Il Visitatore con Alessandro Haber e Alessio Boni
Teatro Nuovo di Verona
dal 10 al 15 febbraio 2015
Incontro con gli attori Giovedì 12 febbraio alle 17.00
IL VISITATORE
regia Valerio Binasco
Informazioni / cast
IL VISITATORE
di Éric-Emmanuel Schmitt
traduzione e adattamento Valerio Binasco
con Alessandro Haber Alessio Boni
Nicoletta Robello Bracciforti Alessandro Tedeschi
Regia Valerio Binasco
Musiche Arturo Annecchino
Scene Carlo De Marino
Costumi Sandra Cardini
Interpreti e personaggi
Alessandro Haber Sigmund Freud
Alessio Boni Il visitatore
Nicoletta Robello Bracciforti Anna Freud
Alessandro Tedeschi Il nazista
Aprile 1938. L’ Austria è stata da poco annessa di forza al Terzo Reich, Vienna è occupata dai nazisti, gli ebrei vengono perseguitati ovunque. In Berggstrasse 19, celeberrimo indirizzo dello studio di Freud (Alessandro Haber), il famoso psicanalista attende affranto notizie della figlia Anna, portata via da un ufficiale della Gestapo. Ma l’angosciata solitudine non dura molto: dalla finestra spunta infatti un inaspettato visitatore (Alessio Boni) che fin da subito appare ben intenzionato a intavolare con Sigmund Freud una conversazione sui massimi sistemi. Il grande indagatore dell’inconscio è insieme infastidito e incuriosito. Chi è quell’importuno? Cosa vuole? È presto chiaro che quel curioso individuo non è un ladro né uno psicopatico in cerca di assistenza. Chi è dunque? Stupefatto, Freud si rende conto fin dai primi scambi di battute di avere di fronte nientemeno che Dio, lo stesso Dio del quale ha sempre negato l’esistenza. O è un pazzo che si crede Dio? La discussione che si svolge tra il visitatore e Freud, e che costituisce il grosso della pièce, è ciò che di più commovente, dolce ed esilarante si possa immaginare: Freud ci crede e non ci crede; Dio, del resto, non è disposto a dare dimostrazioni di se stesso come se fosse un mago o un prestigiatore. Sullo sfondo, la sanguinaria tragedia del nazismo che porta Freud a formulare la domanda fatale: se Dio esiste, perché permette tutto ciò?
Video Gallery Il visitatore
NOTE di REGIA di Valerio Binasco
IL VISITATORE
di Éric-Emmanuel Schmitt
Da molto tempo la drammaturgia contemporanea ci ha abituati a pensare che le parole non servono più a niente. Che l’umanità è immersa in un buio silenzioso e che nessun dialogo è più capace di ‘dire’ veramente qualcosa. Per strano che possa sembrare, il Teatro per lungo tempo si è fatto ‘portavoce’ di quel silenzio e lo ha trasformato in poesia, grazie a grandi commedie classificate dell’ ‘incomunicabilità’. Autori come Schmitt, invece, sono andati fieramente in tutt’altra direzione. Hanno continuato coraggiosamente a testimoniare una cieca fiducia nelle parole e una specie di devozione per l’umana dote del dialogo.
In questa commedia, come accadeva nel teatro di tanto tempo fa, le parole sono importanti e l’autore sembra coltivare la speranza che quando gli uomini si incontrano e si parlano possono, forse, cambiare il mondo. C’è una fiducia buona, dentro questa scrittura. C’è un grande ‘Sì’, così come nella drammaturgia contemporanea, di solito, c’è un grande ‘ No’. Questo ‘Sì’ è la prima cosa che mi ha colpito del ‘ Visitatore’. È un testo coraggioso, che non ha timore di riportare in Teatro temi di discussione importanti come la Religione, la Storia, il Senso della Vita… Schmitt affronta questi temi in modo diretto, con l’innocenza di una ‘sit com’, quasi. Eliminando qualsiasi enfasi filosofica, i suoi personaggi riescono ad arrivare dritti al cuore di problemi enormi e a portare con molta dolcezza, in questo viaggio, anche gli spettatori.
Il protagonista di questo viaggio è Sigmund Freud; lo vediamo vecchio, stanco, malato. È arrivato al capolinea della vita. Per le strade della sua adorata Vienna marciano i Nazisti e lui si prepara ad andare in esilio perché ebreo. E’ un uomo che si scopre disperato, dopo aver lottato tutta la vita contro la disperazione degli altri uomini.Questo povero vecchio che, sebbene sia Freud, ci sembra in vero un povero vecchio qualsiasi e ci ispira una tenera pietà, riceve la visita di un inquietante signore: è un pazzo che dice di essere Dio in persona? O è Dio, che gioca a sembrare un pazzo? Oppure il mondo è in mano a un Dio che non è niente di più e niente di meno di un povero pazzo? E ancora: il Male, che qui è interpretato da uno dei suoi migliori rappresentanti (il Nazismo), è opera di questo visitatore che dice di essere Dio o è opera dell’Uomo? Eccetera eccetera. Ecco le domande cruciali, i dubbi sanguinosi che animano questa strana commedia. Si potrebbe pensare, a questo punto, che l’autore ci abbia regalato uno dei tanti inutili e tediosi drammi filosofici; ma non è così. Ci ha regalato invece una commedia brillante, che con eleganza conduce spesso al sorriso o al riso; che offre spunti di pensiero e di commozione con sorprendente leggerezza.
La casa di Freud è una casa qualsiasi, assediata dal buio e dalla follia del mondo. Quasi quasi, sembra casa nostra. Tutto si svolge in una triste notte di tanti anni fa, ma potrebbe essere, quasi quasi, anche stanotte. Niente è quel che sembra, questa notte: i canti nazisti a volte sembrano quasi belli, Dio sembra un matto qualunque e perfino Sigmund Freud sembra disperatamente ingenuo, come ciascuno di noi. ‘Il Visitatore’ è una rara commedia per attori, a patto che siano attori capaci di sprofondare totalmente nell’umanità fragile dei loro personaggi e capaci di evitare le insidie della retorica. Anche Dio, qui, è in fondo un “povero Diavolo”; e le domande vertiginose che questa commedia ci pone, sono da lasciare tutte, umilmente, senza risposta; tranne una, forse… Una risposta importante, a ben vedere, c’è, ed è questa: ‘ Sì ’. La domanda, però, dovrete farvela da soli.
Buon divertimento, Valerio Binasco.
GRANDE TEATRO. Da stasera a domenica al Nuovo, regia di Binasco
«Il visitatore» ironico che mette a disagio Freud
Alessandro Haber e Alessio Boni nel testo di Eric-Emmanuel Schmitt sul celebre psicanalista che incontra (forse) Dio
Ancora un autore contemporaneo al Grande Teatro. Dopo Glattauer, da stasera a domenica al Nuovo va in scena Il visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt, scrittore belga cinquattaquattenne tra i più rappresentati in Europa. Con la regia di Valerio Binasco, regista e attore già molto applaudito a Verona in Shakespeare e Goldoni, e l’interpretazione di Alessandro Haber e Alessio Boni, Il visitatore è una pièce pluripremiata che affronta temi importanti con un notevole spessore filosofico, la religione, la vita, il male, sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale.
Siamo infatti nella Vienna del 1938, nello studio di Sigmund Freud. Lo psicanalista (Haber) è vecchio e malato, sta aspettando notizie sulla figlia Anna, che è stata arrestata dalla Gestapo. In quel mentre arriva uno sconosciuto (Boni) che intavola con cui discorsi esistenziali che mettono a disagio Freud, che arriva a pensare che quell’uomo sia in realtà Dio, quel Dio in cui lui non ha mai creduto. Ma potrebbe essere un pazzo, ricercato dalla polizia. Se fosse Dio, Freud avrebbe molte domande da fargli, per prima la necessità del male che sta distruggendo l’Europa.
«È un testo coraggioso che non ha timore di riportare in teatro temi di discussione importanti» spiega il regista Binasco, «Schmitt li affronta in modo diretto, eliminando qualsiasi enfasi retorica. Si potrebbe pensare che l’autore ci abbia regalato uno dei tanti inutili e tediosi drammi filosofici: ma non è così. Ci ha regalato invece una commedia brillante, che con eleganza conduce spesso al sorriso o al riso; che offre spunti di pensiero e di commozione con sorprendente leggerezza».
Non è la prima volta che un testo di Schmitt viene rappresentato al Grande Teatro: nel 2002 Glauco Mauri e Roberto Sturno proposero Variazioni enigmatiche, nel 2012 Piccoli crimini coniugali con Paolo Valerio ed Elena Giusti. Le opere del drammaturgo e romanziere Schmitt sono arrivate anche al cinema con film tratti dai suoi libri, Le libertin, Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano (che è stato anche adattato per il teatro) e Lezioni di felicità. Il visitatore è stato rappresentato in quindici lingue e in venticinque Paesi ricevendo sempre un’accoglienza entusiastica. In Italia si ricorda l’allestimento del 1995 con Kim Rossi Stuart (Dio) e Turi Ferro (Freud), diretti da Antonio Calenda.
I protagonisti di quest’edizione del Visitatore hanno già lavorato assieme nella pièce di Yasmina Reza, Art, che è stata presentata anche a Verona nell’ambito del Grande Teatro. Haber ha un solido curriculum alle spalle, che spazia dal teatro al cinema, dalla televisione alla canzone. Boni si è invece fatto conoscere al grande pubblico grazie alla fiction Rai Incantesimo ma ben presto si è affermato al cinema con La meglio gioventù di Marco Tulio Giordana, film premiato a Cannes e da allora alterna cinema e televisione.
Completano il cast Nicoletta Robello Bracciforti (Anna Freud) e Alessandro Tedeschi (il nazista). Le musiche sono di Arturo Annecchino, le scene di Carlo De Marino, i costumi di Sandra Cardini. Traduzione e adattamento del testo sono di Valerio Binasco.
ALESSIO BONI
«Non sono ateo come Freud. Ma nemmeno
accecato dalla fede»
Nello studio di Freud irrompe un inaspettato ospite. Un visitatore, il corpo, la voce e i gesti sono di Alessio Boni, ma non è questo il punto, ci spiega l’attore. «È una cosa, potresti farlo in mille modi, un’entità che prende il corpo dell’attore. L’attore potrebbe fare mille cose e il personaggio te lo consente. Dà all’attore una grande libertà, che alla fine è una grande difficoltà. Ma alla fine devi prendere una strada. Capire come parla, come cammina…». Alessio Boni, con Alessandro Haber, sarà in scena da domani al Nuovo per Il Grande teatro: Il visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt, scrittore e drammaturgo contemporaneo belga (il testo è stato scritto nel 1993), è il quinto spettacolo in cartellone, in programma alle 20,45 fino a sabato e domenica alle 16. Il regista è Valerio Binasco.
Boni, da dove è partito Binasco?
Da dentro. Mi ha fatto fare degli esercizi su canzoni che cantavo da bambino, bisognava ritornare a quella puerilità, ritrovare l’atteggiamento fanciullesco. Poi ricordo anche gli insegnamenti di Orazio Costa e così ho lavorato con la mimesica. Immaginare è la cosa più bella.
E quindi sulla parola che sembra aver ritrovato fiducia…
Diceva Eduardo che quando un attore è stanco di esibire, allora trova verità. È la verità del distacco, la capacità di distaccarmi che mi ha fatto trovare il personaggio. Quando c’è la maieutica dentro e questa va da sola, senza concentrarsi sulla parola, allora tutto è straordinario. Quando non ci si pensa più c’è la scioltezza del distacco. Poi il personaggio è talmente fuori dai canoni che mi ha permesso di improvvisare. Con Binasco abbiamo fissato delle improvvisazioni. E quando trovavamo quella giusta, era così contento che saltava sulla sedia. Il regista mi ha riportato a scuola, bellissimo.
Il personaggio: un Godot che alla fine arriva.
Mah, rimane il dubbio. Arriva o non arriva? La fede è questa. Chi è? Un Dio, un messia? L’unica cosa che può creare nello spettatore è proprio il dubbio, il pensiero nei confronti dell’essere umano, il significato dell’etica e del suo essere morale.
Schmitt ha creato le «solite» partite a scacchi.
Sì, ha preso spunto da due antitesi, un agnostico e il massimo della fede che è Dio che s’impossessa di un corpo, quello di un attore. Però nel testo alla fine non si parla di fede ma dell’uomo, di due gladiatori che lottano fino alla fine. Per confrontarsi e cercare di capire. Dio alla fine non converte Freud ma gli racconta che la vita può essere anche misteriosa. È un testo trasversale. L’ateo troverà nello spettacolo che anche nelle sue convinzioni può esserci un momento di fragilità. perché alla fine il testo parla di quello, di noi, delle nostre fragilità.
Lei da che parte sta?
Non sono ateo come Freud, ma non sono anche così cieco per la fede. Credo a un mistero, nella contemplazione della vita. Credo nella natura, che ha un equilibrio straordinario, nessuno batte la natura. Non potrai mai dire che un pino è troppo alto. Prendo spunti dagli animali, dalla fedeltà dei cani, le alte maree, le eclissi. Binasco, ateo convinto, è sensibile, poeta, attento, misterioso e anche spirituale. Perché ha attenzione nei confronti dell’uomo. Non è un dogma o una croce sul tetto che fa la spiritualità
Questo Dio, poi, è molto familiare, quotidiano, «popular», per dirla alla Binasco.
L’autore l’aveva disegnato come un damerino. Dio entrava nello studio di Freud con cilindro e frac. Sarebbe stato uno scontro tra intellettuali, ma da Freud andavano anche i pazzi, i clochard. Dalla bassezze al sublime.
Come Shakespeare che parte dalla fogna di una fossa per toccare il sublime con un teschio in mano. Un vortice che sale e tocca vette altissime.
Fuori c’è il silenzio del male.
Si, abbiamo anche tagliato una scena. Certo doveva essere ambientato in epoca nazista per dire che il male è «fuori» ma potrebbe essere anche rappresentato nel 2015.
Freud e il visitatore ascoltano la musica di Mozart. Nella bellezza ci si salva.
Nella bellezza ci si ritrova. Ma anche “tutti voi l’amate troppo la bellezza voi uomini”. L’opera d’arte, più che la bellezza. L’opera d’arte arriva alla bellezza. Dio non ha mai conosciuto una bellezza che non avesse costruito lui, questo è Mozart. È uno dei monologhi più potenti una panacea dell’anima. C’è una frase di Chiara Lubich che mi piace molto: “L’artista è il più vicino al santo, perché se il santo dona Dio al mondo, l’artista dona la creatura più bella della terra: l’anima umana”.
E quello sparo? Chi ha mancato Freud?
Già, cos’ha mancato? Dio, l’uomo? Domanda finale straordinaria.
Un uomo misterioso
si presenta al vecchio
psicoanalista: è Dio?
Dopo il successo ottenuto da Chiara Caselli e da Paolo Valerio con Le ho mai raccontato del vento del Nord tratto dall’omonimo libro di Daniel Glattauer, Il Grande Teatro si affida ancora una volta a un autore contemporaneo: la religione, il senso della vita, il male sono i temi della pièce Il visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt, quinto spettacolo in scena al Nuovo da domani a sabato alle 20,45 e domenica alle 16 con Alessandro Haber e Alessio Boni diretti da Valerio Binasco (giovedì alle 17 l’incontro con gli attori condotto dalla giornalista Betty Zanotelli).
Scritto nel 1993, dopo il felice debutto a Parigi Il visitatore ottenne nello stesso anno in Francia ben tre premi Molière: come rivelazione teatrale, per il miglior autore e come migliore spettacolo di teatro privato. Siamo di fronte, del resto, a un testo di notevole spessore per le tematiche che tratta: la religione, il senso della vita, il male. Il tutto inquadrato in un oscuro periodo storico come fu quello del nazismo. Non sono solo le questioni che qui vengono affrontate a dare alla commedia una particolare valenza, ci sono anche e soprattutto i suoi personaggi: Sigmund Freud e il misterioso visitatore del titolo, che potrebbe persino essere Dio. La vicenda si svolge nell’aprile del 1938 in una Vienna che di forza è stata annessa al Terzo Reich. Vecchio e malato, chiuso nel suo studio, Freud (Haber) attende di avere notizie della figlia Anna, arrestata dalla Gestapo, quando inaspettatamente si presenta a casa sua un uomo misterioso (Boni) che subito si mostra desideroso di discutere con lui di problematiche di estrema importanza. Lo psicoanalista ne è infastidito e incuriosito allo stesso tempo. Ma chi è quell’intruso e che cosa vuole da lui? Forse è solo un impostore. Eppure, a poco a poco Freud pensa di avere davanti a sé nientedimeno che Dio, quel Dio nel quale lui non ha mai creduto. E se invece fosse un pazzo che crede di essere il Padreterno? Se invece lo è davvero, è necessario chiedergli perché permetta il male supremo, quel nazismo che sta distruggendo l’Europa. A meno che il male non sia solo opera dell’uomo…
Alessio Boni e Alessandro Haber hanno recitato in Art nel 2013 per Il Grande Teatro, vedi articolo e galleria foto e video
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