Il Lazzaretto in bianco, nero e colore
Rielaborazione delle foto, in bianco e nero e un colore, del Lazzaretto di Verona
IL LAZZARETTO DI VERONA (1549 D.C.)
STORIOGRAFIA
Il primo Lazzaretto in Europa fu istituito dalla Serenissima Repubblica di Venezia nel 1423 quando stabilì che il ricovero, eretto accanto alla chiesa di Santa Maria di Nazareth dai padri Eremitani e utilizzato, fino a quel momento, per alloggiare i pellegrini in transito per andare e tornare dalla Terra Santa, fosse destinato per porre in isolamento persone infette da malattie contagiose e per tenere in quarantena, a scopo profilattico, mercanzie sospette. Ai ricoverati veniva fornito vitto, medicinali e assistenza. Dopo Venezia altre città adottarono questo sistema di segregazione e cura dei malati contagiosi: Milano prima fra tutte e poi Verona. Il termine “Lazzaretto” deriva da “Nazaretum”(Santa Maria di Nazareth) denominazione data al primo ricovero d’isolamento veneziano.
Milano si dotò di un lazzaretto iniziandone la costruzione nel 1488. La realizzazione dell’edificio con stanze in muratura rappresentò una innovazione considerato che fino a quel momento, durante le numerose epidemie di peste del XIV e XV secolo, gli ammalati venivano isolati e ricoverati in capanne di legno che per la loro precarietà non potevano essere sufficientemente e adeguatamente attrezzate.
Verona, dopo Venezia e Milano, ritenne di dover provvedere all’isolamento dei portatori di malattie contagiose, che periodicamente infierivano su Verona, riunendoli in un luogo lontano dalla città. L’esperienza di precedenti epidemie sconsigliò di isolare gli ammalati all’interno dell’abitato o di dislocarli nelle sue immediate adiacenze, dove, quando imperversava il morbo, venivano ricoverati perfino nei cosiddetti casotti, costruzioni in legno allestite in fretta e furia per fronteggiare le impellenti necessità del momento (contrade di S. Zeno e Campo Marzo).
L’occasione di istituire una apposita costruzione per isolare le persone infette da malattie contagiose si presentò nel 1539, quando l’amministrazione comunale si trovò ad avere a disposizione dei fondi provenienti dagli introiti dell’ospedale di Tomba che da tempo provvedeva alla prevenzione ed alla cura delle malattie contagiose. Venne incaricato il priore per la realizzazione del progetto, avvalendosi dell’assistenza degli ordinari consiglieri e di tre cittadini, impegnandolo all’assunzione delle relative spese di costruzione. La commissione incaricata del progetto avrebbe dovuto riferire entro pochi mesi ma certamente più di una ragione ne ritardò l’esecuzione se solamente nel 1547, otto anni dopo, il Consiglio approvò il progetto e la località – S. Pancrazio – dove sarebbe sorta l’opera (fig. 1 e 2). La zona di S. Pancrazio, per la sua posizione, fu ritenuta idonea ad ospitare il lazzaretto; infatti, il suo territorio isolato e stretto in una grande ansa dell’Adige rispondeva pienamente alle esigenze sanitarie dell’epoca sia per la sua posizione fuori delle mura sia per la sua lontananza dalla città; tale distanza avrebbe ridotto il rischio di contagio che, come allora si credeva, poteva essere propagato anche dall’aria. Inoltre nella località prescelta, trovandosi a sud di Verona nelle immediate adiacenze della sponda destra del fiume, si potevano scaricare acque reflue attinte e usate per il funzionamento della nuova costruzione; ciò non avrebbe comportato pericolo alcuno per i cittadini avendo la corrente del fiume, in quel punto, già superato la città. Per di più il concentramento in un unico complesso avrebbe permesso una adeguata dotazione di mezzi per la cura degli ammalati e una maggior sorveglianza avrebbe ridotto il rischio di fughe dei segregati da quel luogo di dolore. Venezia non poté che approvare il progetto e nel gennaio del 1549 iniziarono i lavori. La costruzione del lazzaretto andò molto a rilento tanto che fu completata solamente nel 1628, ottanta anni dopo il suo inizio. Nel 1630, nei primi giorni dell’estate, due anni dopo la provvidenziale realizzazione dell’opera, scoppiò a Verona la grande epidemia introdotta da un soldato “con un gran fagotto di vesti comprate o rubate ai soldati alemanni” di nome Francesco Cevolini che prese alloggio in località S. Salvar Corte Regia (vicino al Ponte Nuovo) presso Lucrezia Isolani. Dopo qualche giorno egli morì e seguirono la stessa sorte coloro che lo assistettero e curarono. In poco tempo il morbo, non riconosciuto e circoscritto, si diffuse rapidamente anche nei dintorni della città al punto che Venezia, seriamente preoccupata, mandò a Verona con pieni poteri il cavaliere Aloise Valleresso che una volta accertato trattarsi di peste, emanò, per arginare il diffondersi del morbo, una serie di severissime ordinanze. Chi si opponeva era “sotto pena di corda, bando, prigion, galera, confiscatione de’ beni, et anco della vita…”. La peste però, continuò a dilagare e la mortalità salì a un livello impressionante; coloro che manifestarono i primi sintomi della malattia furono caricati su barche e trasportati immediatamente al Lazzaretto che in poco tempo si riempì a tal punto da accogliere fino a 5.000 sfortunati ospiti. Le case funestate dalla peste vennero segnate con una croce e sbarrate dall’esterno; i sequestrati nelle case furono sostentati con quanto ricevevano calando con una corda la cesta dalla finestra.
La nuova costruzione per l’isolamento, seppur imponente, non riuscì a contenere altri appestati tanto che qua e là, specialmente in provincia, si rimediò costruendo improvvisati lazzaretti. Purtroppo il numero dei ricoverati e dei morti stanno a dimostrare che la medicina del tempo e le misure sanitarie adottate, seppure appropriate, non furono in grado di fermare l’epidemia. Anche le altre città colpite dalle peste non ottennero risultati migliori.
Si ha notizia che a causa della peste morirono a Verona 33.000 persone su una popolazione di circa 54.000 abitanti. Un medico veronese Francesco Pona nel suo “Gran contagio di Verona”pubblicato nel 1631 descrisse con dovizia di particolare tutte le fasi della pestilenza e con raccapriccio si legge che sulle acque dell’Adige galleggiavano i morti; mancando “luoghi, modi e ministri per interrare i cadaveri ” fu deciso di gettarli nel fiume e abbandonarli alla corrente. La paternità del Lazzaretto viene attribuita quasi unanimemente dagli storici al Sammicheli anche se alcuni indicano il nome di Giangiacomo Sanguinetto, revisore dei conti all’ospedale di S. Giacomo alla Tomba, che nel giugno del 1548 presentò un suo modello dell’opera; secondo Francesco Pellegrini questo progetto non sarebbe altro che “una riduzione, o meglio una mutilazione del primitivo disegno Sanmicheliano”. Il Sancassani pur attribuendo il progetto al Sanguinetto, forte del fatto che in tutti i documenti relativi all’opera non compare mai il nome del Sammicheli, ipotizzò però che questi avesse“effettivamente eseguito, senza però esserne stato ufficialmente incaricato, un disegno, che non conosciamo, del lazzaretto, che però non fu mai preso in considerazione, forse per l’onere della sua realizzazione”. Il Vasari attribuì al genio Sanmicheliano il progetto e a dire il vero il maestoso edificio mostra inconfondibile l’impronta della sua scuola. Visto dall’esterno, infatti, “ha un po’ l’aspetto di una fortezza per le sue merlature e per le torri d’angolo che si sopraelevano, col fabbricato centrale, sul resto che è ad un solo piano” e ben si riconosce con le costruzioni militari delle quali l’architetto Sanmicheli era un insigne ideatore. Anche il tempietto centrale la cui costruzione è stata deliberata nel 1602, dopo la morte del Sammicheli, porta inconfondibile l’impronta della sua scuola. Una particolarità progettuale del Lazzaretto è stata l’attenzione all’ acustica ambientale che permetteva, durante le celebrazioni eucaristiche dal tempio centrale, di udire distintamente la voce del sacerdote anche dalle celle poste agli angoli più lontani. Tutt’oggi questa caratteristica è ancora presente. La pianta del lazzaretto è di forma rettangolare orientata da est a ovest i cui lati misurano m 238,68 x117,11.
Nel 1821 così descrisse l’imponenza del Lazzaretto lo storico veronese Giambattista da Persico: “Gran cortile vi sta in mezzo con portici e stanze dai quattro lati, due maggiori, e due minori, quelli di arcate 51 e questi di 24. Mettono nel detto cortile quattro porte, ognuna alla metà circa di ogni lato; e nel minore a sera sta la porta del principale ingresso; un po’ elevato è il piano per meglio preservare dall’umido e dalle alluvioni le 152 stanze o celle, comprese le quattro più grandi che s’affacciavano sui lati a guisa di torri, le quali hanno un piano di sopra con le relative scale. Un secondo ordine di celle, pure a volta reale, avente ciascuna quanto occorre per abitarvi separatamente, sta di sopra di rincontro alle proprie arcate. Sopra il lato del principale ingresso si ha un altro ordine, compartito in 10 stanze al servigio del magistrato, e risponde alle cinque arcate del portico, mettendo ad esso due ordinate scale: in quattro parti uguali vien da muretti diviso il cortile per distinguere in tempi diversi le rispettive contumacie degli appestati. Ognuno dei quattro angoli del cortile ha il suo pozzo; e due ve ne stanno tra i muri che dividono il lato maggiore. Sopra tre ordini di gradini s’alza al centro del cortile un tempietto rotondo con doppio giro di colonne del nostro marmo, d’ordine toscano, differenti nell’altezza. Le colonne interne sostengono il timpano e la cupola del tempietto; le esterne forniscono il portico dattorno allo stesso, cupola e cupolini, quella coperta di piombo, questo sormontato dalla statua di S. Rocco, il gran protettore degli appestati. Nel centro del tempio v’ha l’altare a quattro facce, si ch’esso è in vista di tutti i malati; stando di rincontro ad ogni porta delle dette 152 celle.”
Come si nota, in un disegno dell’epoca, due alte mura tagliavano longitudinalmente e trasversalmente l’area interna del Lazzaretto dividendo il cortile in quattro reparti, di forma trapezoidale, ognuno dei quali era uguale al suo opposto. La suddivisione in quattro sezioni permise la separazione degli ammalati a seconda della loro gravità; al centro dell’area troneggiava il tempietto.
Alla fine del 700 il suo uso sanitario cessò per essere successivamente destinato a deposito di polveri e munizioni. Il Lazzaretto riprese la sua funzione verso la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento, per dare asilo ai soldati degli eserciti austriaci e francesi, a mano a mano che venivano colpiti da malattie contagiose. Un tedesco di nome Carlo Steeb, di religione luterana, venuto a Verona per specializzarsi nel commercio e per imparare l’italiano si convertì, dopo un lungo travaglio, alla fede cattolica e prese gli ordini sacerdotali. In quel periodo, conoscendo più lingue, fu chiamato nel Lazzaretto per fare da interprete facendo così superare le difficoltà di comunicazione sorte tra i medici e i soldati; in questo luogo di dolore don Steeb si distinse per la cura, l’amore e il conforto offerto agli ammalati ai quali si dedicò totalmente per alleviare le loro sofferenze. Fu il fondatore della Congregazione delle Suore della Misericordia che continuano a svolgere la sua missione in favore degli ammalati. Per i suoi meriti è stato ascritto tra i Beati assunti all’onore degli altari.
Successivamente, durante il periodo della dominazione Austriaca, il lazzaretto fu nuovamente utilizzato dalle autorità militari per deposito di esplosivi e munizioni e tale destinazione persistette fino alla fine della seconda guerra mondiale (1945). La sua struttura rimase intatta a eccezione della cupola del tempietto che alcuni storici riportavano già crollata agli inizi del 1900.
Nemmeno i tedeschi, nonostante avessero progettato di farlo saltare nel previsto momento della loro fuga, riuscirono a distruggerlo. Infatti, a causa della precipitosa ritirata non ebbero però il tempo di mettere in atto il loro piano di smantellamento. Ciò avvenne per mano dei fascisti qualche tempo dopo come ci ricorda Giuseppe Silvestri che “rotte a colpi di mitra le porte si introdussero nel Lazzaretto, e dando fuoco agli esplosivi, determinarono la rovina del lato orientale.”.
La distruzione completa però avvenne circa un mese dopo, il 20 maggio 1945. Una violenta deflagrazione distrusse l’antico edificio mentre al suo interno girovagavano decine di persone: alcune curiosavano intente a cercare qualcosa di utile, altre, incuranti del pericolo, rivolte al recupero dei bossoli dopo aver provveduto allo svuotamento dei proiettili. Nel tremendo scoppio, provocato dai presenti, per qualche incauta manovra nell’operazione di recupero dei bossoli, una trentina di persone persero la vita e con loro cadeva inesorabilmente al suolo la parte occidentale del lazzaretto. Dell’imponente costruzione del XVII secolo, rilevante esempio e testimonianza storica pressoché unica di architettura ospedaliera, rimasero solo tratti di fatiscenti mura e il tempietto in rovina al centro dell’area che venne parzialmente ricostruito nel 1960 in occasione delle celebrazioni Sanmicheliane.
A tenere desta l’attenzione, per evitare che sui cumuli di macerie di questo antico ospedale cadesse l’oblio più profondo, provvidero gli abitanti di borgo S. Pancrazio che non hanno mai smesso di lottare per il recupero di questa storica testimonianza di dolore.
Provvidero a istituire, nel 1978, l’ “Associazione Pro Loco Lazzaretto” con il precipuo scopo di salvare il tempietto e quanto ancora rimaneva dell’intero complesso sensibilizzando al problema autorità e cittadini. L’Associazione non se ne stette inerte, e in attesa di provvedimenti in favore dell’opera iniziò il lavoro di ripulitura del tempietto, che s’innalza al centro dell’area, da arbusti, sterpaglie e rovi che lo avevano circondato e invaso in più punti.
Ripulì le colonne il pavimento e l’altare e cancellò scritte oscene che imbrattavano colonne e scalinate. Provvide a organizzare presso il tempietto varie manifestazioni al fine di farlo conoscere, tra le quali l’annuale “Festa Alpina della campagna” con celebrazione della messa, discorso e spuntini campagnoli irrorati da corroboranti bevande offerte dalla “Farmacia Alpina”.
Richiese e ottenne la statua di S. Rocco, che a suo tempo sormontava la cupola del tempietto, in esposizione per parecchi giorni presso la chiesa parrocchiale di Porto S. Pancrazio dove una moltitudine di persone, oltre a quelle del borgo non persero l’occasione per poterla ammirare.
La Pro Loco unitamente alla società sportiva A. C. S. Pancrazio allestì, a proprie spese, su parte dell’area del Lazzaretto, sul quale la Direzione Lavori del Genio Militare Sezione Sminamento aveva provveduto a effettuare la bonifica, un regolare campo di calcio subito utilizzato dalle Società sportive veronesi e segnalato anche nella guida agli impianti sportivi pubblicata nel 1985 dal comune di Verona. Nel 1981 presentò delle proposte per la sistemazione di quest’area per trasformarla in armonia con quanto previsto dal piano regolatore a verde pubblico sportivo. Si legge tra l’altro che “l’intervento, oltre a dare una risposta alle richieste sempre più pressanti di aree di verde pubblico attrezzato, sottrarrebbe il complesso dall’attuale stato di abbandono ed impedirebbe, al tempietto, che si erge al centro dell’area e ad alcune celle, totalmente scoperchiate, ma ancora recuperabili, di rovinare irrimediabilmente. Particolare sensibilità al problema del Lazzaretto ha dimostrato, anche in tempi passati, la Sopraintendenza per i Beni Ambientali ed architettonici di Verona che, consapevole del valore storico artistico che racchiude, ha elaborato una nuova serie di interventi per salvare ciò che rimane del genio Sanmicheliano. I lavori previsti, se fine a se stessi, senza cioè una adeguata utilizzazione dell’area da parte del pubblico, risulterebbero vani e il lazzaretto ricadrebbe, entro breve tempo, nello stesso stato di abbandono nel quale versa oggi. É indispensabile, quindi, un’azione congiunta della Soprintendenza e del Comune in modo che tutta l’area venga opportunamente valorizzata sia sotto il profilo storico architettonico sia come centro sportivo ricreativo.
I servizi necessari per consentire l’attività sportiva, docce spogliatoi ecc.) potranno essere ricavati ricostruendo le celle ubicate ai lati dell’ingresso principale in modo da ricreare, esternamente, l’originale struttura architettonica. A completamento del progetto suggeriamo il collegamento del Lazzaretto con la villa Bernini-Buri e parco circostante mediante una passerella sull’Adige, riservata, esclusivamente, ai pedoni per non turbare la quiete a coloro che cercano in questi luoghi tranquilli svago e riposo.” Il progetto prevedeva oltre ai due campi di calcio e due di tennis, quattro giochi di bocce e un campo di pallavolo. La Pro Loco presentò inoltre, un percorso della salute che snodandosi tra le sponde dell’Adige ed il parco avrebbe permesso a tutti di fare del moto in un ambiente naturale incantevole.
Nel 1983 il Ministero per i Beni Culturale e Ambientali presentò un progetto speciale “Il Lazzaretto di Verona e il Sanmicheli” da finanziarsi con il fondo per gli investimenti e l’occupazione art. 56, legge n.° 526/1982.
La somma a disposizione era indubbiamente consistente; l’intero intervento comportava un investimento di £. 5.500.000.000 ( cinquemiliardi e cinquecento milioni di lire). Apriti cielo! Sui giornali apparvero titoli a caratteri cubitali nei quali si mise in discussione l’opportunità di riservare la suddetta somma per il Lazzaretto. Si lesse: “Il Lazzaretto vale 5 miliardi? ”, e ancora“Restauriamo il Lazzaretto ma pensiamo anche a Verona” e inoltre il soprintendente, in risposta a chi lo accusò di aver presentato il progetto finalizzato del lazzaretto, affermò: “Non ho mai presentato il progetto finalizzato lazzaretto- Sanmicheli ” e infine “Italia nostra: un errore”. Nessuno disconosceva che anche altre importanti opere richiedessero un urgente restauro ma come succede sempre, quando si discute troppo e non si trova l’accordo, va a finire che non si ottiene niente. Così è stato. Pertanto oggi nel 2002 siamo ancora in attesa di iniziative per recuperare il tempietto e l’area attorno di oltre 30.000 mila metri quadrati. E’ di questi giorni la notizia che il Comune, mantenendo fede all’impegno assunto dal Sindaco qualche mese fa, di accollarsi la spesa per lo sminamento, abbia affidato l’incarico dei lavori ad una ditta specializzata che inizierà in questa prima settimana di Aprile la bonifica del Lazzaretto. Finalmente il primo importante passo, premessa indispensabile per un prossimo utilizzo dell’area e la salvaguardia di quanto rimane del complesso Sanmicheliano, sta per essere compiuto. Speriamo che in un immediato futuro si provveda a salvare quanto rimane del Lazzaretto e l’intera area allacciata a quella di bosco-Buri, con un collegamento tra le rive dell’Adige, venga messa a disposizione dei cittadini dove potranno, camminando tra queste storiche memorie, passare ore liete osservando il lento scorrere del fiume immersi in un’oasi di verde.
Nell’aprile 2012 il Comune di Verona e il FAI (Fondo Ambiente Italiano) hanno firmato un protocollo d’intesa per il restauro e la riqualificazione del luogo come punto fondamentale del Parco dell’Adige sud (Vedi documentazione sotto riportata).