Il presepe ambientato a Verona di Walter Zerbato
Alla Mostra Internazionale dei Presepi in Arena si può ammirare questa Verona in miniatura realizzata da Walter Zerbato, che da decenni si dedica per passione alla ricostruzione di palazzi e monumenti scaligeri: Palazzo del Capitano, Palazzo della Ragione, Palazzo Barbieri, Piazza delle Erbe fanno da sfondo alle statuine del suo presepe.
Il Mastro Geppetto di Verona
PERSONAGGIO. Walter Zerbato ricrea la città lavorando pezzi di legno
Ha riprodotto in miniatura palazzi, monumenti, ponti e chiese del centro storico. Solo per passione e amore
Una piccola Verona segreta alta mezzo metro giace in alcuni luoghi, rigorosamente privati, della città. Una Verona in miniatura, ma nulla a che vedere con le varie Minitalia turistiche, chiassose e vagamente kitsch che si conoscono in giro. Da decenni Walter Zerbato, classe 1925, costruisce pezzi di Verona con legno leggero, perlopiù ricavato da cassette di frutta, con l’orgoglioso puntiglio di fare per pura passione e non per pubblicità, tantomeno per commercio. Il solo fatto che qualcuno gli possa commissionare una riproduzione, per esempio, lo inorridisce. Lui fa solo quel che gli piace, come e quando lo tocca l’ispirazione. «La voglia devo averla nella testa», spiega. Uno alla volta ha montato e incollato tutti gli edifici di piazza dei Signori, sì che oggi si può ricostruire l’intera piazza su un tavolo da cucina. L’ordine di grandezza è, in media, sui 50 centimetri di altezza o larghezza. Nella sua città sono entrati, via via, la Scala della Ragione, la Torre dei Lamberti, Palazzo Maffei, la Torre del Gardello, le Arche scaligere, Ponte Pietra, San Zeno, la Gran Guardia, il municipio, il ponte di Castelvecchio, l’Arco dei Gavi, Porta Vescovo, la Casa di Giulietta (Giulietta compresa). L’ultimo è il Duomo. Ora è all’esame la Domus Mercatorum, che pare essere particolarmente difficile, ma nel contempo il suo pensiero va già anche a Porta Palio. La Scala della Ragione l’ha rifatta più volte perché sulle prime non gli piaceva («gli scalini sono la cosa più difficile», spiega), ma alla fine ha suscitato la sbalordita ammirazione di un noto architetto. Il suo terreno di studio non esce dai confini dei ponti e delle porte: la sua Verona è solo quella interna a questi limiti. «La vita è qua», dice con Shakespeare. Walter Zerbato, per questo e altri motivi, è una delle memorie storiche della nostra città, e tuttora testimone attivo del cuore cittadino, ovvero Carega e piazza delle Erbe, dove lo si può facilmente trovare mentre staziona ai tavolini di qualche bar, salutato da tutti quelli che passano, magari apostrofandolo «ciao, buontempone». È il suo regno, il suo spazio vitale. Un banco in piazza Erbe ce l’aveva la nonna fin dall’Ottocento, con angurie e frutta secca. Poi subentrò la mamma, Rosa Vedovi, che vendeva — singolare accostamento forse oggi fuori norma — souvenir e amarene, mentre lui, Walter, era addetto fin da ragazzino a grattare il ghiaccio. Una volta venne multato da una ronda perché sul grembiule non aveva il distintivo fascista. Dopo la guerra un banco nuovo fiammante saluta la ripresa della vita pacifica. Sposatosi nel 1948, dalla casa in Carega (di quelle, come si suol dire, senza cesso) Walter si trasferisce in via Amanti e ha due figli: Eleonora e Ivan (quest’ultimo diventerà un noto personaggio della recente storia politica e culturale di Verona). Più avanti la mamma di Walter lascia la gestione dell’attività alla figlia di lui, infine il banco viene venduto. Oggi Walter Zerbato abita in via Fama. PER QUARANT’ANNI ha lavorato alla Fro, la vecchia industria dell’ossigeno; nessuna preparazione, dunque, nell’artigianato del legno e nella falegnameria, tanto meno in arti figurative o architettura. Puro autodidatta. Anche se fin da ragazzo già faceva cosette di legno, è nel 1949 che costruisce di sua mano un calcetto per il piccolo Ivan. Poi dei quadretti in formelle di legno. Innamorato di Verona, passa a riprodurne, uno dietro l’altro, i monumenti più amati. Pare che li sogni di notte, dopodiché si mette al lavoro, studiandoli un po’ su foto un po’ dal vero per coglierne tutti i dettagli. Sega, seghetto e colla sono le sue armi. Di usare chiodi non se ne parla. Il lavoro alla Fro non gli è mai pesato, il che gli ha permesso di dedicarsi tranquillamente al suo hobby nel tempo libero. «Tornavo a casa così leggero», racconta, «che vedendomi mia moglie mi diceva: ma hai lavorato?!» Ora che è in pensione, Walter si dedica ai suoi monumenti dalla mattina alla sera, con due pause forzate: poiché lavora sulla tavola della cucina, è costretto ad ogni pasto a sgombrare tutto. Il conseguente disappunto glielo si legge in faccia. Oggi le miniature fanno bella mostra di sé nemmeno a casa sua, ma a casa dei figli. Tra le sue opere, anche un autoritratto: si è dipinto come un clown. L’idea rende il personaggio. Sarà anche vero che lui non ama render pubblico il suo hobby, ma una bella mostra dei suoi lavori, non sarebbe ora?
C’è bisogno di dire che cosa pensa Walter Zerbato della Verona di oggi, lui, nipote e figlio di «piassarote»? «Rimpiango la piazza Erbe dei bomboloni e delle creme fritte, anche se magari giravano le pantegane. Non è più un mercato, come dovrebbe essere. E i banchi di oggi sono proprio brutti; è una vergogna aver tolto quelli di prima. Questi sembrano carri armati, o forse si ispirano ai cofani funebri dell’Aida», commenta. Non è un caso che, fra tante riproduzioni lignee, Walter abbia ricostruito anche il vecchio banchetto classico della piazza: «Dovrei portarlo a farlo vedere in Comune, per fargli capire…». «Tutti i vecchi negozi», continua sconfortato, «sono spariti. Quelli nuovi non mi piacciono, non mi convincono, stonano. Lo storico caffè Motta che dava sulla piazza Bra è stato rimpiazzato da vetrine di mutande. Dove si può andare oggi a comprare mezzo chilo di gesso se non c’è più Ferrario? E tuttavia continuo ad amarla, la mia città. Solo Venezia può competere. Ma sì, anche Roma è bella, certo. Ma non ha la grazia di Verona». Walter Zerbato è gelosissimo delle sue creazioni, ma le eccezioni ci sono state. La privacy è stata violata quando un negozio di piazza Erbe ha esposto qualche suo pezzo. In un altro caso, è stato… tradito dai i figli. Fu un tranello: gli dissero che al circolo della Cassa di Risparmio in via Rosa c’era un suo vecchio amico scrittore che voleva salutarlo, lui ci andò ma quando entrò scoprì, tra gli applausi, che non c’era alcun scrittore e che era stata allestita una mostra di sue opere. Un’eccezione ci fu anche al suo desiderio che le sue opere non venissero cedute: la mamma, la signora Rosa Vedovi, espose sul banco in piazza Erbe un paio di quadretti che andarono subito venduti. La cosa lo sconvolse al punto che Walter si rifiutò dì farne altri. «Lavoro solo ed esclusivamente per mia soddisfazione, quando voglio io e come voglio io», ribadisce. M.B.
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