che ci son professori oggidì / a tutte le porte», è con acuta coscienza “sociale” che conclude: «i tempi sono molto cambiati, / gli uomini non dimandano / più nulla dai poeti, e lasciatemi divertire!» Gli artifici tecnici mobilitati da Palazzeschi, in questa totale eversione del codice lirico tradizionale, sono in verità assai simili a quelli del coevo romanzo Il codice di Perelà, nel quale la prosa «prende a snodarsi in lunghe colonne tipografiche fatte di battute, esclamazioni, interrogazioni, frasi mozze, che riempiono pagine e pagine costituendo una sorta di spartito, più per un’esecuzione orale-sonora che per una silenziosa lettura mentale» (Renato Barilli). Non a caso uno dei poemetti dell’Incendiario potrebbe benissimo essere (per la struttura della “visita”, per temi, onomastica e tecnica del dialogo) un capitolo espunto del Codice stesso: Visita alla Contessa Eva Pizzardini Ba. Per questa strada, di progressivo indebolimento dei nessi logici tra episodio ed episodio e poi, sempre più molecolarmente, fra verso e verso e addirittura fra parola e parola -, si potrà giungere, nei testi poetici più tardi di Palazzeschi, successivi anche al secondo Incendiario, al doloroso estremo allegorico di Boccanera (costruito secondo una tecnica “concreta” che prelude ormai a Dada), o a un formidabile poema-collage come La passeggiata (che non sfigurerebbe al fianco dei testi capitali – di là da venire di un decennio – della poesia surrealista). |
Aldo Palazzeschi
Aldo Palazzeschi in una fotografia di Mario Nunes Vais (1913)
Aldo Palazzeschi, pseudonimo di Aldo Giurlani (Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974), è stato uno scrittore e poetaitaliano, padre della neoavanguardia. Inizialmente firmò le sue opere col suo vero nome, e dal 1905 adottò come nome d’arte il cognome della nonna materna, appunto Palazzeschi. Nacque da una famiglia di agiati commercianti; per volontà del padre frequentò gli studi in ragioneria, dedicandosi poi all’arte e alla scrittura. Dalla seconda attività conseguì una ricca produzione letteraria che gli diede fama di rango nazionale. Tuttora viene considerato tra i maggiori poeti del Novecento.
Prima produzione letteraria
Vita e opere
Inizialmente, si dedicò alla recitazione: nel 1902 si iscrisse alla regia scuola di recitazione “Tommaso Salvini”. Nelle compagnie teatrali conobbe anche Gabriellino, figlio di Gabriele D’Annunzio. Fu probabilmente proprio la passione teatrale a far sì che l’artista rinunciasse al suo cognome anagrafico assumendo uno pseudonimo. Infatti, il padre non vedeva di buon occhio il fatto che Palazzeschi si dedicasse alla recitazione, tanto meno se questa attività veniva praticata con il nome di famiglia.
Con il tempo, Palazzeschi si staccò dall’attività teatrale per dedicare il suo lavoro alla poesia. Grazie all’appoggio finanziario della famiglia, fu in grado di pubblicare le sue raccolte a proprie spese. Fu così che nel 1905 pubblicò il primo libro di poesie, I cavalli bianchi, per un editore immaginario, Cesare Blanc (che in realtà era il nome del suo gatto) con una sede immaginaria in via Calimala 2, Firenze. Tra i componimenti spiccano Ara Mara Amara e Il Pappagallo. La raccolta avvicinava Palazzeschi al Crepuscolarismo tanto per lo stile quanto per i contenuti. Il libro fu recensito in modo positivo dal poeta Sergio Corazzini con il quale Palazzeschi iniziò una fitta corrispondenza, fino alla precoce morte del Corazzini avvenuta nel 1907. La recensione non ebbe però un seguito e il libro rimase praticamente sconosciuto.
Dopo circa un anno, alla prima opera seguì Lanterna, che contiene la poesia Comare Coletta. In questa come nella precedente raccolta, i componimenti di Palazzeschi sono oscuri, fiabeschi e ricchi di simboli poco trasparenti. A dispetto della giovane età dell’artista, ricorre ripetutamente nelle poesie il riferimento alla morte, tema che percorre entrambe le raccolte allo stato latente. Altri motivi ricorrenti sono la malattia e la vecchiaia. Il metro è sempre lo stesso: si tratta deltrisillabo, dunque di versi ternari, oppure di versi di 6, 9, 12 o più sillabe. La monotonia del ritmo si coniuga perfettamente alla staticità (spaziale e temporale) che caratterizza i due poemi d’esordio del poeta.
Nel 1908 pubblicò, sempre presso l’immaginario editore Cesare Blanc, il suo primo romanzo di stile liberty dal titolo : riflessi, ricco di fonti fiabesche e di sapore abbastanza chiaramente omosessuale.
Seguì la terza raccolta Poemi, che avrebbe portato per la prima volta Palazzeschi ad un pubblico più ampio. In questa eterogenea opera ricordiamo Chi sono?,Habel Nasshab, nonché Rio Bo. Rispetto a quanto si poteva osservare nelle prime due raccolte, il tono è stavolta più solare. Alcune delle poesie sono inoltre legate tra di loro da una trama, la quale conferisce ai poemi un certo dinamismo. Il verso ternario ed il senario ecc. sono ancora quelli privilegiati, ma il rigido schema metrico viene per la prima volta spezzato, in quanto ricorrono versi di tutte le lunghezze. Il gioco ritmico sul trisillabo viene ironicamente portato alle estreme conseguenze nella poesia della Fontana malata. Pare che con il tempo l’artista si attenga sempre di meno a canoni formali di qualsiasi natura. Anche se durante la prima produzione letteraria Palazzeschi gradiva il fatto di restare più o meno nell’anonimato, stavolta la raccolta non passerà inosservata.
Il periodo futurista
In seguito alla lettura di Poemi Filippo Tommaso Marinetti rimase entusiasta, convinto della creatività di Palazzeschi e alquanto compiaciuto dell’uso del verso libero. Palazzeschi fu dunque invitato a collaborare alla rivista “Poesia”. Pubblicherà la raccolta di poesie l’Incendiario. Qui si ritrova lo scherzoso componimento E lasciatemi divertire, dove il poeta si immagina di recitare la poesia davanti ad un pubblico costernato e scandalizzato.
Il 1911 è l’anno del romanzo Il codice di Perelà. Segue il manifesto del Controdolore nel 1914 che era apparso in precedenza sulla rivista Lacerba fondata da Giovanni Papini e Ardengo Soffici in polemica con Giuseppe Prezzolini, direttore de La Voce.
Palazzeschi inizia dunque a collaborare intensivamente con il movimento futurista recandosi spesso a Milano e ripubblicando le sue poesie grazie all’appoggio ricevuto. È sorprendente il fatto che le antologie di poeti futuristi includessero anche diversi dei primi componimenti di Palazzeschi, che per il loro tono sommesso e statico erano in gran parte incompatibili con i toni vitali e dinamici dei marinettiani (soprattutto per quanto riguarda le poesie dei Cavalli bianchi). Il fatto che i futuristi abbiano spesso chiuso un occhio davanti a tutto ciò non fa che confermare che Palazzeschi aveva le carte in regola per arrivare ad un notevole successo.
In ogni caso, l’interesse di Palazzeschi per il movimento del futurismo non lo portò mai a ricambiare pienamente l’entusiasmo che il gruppo nutriva nei suoi confronti. Infatti, la vitalità esasperata del movimento lo rendeva scettico; presumibilmente, essa non corrispondeva pienamente al suo carattere, in un certo senso provocatorio ma non necessariamente aggressivo. Alla vigilia della grande guerra i nodi vennero al pettine: Palazzeschi si dichiarò neutralista e si oppose dunque all’intervento dell’Italia nel primo conflitto mondiale che veniva invece propagato dal movimento futurista dei marinettiani. Una tale discrepanza non poteva significare che il distacco definitivo.
In seguito, si sarebbe dedicato con profitto alla scrittura in prosa. Per quanto riguarda la poesia, alla vigilia della guerra Palazzeschi aveva ormai dato il meglio di sé. Si avvicinò all’ambiente de La Voce di Giuseppe De Robertis e iniziò a collaborare per la rivista.
Il richiamo alle armi e gli anni del fascismo
Durante l’estate del 1916, pur essendo stato riformato alla visita militare, venne richiamato alle armi come soldato del genio. Fu per poco tempo al fronte e in seguito di stanza a Firenze, a Roma e a Tivoli. Si ritrovano i ricordi di quel periodo nei suoi bozzetti di Vita militare e nel libro autobiografico Due imperi…mancati(1920). Durante gli anni del fascismo, Palazzeschi non partecipò alla cultura ufficiale nonostante gli sforzi intrapresi in questo senso da Filippo Tommaso Marinetti; compì qualche viaggio a Parigi e dal 1926 collaborò al Corriere della sera.
Nel 1921 pubblicò il suo primo libro di racconti, presso Vallecchi, Il re bello; nel 1926 uno “scherzo” iniziato nel 1912 dal titolo La Piramide. Fra il 1930 e il 1931 si recò più volte a Parigi dove ebbe modo di conoscere Filippo De Pisis, Pablo Picasso, Georges Braque, Henri Matisse. Nel 1930 venne stampata dall’editore Preda a Milano l’edizione definitiva delle Poesie risistemate con adattamenti dettati dal suo nuovo gusto poetico; nel 1932 sono Stampe dell’Ottocento, prose di ricordi; del1934 è il romanzo Sorelle Materassi, forse il principale della sua carriera di romanziere. Il 1937 è l’anno de Il palio dei buffi, seconda raccolta di novelle.
Gli anni romani
Nel 1938 muore il padre e nel 1939 la madre e Palazzeschi, nel 1941, si trasferisce a Roma dove abiterà fino alla morte. Del 1945 è un altro libro autobiografico Tre imperi…mancati testimonianza polemica ma anche melanconica della seconda guerra mondiale.
Nel 1948 vinse il premio Viareggio con il romanzo I fratelli Cuccoli e nel 1957, dopo altri libri in prosa (Bestie del ‘900 nel 1951, Roma, nel 1953), e poesia (Difetti nel1947), gli venne assegnato dall’Accademia dei Lincei il premio Feltrinelli per la letteratura. Nel 1960 l’Università di Padova gli conferì la laurea in lettere honoris causa.
Negli anni della vecchiaia Palazzeschi scrisse ancora moltissimo: nel 1964 le prose autobiografiche Il piacere della memoria; una serie di romanzi (Il doge, 1967;Stefanino, 1969; Storia di un’amicizia, 1971), due libri di poesia, Cuor mio, nel quale confluirono i versi delle plaquettes Viaggio sentimentale del 1955 e Schizzi italofrancesi del 1966), e Via delle cento stelle del 1972.
Collaborò inoltre alla produzione dello sceneggiato televisivo Sorelle Materassi, messo in onda dalla RAI sempre nel 1972. Questo evento mediale fu di vasta portata: l’opera dell’artista, giunto ormai a tarda età, fece il suo ingresso in milioni di focolai domestici e diede un contributo tutt’altro che trascurabile alla fama del Palazzeschi romanziere. Nel 1974, quando si stavano preparando i festeggiamenti per i suoi novant’anni e la rivista Il Verri gli dedicava un numero monografico, lo scrittore, colto da crisi polmonare, morì. Era il 18 agosto.
Poetica
L’originalità della sua poesia
Palazzeschi, anche se nelle varie fasi della sua lunga attività di scrittore si è accostato ai movimenti contemporanei, ha sempre mantenuto la sua individualità e una particolare fisionomia. Anche quando egli, in un primo tempo, riprende i motivi crepuscolari e, in seguito, quelli futuristi, mantiene la sua originalità. I temi crepuscolari da lui ripresi sono infatti privi di languori eccessivi: se Palazzeschi ne ricalca certe situazioni, sostituisce però lo scherzo al sospiro e contamina il tono elegiaco con la presa in giro che conferisce alle sue liriche il carattere di divertimento.[1]
Analoghe considerazioni valgono per l’adesione di Palazzeschi ad altre correnti. Lo scrittore seguirà come detto per breve tempo il movimento futurista e nel dichiarare ufficialmente sulla rivista Lacerba, nel 1914, che non si considerava più un futurista dichiarerà apertamente la sua vocazione al gioco della fantasia e al riso: «bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride… Bisogna rieducare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente…». Questo atteggiamento fa sì che in Palazzeschi si ritrovino i temi e i toni più vari: dall’immagine più onirica alla risata beffarda, dal divertimento funambolesco alla canzonatura che non esclude, comunque, un che di affettuoso e completamente estraneo al futurismo.
Sempre in tema di futurismo, si pensi all’originalità di liriche come Pizzicheria dove viene introdotto il dialogo tra il pizzicagnolo e il cliente. La poesia non è infatti altro che l’enumerazione delle diverse immagini, delle scritte pubblicitarie e dei numeri civici che l’io poetico immagina di osservare durante la passeggiata tra le vie di una città, passeggiata che ha dunque la funzione di una cornice. Con questi stravolgimenti, Palazzeschi sembra seguire i futuristi dei quali però non interessa né l’esaltazione del movimento, né l’attivismo politico, ma solo la distruzione delle tradizionali strutture.
La narrativa
Tutte queste posizioni sono facilmente riscontrabili nella sua narrativa che avrà, nell’opera di Palazzeschi, una parte prevalente. Una notevole prova viene data dall’autore già nel 1911 con Il Codice di Perelà che è la storia di un inconsistente omino di fumo capitato nel nostro mondo. È questa una favola allegorica dove il divertimento non rimane solamente fantastico ma lascia il posto per l’irrisione dei valori codificati della nostra società che, visti attraverso il modo di vivere anticonformista di Perelà, risultano essere una denuncia della loro provvisorietà e credibilità.
Anche nell’opera successiva, Piramide (scritta subito dopo ma pubblicata nel 1926) rimaniamo ancora nel campo della fantasticheria umoristica, mentre nelleStampe dell’Ottocento del 1932 e in Sorelle Materassi del 1934, il tono cambia decisamente. Vengono in esse adottati moduli narrativi più tradizionali che richiamano, nella rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, alla forma del bozzettismo toscano di fine Ottocento e una più soffusa interpretazione del programmatico E lasciatemi divertire che si avvia a toni di umana malinconia e comprensione.
La coerenza delle sue opere
Una delle qualità che si evidenziano nella produzione di Palazzeschi è la coerenza del suo lavoro e il legame che esiste tra un’opera e l’altra. Pertanto anche in queste opere non si cade mai nel sentimentalismo elegiaco perché spesso le pagine sono percorse da sprazzi di riso. Ed è appunto questo amalgamarsi di sorriso e pietà, che non rinnega la vocazione al divertimento.[2]
Opere di Palazzeschi
Poesia
- I cavalli bianchi, Spinelli, Firenze 1905.
- Lanterna,Stabilimento Tipografico Aldino, Firenze 1907
- Poemi, a cura di Cesare Blanc, Stabilimento tipografico Aldino, Firenze 1909
- E lasciatemi divertire…. 1910
- L’incendiario (1905-1909). Col rapporto sulla vittoria futurista di Trieste, Edizioni Futuriste di poesia, Milano 1910
- Poesie 1904 – 1914, Firenze 1925
- Poesie, Milano 1930
- Poesie 1904 – 1914, Firenze 1942
- Piazza San Pietro, poesia, in facsimile, illustrata da Mino Maccari, Firenze 1945
- Difetti 1905, Milano 1947
- Viaggio sentimentale, Milano 1955
- Schizzi italo-francesi, Milano 1966
- Cuor mio, Mondadori, Milano 1968
- Via delle cento stelle. 1971-1972., Milano 1972
- Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2002
Le poesie oggi sono reperibili per lo più in pubblicazioni antologiche. Le poesie crepuscolari I cavalli bianchi e Lanterna sono disponibili presso la casa editrice romana Empirìa.
Narrativa
- :riflessi, Cesare Blanc, Firenze, 1908 (successivamente con il titolo Allegoria di novembre)
- Il Codice di Perelà, Edizioni futuriste di Poesia, Milano, 1911 (riscritto, col titolo Perelà uomo di fumo, Vallecchi, Firenze, 1954, Firenze 1911)
- Due imperi mancati, Firenze 1920
- Il Re bello, Firenze 1921
- La piramide. Scherzo di cattivo genere e fuor di luogo, Vallecchi, Firenze 1926
- Stampe dell’Ottocento, Treves-Treccani-Tumminelli, Milano – Roma, 1932
- Sorelle Materassi, Vallecchi, Firenze 1934
- Il palio dei buffi, Firenze 1937
- Tre imperi mancati. Cronaca (1922-1945), Firenze 1945
- I fratelli Cuccoli, Vallecchi, Firenze 1948
- Bestie del ‘900, Firenze 1951
- Roma, Firenze 1953
- Scherzi di gioventù (raccolta di lazzi, frizzi, schizzi, girigogoli e ghiribizi e del manifesto L’antidolore), Milano 1956
- Vita militare, Padova 1959
- Il piacere della memoria, Milano 1964
- Il buffo integrale, Milano 1966
- Ieri, oggi e…non domani, Firenze 1967
- Il doge, Mondadori, Milano 1967
- Stefanino, Mondadori, Milano 1969
- Storia di un’amicizia, Firenze 1971
- Interrogatorio della contessa Maria 1988
Epistolari
- Carteggio Marinetti-Palazzeschi, introduzione di P. Prestigiacomo, presentazione di L. De Maria, Milano 1978
- “Aldo Palazzeschi e la rivista Film. Lettere, a cura di Matilde Tortora, Napoli, 2009
Note^ De Bellis
- ^ Vedi Il funambolo incosciente, bibliografia
Bibliografia
Saggi
- E. De Michelis, Aldo Palazzeschi, Sorelle Materassi : con una scelta di poesie, A. Mondadori ed. 1965
- E. De Michelis, Palazzeschi romano, Istituto nazionale di studi romani editore, 1975
- Livi, F.,Tra crepuscolarismo e futurismo: Govoni e Palazzeschi, Milano, Propaganda 1980.
- Pieri, P., Ritratto del saltimbanco da giovane. Palazzeschi 1905-1914, Bologna, Patron, 1980.
- Tamburri, A.J. Of “saltimbanchi” and “incendiari”: Aldo Palalzzeschi and Avant-Gardism in Italy, Madison, NJ, Fairleigh Dickinson, 1990.
- Lepri, L. Il funambolo incosciente, A. Palazzeschi 1905-1914, Firenze, Olschki 1991.
- Adamo, G., Metro e ritmo del primo Palazzeschi, Roma, Salerno editrice, 2003.
- Aldo Palazzeschi a Roma. Atti della Giornata di Studi, a cura di Gino Tellini, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2011.
- L’arte del Saltimbanco, Aldo Palazzeschi tra le due avanguardie, a cura di Luca Somigli, Gino Tellini, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2008.
- Palazzeschi Europeo, a cura Gino Tellini, Willi Jung, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2007.
- Palazzeschi e i territori del comico, a cura di Gino Tellini, Matilde Dillon Wanke, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2006.
- Aldo Palazzeschi et les avan-gardes, Atti del Covengno Internazinale, a cura di Gino Tellini, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2002.
- Il codice della libertà, Aldo Palazzeschi (1885-1974), a cura di Simone Magherini, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2004.
- Wehle, Winfried: Nel regno dell’intrascendenza: la parabola del “Codice di Perelà”. In: Jung, Willi (ed.): Palazzeschi europeo : atti del convegno internazionale di studi, Bonn-Colonia, 30-31 maggio 2005. – Firenze: Società Editrice Fiorentina, 2007. – pp. 65-93. – (Biblioteca Palazzeschi; 5) ISBN 978-88-6032-039-1 PDF
Fonti – edizioni critiche
- Palazzeschi, A., Cavalli bianchi, Edizione critica a c. di Adele Dei, Parma, Edizioni Zara 1992.
- Palazzeschi, A. Lanterna, Edizione critica a c. di Adele Dei, Parma, Edizioni Zara 1987.
- Palazzeschi, A. Poemi, Edizione a critica c. di Adele Dei, Parma, Edizioni Zara 1996.
- Palazzeschi, A., I cavalli bianchi/Lanterna/Poemi, Poesie 1905-1909, a c. di G. De Angelis, Roma, Edizioni Empiria 1996.
- Palazzeschi, A., L’incendiario. Col rapporto sulla vittoria futurista di Trieste, Milano, Edizioni futuriste di “Poesia” 1910.
- Mimmo Cangiano, L’uno e il molteplice nel giovane Palazzeschi (1905-1915), Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2010.
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