Il katana e la spada: informazioni e dimostrazioni in Gran Guardia
Palazzo della Gran Guardia
Giovedì 30 aprile 2015, ore 17.30
Ingresso libero
Il Presidente e il Consiglio Direttivo dell’Associazione Culturale Hashi di Verona, con il patrocinio del Comune di Verona, organizzano nell’ambito del progetto “Il Giappone a Verona e provincia: due mondi si incontrano 2015”, un incontro informativo e culturale con un breve excursus storico sull’evoluzione del valore sociale e spirituale che il Katana e la Spada hanno ottenuto rispettivamente in Giappone e in Europa. Il confronto avverrà con l’intervento di due esperti internazionali che spiegheranno come le armi da combattimento hanno assunto nei secoli un profondo significato nelle rispettive culture, al di là dell’utilizzo nei conflitti bellici.
Al termine delle relazioni si terrà una breve dimostrazione pratica per ciascuna delle due armi nel Loggiato del Palazzo della Gran Guardia.
Relatori:
Luigi Carniel, Maestro di Arti Marziali, Presidente dell’Accademiè Neuchateloise des Arts
Martiaux Japonais di Neuchatel (Svizzera), della Koryū Budō Seifūkai (che riunisce diversi dōjō europei) e Direttore Tecnico della scuola di arti marziali Taki No Kan di Verona per il Daitō Ryū Aikijūjutsu e per il Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū.
Andrea Lupo Sinclair, direttore tecnico e fondatore di FISAS (Federazione Italiana Scherma Antica e Storica) la prima associazione federativa indipendente mai creata al mondo per la pratica della Scherma Tradizionale, Antica e Storica, e della Accademia “Manuela Lecchi” (Legnano – MI).
Modera Diego Donadoni, Presidente dell’Associazione Culturale Hashi di Verona e Laureato in Lingua e Letteratura Giapponese all’Università Cà Foscari di Venezia
Katana
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
La katana (刀?), anche italianizzato catana,[1] è la spada giapponese per antonomasia. Anche se molti giapponesi usano questa parola per indicare genericamente una spada, il termine katana si riferisce più specificamente ad una spada a lama curva e a taglio singolo di lunghezza superiore a 2 shaku (60 centimetri circa) usata dai samurai.
Nonostante permettesse efficacemente di stoccare, la katana veniva usata principalmente per colpire con dei fendenti, impugnata principalmente a due mani, sebbene Musashi Miyamoto, ne “Il libro dei cinque anelli”, raccomandasse la tecnica a due spade, che presupponeva l’impugnatura singola. Veniva portata con il filo rivolto verso l’alto, in modo da poterla sguainare velocemente con abili movimenti, e che in nessun modo il filo della lama potesse danneggiarsi nel tempo sfregando, a causa della forza di gravità, contro l’interno del fodero.
L’arma era portata di solito dai membri della classe guerriera insieme alla “wakizashi”, una seconda spada più corta (fra 1 e 2 shaku). La combinazione delle due spade era chiamata daishō (大小), e rappresentava il potere o classe sociale e l’onore dei samurai, i guerrieri che obbedivano al daimyō (feudatario). Più precisamente la combinazione daishō era costituita fino al XVII secolo da tachi e tantō, e solo in seguito da katana e wakizashi.
Quattro lame Daito (per katana) ed una Sho-to (per wakizashi)
La produzione di spade in ferro inizia in Giappone alla fine del IV secolo, quando i Turco-mongoli, invasero il Giappone dalla Corea, e vi introdussero le katkane che erano le spade curve turche, simili al Dao cinese, che in seguito divenne la katana che conosciamo oggi. Inizialmente si tratta di spade curve alla turca a imitazione delle lame cinesi (Dao) dalle quali i giapponesi appresero la tecnica della tempra differenziale. In seguito, nel periodo Heian (782-1180) le spade giapponesi assumono la classica forma ricurva, sono più lunghe della katana e vengono usate spesso a cavallo e montate in configurazione tachi (con la lama rivolta verso il basso). Nel periodo Kamakura (1181-1330) la tecnologia produttiva raggiunge livelli senza precedenti e si ha la comparsa delle celebri “cinque scuole” di maestri spadai, corrispondenti ad altrettante zone di estrazione mineraria:
Scuola Yamashiro (Kyoto), lame slanciate ed eleganti.
Scuola Yamato (Nara), lame simili alle Yamashiro ma più spesse lungo la costola. Il grande Masamune, il più famoso fabbricante di spade di tutti i tempi apparteneva a questa scuola.
Scuola Bizen (Okayama), dove venne prodotto il 70% di tutte le spade del Giappone antico. Sono riconoscibili da una serie di dettagli tra cui la caratteristica curvatura (sori) detta anche Bizen sori.
Scuola Soshu (Sagami), spade larghe, lunghe e pesanti.
Scuola Mino (Seki), simile alla precedente.[2]
Il katana come noi lo conosciamo inizia ad apparire intorno alla metà del periodo Muromachi (1392-1573), in particolare con la massificazione del combattimento del Sengoku Jidai; si tratta in essenza di una rivisitazione delle spade da cavalleria usate nei secoli precedenti che vengono adattate ad un utilizzo da fanteria. Sono lame più corte e con una curvatura meno pronunciata, non vengono più montate in configurazione tachi ma in uchikatana (con la lama rivolta verso l’alto). Molte lame antiche vengono accorciate (o-suriage) e trasformate in katana.
Il periodo Momoyama (1573-1599) è un periodo di transizione alla fine del quale il Giappone viene unificato sotto il potere della dinastia dei Tokugawa che pone fine alle guerre. Con la fine delle guerre finisce il periodo della spada antica (koto) e inizia il periodo della spada nuova (shinto). La funzione del katana cambia: diviene più uno status symbol o un’arma da duello che uno strumento da guerra vero e proprio. In questo periodo si ha quindi la scomparsa delle cinque scuole e una fioritura di varianti stilistiche. Ora le spade vengono prodotte a partire da acciaio proveniente dagli stessi siti da cui viene estratto ormai con metodi semi-industriali e spesso si assiste ad una particolare attenzione al fornimento e alle decorazioni più che alle qualità belliche dell’arma in sé.
Dal 1804 si assiste ad un tentativo di ritornare alle tradizioni antiche. Alcuni spadai si sforzano di riscoprire i segreti delle cinque scuole del tempo antico e creano nuovamente spade di grande qualità anche se non pari ai capolavori del passato. Questo periodo è detto Shinshinto (“nuovo periodo della nuova spada”, 1804-1876).
Nel 1876 l’editto imperiale chiamato haitōrei, che vieta di portare in pubblico le spade, determina la fine della classe sociale dei samurai e della produzione delle spade. Ora le uniche spade prodotte sono le gendaito (spade moderne) che, sul modello occidentale, armano gli ufficiali dell’esercito. Si tratta in questo caso di spade di non grande valore, prodotte spesso con metodi semi-industriali e non paragonabili alle katana dei periodi precedenti.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la produzione di katana tradizionali giapponesi è stata regolamentata e i moderni artigiani si sforzano nuovamente di produrre spade di grande valore seguendo e riscoprendo le antiche tradizioni. Creano così le shinsakuto (spade contemporanee), molto costose, che hanno mercato tra gli estimatori e i collezionisti.
A questo tipo di mercato si affianca quello ad indirizzo sportivo delle moderne repliche di katana da pratica. Esse vengono spesso realizzate tramite metodi semi-artigianali e si avvalgono di macchine a controllo elettronico per la produzione a basso costo. Sebbene negli ultimi tempi la loro qualità sia in molti casi nettamente migliorata, siamo in genere ancora ben lontani dalla qualità degli esemplari storici, sia per il tipo di acciaio che per la geometria della lama (troppo spesso queste spade sono eccessivamente pesanti e sbilanciate in avanti).
Negli ultimi anni la tecnologia dell’acciaio ha raggiunto tali livelli da consentire, in linea teorica, di costruire katane migliori di quelle dei grandi forgiatori del passato. I nuovi acciai e le nuove metodologie di tempra (tempra bainitica/martensitica, acciaio amorfo, etc.) consentono, sempre in linea teorica, di costruire lame che combinino una durezza e una resilienza mai raggiunte prima. Questi tentativi vengono visti da alcuni con entusiasmo e da altri come una deprecabile rottura delle tradizioni. Va comunque detto che, al momento, anche i migliori tentativi non consentono di eguagliare i capolavori del passato che sono spesso un’accurata sintesi di geometria, trattamento termico e di molti altri fattori.
In tempi recenti vi è stata una proliferazione di modelli esclusivamente espositivi. Il termine katana in questo caso è inappropriato in quanto non si tratta di vere e proprie spade, ma repliche costruite con acciaio inossidabile totalmente inadatte all’utilizzo marziale. Sono tuttavia molto economiche ed esteticamente gradevoli per un occhio non esperto.
Nel complesso, il periodo d’oro della spada giapponese è sicuramente il periodo antico (Koto), in cui vennero create lame a tutt’oggi insuperate e tra le più ricercate dai collezionisti.
Da quando l’arte dell’uso della spada per i suoi scopi originari è diventata obsoleta, il kenjutsu viene sostituito dal gendai budo, insieme di moderni stili di combattimento per altrettanto moderni combattenti. L’arte di estrarre la katana si chiama iaido, o battōjutsu o iaijutsu, mentre il kendo è una scherma praticata con la shinai, una spada di bambù, in cui i praticanti sono protetti dal tipico elmetto e dall’armatura tradizionale.[3][4]
Morfologia
Tsuba
L’insieme delle “finiture” del katana viene definito con il termine koshirae.[5]
La montatura della katana si compone di:
guardia (tsuba, 鍔), solitamente metallica, posta tra il manico e la lama per proteggere le mani;
impugnatura (tsuka) in legno è ricoperta di pelle di razza (same), rivestita con una fettuccia di seta, cotone o pelle intrecciata (tsuka-ito), atta a migliorare la presa e ad assorbire il sudore; tra i vari intrecci dello tsukaito, trovano posto i menuki (fuchi e kashira), due piccole decorazioni in metallo inserite tra gli avvolgimenti dello tsukaito, una da un lato e una dall’altro. Il modo con cui l’impugnatura è avvolta dallo tsukaito è definito tsukamaki;
il fondello.
Il fodero (saya, 鞘) è realizzato in legno di magnolia laccato ed è rifinito da:
koiguchi (鯉口) e kojiri: venivano applicati rispettivamente all’imboccatura del fodero e all’estremità opposta. Il koiguchi è fatto in corno di bufalo mentre il kojiri in corno o in metallo;
sageo (下緒): fettuccia di cotone intrecciata secondo vari tipi di trame e di svariati colori e tipologie. Aveva in passato utilità come cordino multi uso o per finalità estetiche, veniva annodato infatti in diversa maniera intorno al fodero secondo la moda del periodo, ed era utilizzato per fissare il fodero alla cintura (obi, 帯);
kurikata: anello solitamente in corno applicato al fodero a circa un palmo dal koiguchi, serve come passante per il sageo.
La lama vera e propria invece si divide in codolo (nakago, 中子), corpo (mi) della lama che termina con la punta (kissaki, 鋒). Il sugata è la forma che assume complessivamente la lama. Vista invece dal dorso al tagliente la lama si divide in:
mune (胸): il dorso della lama. Può essere distinto in vari tipi: hikushi (basso), takashi (alto), mitsu (a tre lati), hira o kaku (piatto), maru (arrotondato).
shinogi-ji (鎬): il primo dei due piani che formano la guancia della lama. Su di esso di possono trovare profonde incisioni longitudinali, solitamente sul primo terzo della lama, rappresentanti disegni (horimono, 彫物) o caratteri sanscriti (bonji, 梵字). Qui può essere presente anche un solco da entrambi i lati (hi) atto ad alleggerire ed bilanciare la lama.
shinogi (鎬): la linea (costolatura) di divisione tra i piani. Nella forma di lama denominata shinogi-zukuri, dopo il cambio di piano del kissaki determinato dalla linea di yokote, lo shinogi prende il nome di ko-shinogi.
ji: il secondo dei due piani che formano la guancia della lama.
hamon (刃文): la linea di tempra che caratterizza la katana ed ottenuta tramite tempra differenziata.
ha: la parte temprata ed affilata.
Hamon e bōshi
Il particolare tipo di tempra “differenziata” tra dorso e filo produce una linea di colore leggermente diverso sul tagliente, detta hamon (刃文). La forma dello hamon costituisce un segno identificativo, per un occhio esperto, dell’epoca della lama e dell’autore costruttore (tōshō, 刀匠). Riportiamo alcuni tipi di hamon accompagnati dal significato letterale e dal periodo storico a cui si possono riferire:
ko-midare (小乱れ): “dritta frastagliata piccola” – periodo Heian (987-1183);
sugu-ha (直ぐ刃): “dritta” – periodo Kamakura (1184-1231);
notare-ha: “finemente ondulata” – era delle Dinastie Nordiche e Meridionali (1334 -1393);
hitatsura (皆焼): “tutta fiammeggiante” – era delle Dinastie Nordiche e Meridionali (1334 -1393);
midare-ha (乱れ刃): “irregolare” – periodo di Mezzo Muromachi (dopo il 1467);
gunome-ha: “ondulata largheggiante come le nuvole” – periodo di Koto (circa 1550);
kiku-sui-ha (菊水葉): “a fiori di crisantemo che galleggiano sull’acqua”, che i francesi chiamano extremement alambiquè, in quanto simile ai vapori che si producono nell’alambicco – primo periodo dell’era di Edo (1600);
sambon-sugi-ha: “gruppi di tre abeti”, ove il centrale è più alto degli altri due – periodo Edo (1688-1704);
toran-ha: “ondulato come le onde dell’oceano” – periodo finale di Edo (1822);
Kissaki
La parte di hamon visibile sulla punta della lama (kissaki) si chiama bōshi (母子, “pollice”). Riportiamo alcuni tipi di bōshi accompagnati dal significato letterale e dal periodo storico a cui si possono riferire:
kaen bōshi (火炎): “a forma di fiamma” – era Hogen (1156-1159);
jizo bōshi: “a forma di testa di prete” – era Hogen (1156-1159);
kaeri tsuyoshi bōshi: “solo sul dorso della punta, rivoltato” – primo periodo Kamakura (1170-1180);
ichimai bōshi: “area della punta interamente temprata” – periodo Kamakura (1170-1180);
yaki zumete bōshi: “attorno al filo della punta”, che termina sul dorso senza Kaeri, Periodo Meiji (1868-1912);
mru bōshi: “a forma di gruppo di persone”;
midare bōshi: “area temprata irregolarmente”, era Hogen (1156-1159).
Procedimento costruttivo[modifica | modifica wikitesto]
Il katana veniva forgiato alternando strati di ferro acciaioso, con percentuali variabili di carbonio. L’alternanza di strati le conferiva la massima resistenza e flessibilità. Si partiva da un blocchetto di acciaio (tamahagane, 玉鋼) che veniva riscaldato e lavorato mediante piegatura e martellatura. Le piegature successive producevano un numero di strati molto elevato: poiché ad ogni piegatura il numero degli strati veniva raddoppiato, con la prima piegatura da due strati se ne ottenevano quattro, con la seconda otto e così via. Alla fine della lavorazione, dopo quindici ripiegature, si arrivava a 32768[6] strati. Ulteriori ripiegature erano considerate inutili in quanto non miglioravano le caratteristiche finali.
Successivamente veniva definita la forma generale della lama: la lunghezza, la curvatura, la forma della punta (kissaki, 切っ先). Il filo veniva indurito mediante riscaldamento e successivo raffreddamento in acqua (tempra). La lama veniva poi sottoposta ad un lungo procedimento di pulitura eseguito con pietre abrasive di grana sempre più fine. L’ultima finitura era eseguita manualmente con particolari barrette di acciaio. Tutto il procedimento veniva effettuato in modo da esaltare il più possibile le caratteristiche estetiche della lama.[7][8]
Il procedimento costruttivo tradizionale viene ancor oggi tramandato di generazione in generazione, dal mastro forgiatore all’allievo forgiatore. La tecnica di forgiatura prevede generalmente le seguenti fasi:
preparazione dei materiali per la fusione: grande quantità di carbone, pezzi di ferro sminuzzato e minerale di ferro fusi in una fornace (tatara), all’aperto o nella fucina; il pezzo d’acciaio di fusione viene quindi raccolto in una ciotola apposita e trasformato in un blocco approssimativamente cubico d’acciaio.
pulizia delle crepe e delle irregolarità: il blocco cubico grezzo viene sottoposto a pulizia, poi forgiato e trasformato in un parallelepipedo grezzo e irregolare, quindi ulteriormente forgiato e sezionato a metà. Questo processo viene ripetuto da quattro a otto volte, prima che il pezzo d’acciaio sia pulito e utilizzabile.
forgiatura: il parallelepipedo d’acciaio viene sottoposto a forgiatura, portandolo al calor rosso e battendolo, piegandolo e ribattendolo fino a quindici volte, come spiegato sopra, fino ad ottenere una stratificazione dell’acciaio. Questa tecnica ricorda un procedimento medievale con cui si produce un tipo di acciaio chiamato damasco (infatti i primi ad aver fatto spade con acciaio stratificato sono stati gli arabi Omayyadi nel corso del nostro Medioevo, che avevano però appreso in precedenza tecniche d’origine indiana). Questa stratificazione è necessaria per rendere la lama flessibile ma nel contempo molto dura, addirittura così dura da non intaccarsi nemmeno con fendenti di lama su corazza o su altra spada. L’estrema durezza permette inoltre di affilare un filo molto fine e quindi molto tagliente senza renderlo troppo fragile.
forgiatura finale: più comunemente per ottenere la forma finale della spada, si uniscono due tipi d’acciaio, uno dolce e uno duro, formando un’anima interna (acciaio dolce), un filo e un dorso esterni (acciaio duro). In realtà esistono vari tipi di procedimenti in questa fase e molto dipende dall’abilità dell’artigiano nella buona riuscita dell’opera.
tempra: dopo che tutta la lama viene cosparsa di particolari tipi di argille con peculiari proprietà di refrattarietà al calore, la lama viene portata al calor rosso, poi viene immersa in acqua tiepida circa a 37° Celsius. Questa tempratura differenziata permette di ottenere un corpo più flessibile ed un filo più duro.
rifinitura della lama: fase finale detta togi di competenza di un artigiano specializzato, chiamato togishi, addetto esclusivamente a questa operazione. Questa pratica conferisce una grande bellezza ed eleganza alla lama e ne conferisce l’affilatura. Le riproduzioni di scarsa qualità non sono trattate con metodi tradizionali ma vengono in questo caso lucidate in vari modi spesso con l’utilizzo di mole o carte abrasive.
Il codolo (nakago), cioè la parte di lama all’interno dell’impugnatura, veniva rifinito con colpi di lima disposti in varie forme a seconda delle scuole e delle epoche, e ad esso veniva praticato il mekugi ana, un piccolo foro nel quale si fissava un piccolo piolo di bambù, chiamato caviglia (mekugi, 目釘) che fissa il corpo della spada all’impugnatura in legno.
A questo punto la lama è finita e si provvede a dotarla di tutte le finiture del koshirae.
I primi forgiatori di spada giapponesi erano monaci buddhisti Tendai o monaci di montagna guerrieri chiamati yamabushi. Erano alchimisti, poeti, letterati, invincibili combattenti e forgiatori di lama, avevano conoscenze vastissime per la loro epoca e il luogo in cui vivevano, e per loro la costruzione di una lama costituiva una vera e propria pratica ascetica.
Cura e conservazione della katana[modifica | modifica wikitesto]
La cura e la conservazione della katana segue le stesse regole generali che si applicano nel rituale del tè o nella calligrafia (shodō) o nel bonsai o nell’arte di disporre i fiori (ikebana).
Dopo aver smontato la lama dal koshirae la si cosparge con una polvere (uchiko) ricavata dall’ultima pietra utilizzata per la pulitura (uchigomori) tramite un tamponcino. Successivamente, usando della carta di riso piegata tra pollice ed indice, si rimuove la stessa con un movimento dal nakago (codolo) al kissaki (punta della lama) pinzando la lama con il mune (dorso) verso la mano. In seguito, con un altro panno leggero (o carta di riso), imbevuto parzialmente di olio di garofano raffinato (choji abura), si passa di nuovo tutta la lama con lo stesso movimento utilizzato per rimuovere l’uchiko. La prima operazione rimuove tracce di ossidazione e grasso lasciato dalle dita durante il rinfodero, la seconda operazione invece serve per evitare ossidazioni successive.