Il Grande Teatro 2015-2016: 30 anni e 10 e lode
Teatro Nuovo di Verona
Rassegna Il Grande Teatro
Novembre 2015 – Aprile 2016
Dal 10 al 15 novembre 2015
“Decamerone Vizi, virtù, passioni”
adattamento e regia Marco Baliani
Dal 24 al 29 novembre 2015
“Sarto per signora”
adattamento e regia Valerio Binasco
Dall 8 al 13 dicembre 2015
“Scandalo”
regia Franco Pero
Dal 12 al 17 gennaio 2016
“Il testamento di Maria”
regia Marco Tullio Giordana
Dal 26 al 31 gennaio 2016
“The pride”
regia Luca Zingaretti
Dal 23 al 28 febbraio 2016
“Provando…dobbiamo parlare”
regia Sergio Rubini
Dal 15 al 20 marzo 2016
“Il deserto dei Tartari”
regia Paolo Valerio
Dal 5 al 10 aprile 2016
“Carmen”
adattamento e regia Mario Martone
Foto e video della conferenza stampa
Biglietti disabile+accompagnatore a 10 euro
Il Teatro Nuovo è firmatario del Manifesto dei Teatri accessibili e aderisce alla promozione Teatri 10 e lode
Ultimi 10 post Teatro Nuovo di Verona
- Il Teatro Stabile di Verona ha ottenuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali il riconoscimento di Centro di Produzione Teatrale
- Torna Romeo e Giulietta itinerante del Teatro Nuovo
- Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia in Non mi hai più detto ti amo
- Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio al Nuovo con Delitto e castigo
- Una delle ultime sere di Carnovale
- Raoul Bova e Chiara Francini in Due
- Enrico Bertolino, Di male in seggio
- Il nome della rosa per Il Grande Teatro
- Francesco Alberoni e Domenico De Masi dialogano di amore e solidarietà
- SEO & Content, la grande storia d’amore
Programma in dettaglio
10 – 15 novembre 2015 (feriali alle ore 20.45, la domenica alle 16.00)
Decamerone
Vizi, virtù, passioni
Teatro Nuovo
NUOVO TEATRO DIRETTA DA MARCO BALSAMO
IN COPRODUZIONE CON FONDAZIONE TEATRO DELLA PERGOLA DI FIRENZE – TEATRO DELLA TOSCANA
liberamente tratto dal Decamerone di: Giovanni Boccaccio
Drammaturgia: Maria Maglietta
Scene e costumi: Carlo Sala
Disegno luci: Luca Barbati
Foto di: Andrea Pirrello
aiuto alla regia: Maria Maglietta
assistente scene e costumi: Roberta Monopoli
adattamento teatrale e regia: Marco Baliani
con: Stefano Accorsi, Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu, Naike Anna Silipo
Sulla scena è parcheggiato un carro-furgone, “casa” e teatro viaggiante della compagnia che si appresta a mettere in scena l’opera. La modularità del carro, favorirà la messa in scena di sette novelle del Decamerone, permettendo di volta in volta la creazione degli spazi e delle suggestioni necessarie alle storie che si vanno a narrare.
Una grande passione anima la compagnia, ma non altrettanto grandi sono le loro risorse materiali, si alterneranno quindi in un susseguirsi di ruoli e vicende, forti della loro arte teatrale.
NOTE DI REGIA
Le storie servono a rendere il mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta faticosamente vivendo.
Le storie servono ad allontanare, per un poco di tempo, l’alito della morte.
Finché si racconta, e c’è una voce che narra siamo ancora vivi, lui o lei che racconta e noi che ascoltiamo.
Per questo nel Decamerone ci si sposta da Firenze verso la collina e lì si principia a raccontare. La città è appestata, servono storie che facciano dimenticare, storie di amori, erotici, furiosi, storie grottesche, paurose, purché siano storie, e raccontate bene, perché la morte là fuori si avvicina con denti affilati e agogna la preda.
Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad essere appestato è il nostro vivere civile.
Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare.
In questa progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio attraverso le nostre voci di teatranti.
Per ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori paesaggistici e naturali, un’altra Italia, che non compare nei bollettini della disfatta giornaliera con la quale la peste ci avvilisce.
Per raccontarci storie che ci rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality in cui ci ritroviamo a recitare come partecipanti di un globale Grande Fratello.
Perché anche se le storie sembrano buffe, quegli amorazzi triviali, quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo sberleffo, mostrano poi, sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell’amarezza lucida che risveglia di colpo la coscienza. Potremmo così scoprire che il re è nudo, e che per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti.
Marco Baliani
ERRETITEATRO30
Di: Georges Feydeau
Traduzione e adattamento: Valerio Binasco
Scena: Carlo De Marino
Costumi: Sandra Cardini
Luci: Pasquale Mari
Regia: Valerio Binasco
con: Emilio Solfrizzi, Anita Bartolucci, Barbara Bedrina, Fabrizio Contri, Cristiano Dessì, Lisa Galantini, Simone Luglio, Fabrizia Sacchi, Giulia Weber
E’ talmente pura l’arte comica di Feydeau, che molti miei colleghi ne restano imbarazzati. Io invece ritengo Feydeau uno dei più grandi autori del mondo. Il fatto, poi, che abbia scritto soltanto esilaranti commedie di situazione, che già alla sola lettura fanno ridere perché stimolano irresistibilmente l’immaginazione scenica, lo colloca nel ristretto numero degli autori teatrali ‘puri’, che non fanno letteratura, ma grande Teatro. C’è una poesia tutta speciale, nell’arte di far ridere. Ed è la poesia dei ‘caratteri’. Dell’umanità stramba. Che si ficca in situazioni impossibili, e ne esce all’ultimo secondo con un impossibile balzo. E’ il balzo che tutti vorremmo saper fare. Lo sguardo di Feydeau sui temi più importanti della vita (come l’amore, il matrimonio, il successo sociale ) è talmente immorale e superficiale, che sembra riscattare beffardamente la pesantezza della vita. Ha fatto scandalo ai suoi tempi, e in modo diverso continua a farlo.
Un tempo era uno scandalo legato ad eccessive libertà sessuali. Oggi lo scandalo è intimo, quasi ideologico, e deriva non più dalla sua immorale superficialità, ma dalla sua capacità di suggerire un senso della vita talmente lieve e godibile, da farci desiderare di essere immuni da ogni peso , da ogni responsabilità ,come tutti i suoi personaggi, del tutto immuni da qualsiasi senso di colpa. E’ un poeta capace di creare esseri senza peso, immersi in situazioni pesantissime. Questa leggerezza gli viene dal teatro dei burattini, e mi sembra che sia una magnifica eredità, che tutti i teatranti dovrebbero prima o poi condividere. E’ un poeta del comico del tutto libero da qualsiasi tentazione intellettualistica. Impressiona il fatto che il ‘suo’ teatro sia fiorito – con grandioso successo di pubblico – nell’epoca dei grandi concettualismi, di tutti gli ‘ismi’ possibili. Nell’epoca che si preparava alla guerra , il teatro reclamava un posto importante nella società, e si trasformava in letteratura. Feydeau invece si rivolge agli attori e al pubblico. Scrive un teatro che necessita solo di un palcoscenico e di grandi interpreti. Interpreti che sappiano essere ‘grandi’ come i burattini del Guignol. E che se ne freghino di tutto il resto. Sono onorato di dirigere questo capolavoro della leggerezza, e di poterlo fare con un ensemble di attori come questa. Come spesso accade, tra le righe di un capolavoro di leggerezza, ci sono poi tanti livelli da esplorare. Quello più impressionante, per me, è la cura che questo grande scrittore dedicava a tutti i dettagli del comico. È una macchina che scorre velocissima, la sua, ma il meccanismo è delicato e minuzioso. Bisognerà stare attenti a non trascurare nemmeno il rumore della maniglia di una porta, perché è ‘pensato’ per contribuire a quella sinfonia perfetta che sono i suoi copioni.
Occorre molta delicatezza, e molta leggerezza d’animo, per accostarsi a una scrittura come questa. Il
regista deve trasformarsi in una specie di direttore d’orchestra, attento ad ogni minimo strumento. Ma così è, quando si incontra il grande teatro scritto per il palcoscenico e per gli attori. L’unico teatro capace di creare pura gioia.
Valerio Binasco – settembre 2014
Scambi d’identità, sotterfugi, equivoci, amori segreti sono gli elementi base per questo divertente vaudeville. La commedia è ambientata a Parigi e narra del dottor Molineaux, fresco di matrimonio ma dai dubbi comportamenti coniugali. Il protagonista in questione, infatti, avendo un animo libertino, tradisce la moglie con un’avvenente signora, e per poter incontrare la sua amante senza destare alcun sospetto si finge sarto, creando così una serie di simpatiche ed esilaranti gag che coinvolgono tutti i protagonisti della piéce. Una comicità amplificata dal virtuosismo tecnico dell’autore capace di assommare colpi di scena comici ed equivoci con la precisione di un chirurgo. I personaggi dell’ opera sono quelli tipici della commedia degli equivoci. E in effetti, in “Sarto per signora” le incomprensioni, casuali e volute, non mancano di certo. Feydeau preparava i suoi testi secondo schemi geometrici in cui le uscite e le entrate, gli incontri impossibili, le false scoperte, i rimandi e le coincidenze, disegnavano figure impeccabili. Il suo gioco di agnizioni, però, i congegni comici, si rivelavano strutture costruite appositamente per riempire il vuoto di valori di una società borghese fondata solo sull’apparenza.
La follia catastrofica senza senso rivelava alla fine sulla scena un crollo totale dei valori. L’attualità di questo commediografo francese, sta nel fatto che il pubblico di oggi, rivedendo i suoi vaudevilles, non li considera affatto come figli di un’epoca determinata, passata e superata, ma coglie in essi una relazione con il presente e con la società attuale. Nelle sue opere, dove la parabola degli equivoci porta quasi ad un’assurda comicità tragica, vi è la chiave per capire molto teatro contemporaneo, le logiche conseguenze, i contraltari, le appendici deliranti, i commenti, i corollari, in autori fra i più disparati come Cechov, Wedekind, Beckett, lonesco, e Brecht stesso (in “Nozze piccolo borghesi”).
In “Sarto per signora” c’è già tutto l’estro e lo stile di Feydeau: la trama è basata sul classico triangolo adulterino: lui, lei, l’altro o l’altra, ma soprattutto, quello che non manca mai, è la concentrazione di tutti i personaggi in un solo luogo, dove si incontrano tutti quelli che non si sarebbero mai dovuti incontrare: mariti, mogli, amanti, amanti dei mariti, amanti delle mogli. La sua produzione di opere, tutte da ridere, è uno specchio deformato del suo tempo: la Bella Epoque, di quel periodo privo di preoccupazioni, e che sfociò, poi, tragicamente, nella Grande Guerra. Al centro di molte opere di Feydeau c’è la coppia coniugale, in cui si consumano tradimenti, ipocrisie e malintesi. L’irresistibile comicità di Feydeau nasce dal dialogo serrato e dalle battute brevi e pungenti dei personaggi, ma anche dalle situazioni irreali che derivano da
equivoci e malintesi.
Anche in “Sarto per signora”, il bugiardo Dott. Moulineaux prima si giustifica con delle scuse con la moglie Yvonne per aver passato la notte fuori casa, poi cerca di tradirla con Susanna, la moglie del generale Aubin: le dà appuntamento in un dismesso atelier sartoriale che gli è stato affidato da un amico, Bassinet, per le sue scappatelle e, a causa di una porta che non si chiude, i due amanti vengono scoperti. A Moulineaux non rimane altro che fingersi sarto con conseguente inizio di una serie di episodi paradossali che sono portati avanti fino alle estreme conseguenze. Il meglio della commedia francese dopo Moliére: torna sulla scena la prima piéce di Georges Feydeaux.
8 – 13 dicembre 2015
Scandalo
PreviousNext
Di: Arthur Schnitzler
Traduzione di: Ippolito Pizzetti
con: Stefania Rocca, Franco Castellano
e con la Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia: Filippo Borghi, Adriano Braidotti, Federica De Benedittis *, Ester Galazzi, Andrea Germani, Lara Komar, Riccardo Maranzana, Astrid Meloni *
(* attori ospiti)
e: Alessio Bernardi
Regia: Franco Però
Scene: Antonio Fiorentino
Costumi: Andrea Viotti
Luci: Pasquale Mari
Musiche: Antonio Di Pofi
Foto di scena: Tommaso Le Pera
Coproduzione: Teatro Stabile del Friuli Venezia
Giulia, Artisti Riuniti e Mittelfest 2015
Testo inedito e mai rappresentato in Italia
Scritta nel 1898, Das Vermächtnis, questa bellissima commedia tutt’ora inedita in Italia, potremmo raccontarla anche così: immaginiamo che, oggi, il figlio adorato di una famiglia dell’alta borghesia si innamori di una ragazza proveniente da un altro mondo, un mondo lontano dalla forma, dai modi, dai rapporti sociali che circondano questa famiglia; in breve, una ragazza di bassa estrazione sociale, o un’immigrata; e che da questa relazione segreta, nasca una creatura. Il giovane ha poi un grave incidente; capisce che morirà e a quel punto, svela questa storia d’amore ai genitori e chiede loro, come ultimo desiderio, di accogliere in casa la ragazza e il bambino. Stupore e sconcerto, dapprima, ma poi la famiglia acconsente. La ragazza entra in quella che, crede, diverrà la sua famiglia.
All’inizio è accolta con calore; le persone che le ruotano attorno paiono accettarla, ma lentamente e, inesorabilmente, alcuni segnali di distacco cominciano a manifestarsi. Dapprima gli amici della cerchia iniziano a non frequentare più quel luogo; il promesso fidanzato della sorella del giovane fa notare, con sempre maggior insistenza, l’imbarazzo che crea nel loro ambiente questa presenza estranea; lo stesso padre dà segni, quasi involontari, di fastidio per questa nuova situazione, e le donne – le quali, se leviamo un amico del giovane, sono le principali presenze positive in quel mondo – hanno sempre maggior difficoltà a contrastare questa determinazione a tornare a rinchiudersi nel proprio mondo, isolando l’elemento di disturbo. Poi il bambino muore e la ragazza è sempre più sola ed estranea, e neppure la cognata del padrone di casa, un personaggio forte che mette a nudo in tanti momenti le piccinerie, le volgarità, le sottili violenze che permeano quell’ambiente, riuscirà più a fermare il definitivo abbandono della ragazza: e sarà un abbandono drammatico.
Oggi, come nella Vienna di fine Ottocento. Feroce è l’attacco di Schnitzler alla società, ma costruito senza alcuna forzatura; quasi senza accorgersene, grazie alla sapiente costruzione dei dialoghi e delle scene, il pubblico è trascinato dentro questa commedia amara: e si renderà conto solo alla chiusura del sipario di aver assistito al lucido smascheramento dei lati oscuri e perversi di una società.
SCANDALO
Lo spettacolo – 1500 battute
Un amore giovane e profondo, che travolge gli schemi stantii della società: è quello che lega Hugo, rampollo dell’alta borghesia e Toni, ragazza invece di bassa estrazione. È quello da cui nasce Franz, per quattro anni tenuto nascosto alla famiglia di lui, come la loro felice relazione. Improvvisamente però Hugo ha un incidente e, in fin di vita, chiede alla famiglia di accogliere il figlio e la donna. La famiglia affronta lo scandalo, crede di poterne reggere i contraccolpi: Toni e il bimbo entrano nella ricca casa dei Losatti circondati d’affetto, tanto che la giovane inizia a immaginare una nuova vita.
Ma in breve la presenza estranea inizia a suscitare insofferenza: si allontanano gli amici, muta il
peso della famiglia in società, e se le donne continuano a proteggere i nuovi arrivati, gli uomini
mostrano sempre più chiaramente il loro disappunto per la situazione. A far deflagrare il fragile
equilibrio è l’improvvisa morte del piccolo Franz: dopo nulla potrà più arginare la vigliaccheria e la volgarità di quell’ambiente dorato, né la sottile violenza delle convenzioni sociali. E Toni ne sarà drammaticamente soffocata.
Nell’Italia di oggi o nella Vienna di Schnitzler, il sospetto, l’esclusione e il rifiuto per l’“altro” sono armi taglienti che mietono vittime. È dunque antesignana e ancora incisiva la denuncia di Schnitzler, cui Franco Però restituisce respiro e intensità in uno spettacolo avvincente, che si avvale di un’ottima compagnia d’interpreti, capitanati da Franco Castellano e Stefania Rocca, nomi di primo piano nel cinema e nel teatro contemporanei.
DAS VERMÄCHTNIS / SCANDALO
Nota del regista
Quale è la traduzione letterale di Vermächtnis: lascito, eredità, testamento, ma anche dono, regalo…
Quando cerchiamo di tradurre un titolo, tante volte ci troviamo di fronte a una scelta. La parola
simile esiste, ma non sempre rende il significato profondo dell’originale.
Qui l’autore pone l’accento su un fatto morale: il lascito o il testamento di Hugo, primogenito amatissimo di una famiglia importante nell’ambiente cittadino, ferito a morte a causa di una banale
caduta da cavallo, il quale rivela ai suoi di avere una moglie e un bambino, e si fa promettere che
queste saranno accolte una volta che lui non ci sarà più.
Ogni termine scelto per il titolo tralasciava qualcosa dell’originale. Allora ci siamo chiesti: perché non cercarlo tra gli effetti che questo lascito provoca nella vita della famiglia? Perché è su questo che si snoda la trama della commedia.
E allora scopri che proprio in un allestimento tedesco, compare la parola scandalo. Ecco: scandalo,
ma proprio nel senso antico del termine, σκάνδαλον (skàndalon), ovvero ostacolo, insidia.
Sono queste le caratteristiche, involontarie, indossate da Toni Weber, la ragazza di bassa classe
sociale amata e sposata da Hugo, e del loro figlio, Franz. Essi sono vissuti come un ostacolo alla
vita della famiglia, e alle proprie relazioni altolocate. La loro presenza è sentita come scandalosa, provocando l’allontanamento di amici e conoscenti. Come in uno specchio, in essi – ma soprattutto in Toni – si riflettono i comportamenti dei vari membri della famiglia: quel padre, il professor Losatti, dapprima disponibile ad accettare il dono, ma che poi – alla scomparsa anche del bambino – lo rigetta con scandalosa tranquillità; mentre, all’opposto, è scandaloso il comportamento di sua cognata, Emma, che continuamente smaschera l’ambiguo perbenismo presente nella casa e dietro a cui si cela la volontà ferrea di chiudere le porte all’estranea. O altrettanto scandaloso è Ferdinand, il giovane medico fidanzato della sorella di Hugo, carrierista convinto che vede in Toni colei che gli ricorda, con la sua sola presenza, le stesse basse origini e con volgare veemenza vuole allontanarla.
E anche la remissività della madre, Betty, alla fine diventa uno strumento contro la presenza della ragazza. Così, i pochi che vorrebbero accogliere la straniera, devono soccombere di fronte alle granitiche certezze di un ambiente che vuole l’esclusione.
L’estranea, la straniera è colei che ti mette di fronte alle tue paure, mette in crisi le tue certezze e l’ambiente in cui vivi.
Schnitzler racconta questa storia con grande e crudele lucidità, ma lo fa sempre in punta di penna, con leggerezza, con un dialogo veloce e brillante, e solo alla fine ti rendi conto del disegno perfetto di questo, quasi inconsapevole, atto criminoso.
12 – 17 gennaio 2016
Il testamento di Maria
TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE / TEATRO STABILE DEL VENETO – TEATRO NAZIONALE
IN COLLABORAZIONE CON ZACHAR PRODUZIONI
Di: Colm Tóibín
Traduzione ed adattamento: Marco Tullio Giordana e Marco Perisse
Regia: Marco Tullio Giordana
con: Michela Cescon
Dopo il grande successo di The Coast of Utopia, prodotto dal Teatro Stabile di Torino nella stagione 2011/2012, si riforma la coppia artistica composta da Marco Tullio Giordana, che da tempo affianca alle regie cinematografiche quelle di prosa, e dalla pluripremiata attrice Michela Cescon. L’incontro avviene attraverso le parole di Colm Tóibín, uno dei maggiori scrittori irlandesi contemporanei, con un passato nell’IRA e un presente di impegno per i diritti gay, che riscrive in questo breve e intenso romanzo il rapporto fra Maria e suo figlio, nei giorni della predicazione alle folle e poi in quelli drammatici della condanna e della crocifissione. È la madre stessa che parla, che ricorda, cercando di accettare il destino atroce che ha colpito il giovane amatissimo figlio e lei stessa. Una Passione in cui la figura di Maria è solo e fortemente umana, lontana dall’agiografia cattolica che la vede dolente e consapevole del grande piano di salvezza di cui il figlio di Dio si è reso protagonista. Scrive Michela Cescon: «Nel progetto di Stoppard ho dovuto rinunciare a stare in scena perché la cura che mi richiedeva la produzione era tanta e impegnativa. Abbiamo cominciato a cercare un testo che avesse quindi un ruolo per me, certi di voler affrontare nuovamente un lavoro sul contemporaneo, ma che avesse sempre le stesse altezze dei classici. Quando ho letto The Testament of Mary di Tóibín ho capito subito che era il testo giusto, mi sono commossa, mi sono sentita avvolta e, chiuso il libro, la mia immagine di Maria non è più stata la stessa. Ho sentito profondamente il tema madre e figlio, come lo narra lo scrittore, dove la personalità, il talento e il forte destino di un ragazzo risultano dolorosamente incomprensibili e inaccettabili da una madre, perché troppo piena di paura e di amore. Sono certa che diretta dal tocco chiaro ed elegante di Giordana arriverò a “pronunciare” queste parole cariche di tenerezza e di rabbia facendo diventare per me e per gli spettatori Il Testamento di Maria un’esperienza importante e che ci riguarda personalmente».
26 – 31 gennaio 2016
The pride
ZOCOTOCO SRL
Di: Alexi Kaye Campbell
Traduzione: Monica Capuani
Regia: Luca Zingaretti
con: Luca Zingaretti, Valeria Milillo , Riccardo Bocci , Alex Cendron
Il Pride è un testo enigmatico costruito magnificamente con un’alternanza tra due storie distinte e separate che si svolgono in periodi di tempo distinti, il 1958 e il 2008.
In ognuna di queste storie ci sono 3 personaggi principali che condividono gli stessi nomi e che, per volere dell’autore, devono essere interpretati dagli stessi attori come a sottolineare che i personaggi di una storia sono le ombre di quelli dell’altra.
È il 1958. Philip è sposato con Sylvia, che sta lavorando alle illustrazioni dell’ultimo libro per bambini di Oliver. C’è una strana vibrazione che scatta tra i due uomini quando si incontrano per la prima volta. Comincia tra loro un gioco che li costringe a girare intorno a qualcosa che è impossibile affrontare esplicitamente.
È il 2008. Stufo della sua imperscrutabile infedeltà, Philip, un photo-reporter, lascia Oliver, giornalista di talento con cui ha una relazione da un anno e mezzo. Oliver si ritrova da solo ad annegare le sue pene nel whisky e nei giochi di ruolo con uomini improbabili che cerca su Internet finché arruola Sylvia, che gli ha presentato Philip, per contrastare la solitudine e cercare di capire grazie alla sua amicizia le ragioni del proprio comportamento.
Nel corso dello spettacolo, il pubblico si rende conto che i tre personaggi principali – il cui destino è scritto dall’epoca in cui vivono – condividono gli stessi nomi e sono in un certo senso ombre gli uni degli altri.
Philip, Oliver e Sylvia stanno lottando tutti per quella che sperano sarà una vita più facile.
Le azioni che compiono nello specchio del 1958 influenzano e spiegano quelle che avvengono nel 2008. I dialoghi brillanti e divertenti e le acute osservazioni di Alexi Kaye Campbell riescono a disegnare dei personaggi potenti, vitali, alla continua ricerca della propria identità.
Il Pride esplora temi come il destino, l’amore, la fedeltà e il perdono, e solleva interrogativi sulla nostra vita contemporanea (gay ed etero), con la consapevolezza che solo lo spettatore può rispondere concretamente.
Quale sarà la risposta di ogni singolo spettatore? E quale sarà la tua?
23 – 28 febbraio 2016
Provando . . . Dobbiamo parlare
NUOVO TEATRO DIRETTA DA MARCO BALSAMO
IN COPRODUZIONE CON PALOMAR TELEVISION & FILM PRODUCTION FONDATA DA CARLO DEGLI ESPOSTI
uno spettacolo scritto da: Sergio Rubini, Carla Cavalluzzi, Diego De Silva
Scene: Luca Gobbi
Costumi: Patrizia Chericoni
Luci: Luca Barbati
regista collaboratore: Gisella Gobbi
Regia: Sergio Rubini
con: Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese, Sergio Rubini
Certo, una coppia borghese può essere teatrino di tutti i vizi borghesi: ostentazione di ricchezze, rapporti utilitaristici, rivendicazione dei diritti di figli avuti da matrimoni precedenti, patrimoni da spartire, lettere di avvocati, conti in banca, minacce, testamenti, risarcimenti, crisi di panico e via discorrendo. Per non parlare delle menzogne, i sotterfugi, i tradimenti e tutte le complicazioni che ne conseguono.
Una coppia che funzioni in questo modo, spesso è tesa a gestire il suo status sulla base del calcolo e della scorrettezza, dimentica ormai da anni che il motore che li unì un tempo fu l’amore. Ebbene immaginiamo che i migliori amici di una coppia come questa, siano due che stanno insieme invece per tutt’altre ragioni. Non sono sposati, non hanno proprietà, terreni da dividere, case da accaparrarsi, non sono cointestatari di un conto in banca, e per quel che riguarda i beni materiali condividono solo un bell’attico in affitto al centro di Roma e “quintalate” di libri che non sanno più dove mettere. Lui è uno scrittore, un Premio Strega, due bestseller alle spalle, cinquant’anni ben portati e la trascuratezza da intellettuale consumato e progressista; lei vent’anni più giovane e il fascino di chi pende ancora dalle labbra del maestro, il suo fidanzato in questo caso. Inoltre questi ultimi due a differenza dell’altra coppia anziché fare figli hanno scritto dei libri insieme – i libri di lui a dire il vero – e un’insana necessità di dirsi sempre tutto, questo almeno nelle intenzioni.
Adesso, l’anomalia di queste due coppie è senza dubbio che sono amici e che non ci sia un weekend, una vacanza, un’uscita, una festa comandata, che i quattro non trascorrano insieme. Supponiamo adesso che la coppia borghese, proprio come ogni coppia borghese che si rispetti, stia attraversando la sua ennesima crisi coniugale, questione di corna nello specifico, e che si sia fiondata a casa degli altri due anche una sera in cui non avevano messo in conto di vedersi. Ma in fondo non è proprio nel momento del bisogno che servono gli amici? Ed ecco così che la serata si fa notte e il salotto con tanto di vista da tremila euro al mese diventa un vero e proprio scenario di guerra in cui non solo emergono tutte le differenze tra le due coppie, ma i loro diversi punti di vista, le distanze, ciò che di ognuno l’altro non sopporta, tutto quel groviglio del non-detto che fino a quel momento soggiaceva sul fondo della coscienza. Col risultato che all’indomani della battaglia, alle prime luci del giorno, nonostante le premesse, quella più divisa sarà proprio la coppia tenuta insieme solo dall’amore. Ma perché l’amore forse non basta?
15 – 20 marzo 2016
Il deserto dei tartari
Teatro Nuovo
Di: Dino Buzzati
Adattamento: Paolo Valerio
Scene: Antonio Panzuto
Video: Raffaella Rivi
Costumi: Chiara Defant
Musiche originali: Antonio Di Pofi
Regia: Paolo Valerio
“Il deserto dei Tartari” è forse il più famoso romanzo di Dino Buzzati e segnò la sua vera consacrazione tra i grandi scrittori del Novecento italiano. Lo scrittore bellunese in un’intervista affermò che lo spunto per il romanzo, il cui tema portante è quello della fuga del tempo, era nato “dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell’esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva”. Dino Buzzati
In passato ho già avuto modo di realizzare degli spettacoli tratti dai testi di Buzzati, tra i quali “Sette Piani” e “Poema a Fumetti”, oltre a “La meravigliosa invasione degli orsi in Sicilia” ed alcuni racconti. Il mondo di Buzzati è un mondo affascinante e misterioso e ne “Il deserto dei Tartari” , il suo romanzo più famoso, sono presenti tutte le sue tematiche principali, oltre al suo immaginario onirico di paesaggi e personaggi.
In questo spettacolo cercherò quindi di rendere per immagini questo mondo fantastico e senza tempo della Fortezza Bastiani, di far vivere agli spettatori l’attesa dell’arrivo dei Tartari e di portare in scena le descrizioni meravigliose del romanzo attraverso i personaggi che di volta in volta si faranno anche narratori in scena, rendendo veri e presenti anche i momenti più lirici del testo.
Paolo Valerio
5 – 10 aprile 2016
Carmen
Teatro Nuovo
Carmen-per-sito
TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE
Di: Enzo Moscato
Adattamento e Regia: Mario Martone
direzione musicale: Mario Tronco
arrangiamento musicale: Mario Tronco e Leandro Piccioni
musiche ispirate alla Carmen di Georges Bizet
esecuzione dal vivo: Orchestra di Piazza Vittorio (in ordine alfabetico): Emanuele Bultrini, Peppe D’Argenzio, Duilio Galioto, Kyung Mi Lee, Ernesto Lopez, Omar Lopez, Pino Pecorelli, Pap Yeri Samb, Raul Scebba, Marian Serban, Ion Stanescu
Scene: Sergio Tramonti
Costumi: Ursula Patzak
Luci: Pasquale Mari
Suono: Hubert Westkemper
Coreografie: Anna Redi
Assistente alla Regia: Raffaele Di Florio
Assistente scenografa: Sandra Müller
Carmen nelle mani di Mario Martone svela la sua natura più intima e popolare, tra zarzuela e bassi napoletani. Scrive il regista: «Quando ho pensato di dare vita con l’Orchestra di Piazza Vittorio a una Carmen napoletana, secondo i modelli del teatro musicale popolare che vanno da Raffaele Viviani alla sceneggiata, ho proposto a Enzo Moscato di scriverne il testo, chiedendogli un copione in cui ci fossero dialoghi e personaggi ispirati alla tradizione, ma guardando alla novella di Mérimée oltre che all’opera di Bizet. Quel che mi ha sempre affascinato della novella è il fatto che la vicenda è rievocata: Mérimée immagina che Don José gliela racconti in prigione, la sera prima di morire impiccato. Enzo ha colto al volo questa indicazione e ha scritto un testo che si muove su due piani, quello del racconto al presente e quello passato dell’azione rievocata. Ne è nato lo spettacolo che vedrete, in cui procedono di pari passo le parole di Mérimée e dei librettisti Meilhac e Halévy completamente reinventate da Moscato e la musica di Bizet trasfigurata da Mario Tronco con Leandro Piccioni e l’Orchestra di Piazza Vittorio. La contaminazione è totale: Napoli si pone come centro di un mondo latino fatto di nomadismi, dalla Spagna alla Francia e, via via trasmigrando, fino a Tunisi.
La lingua e la musica sono al centro di tutto, il vortice che tutto attrae: l’amore, la passione, il tradimento, la libertà e la violenza, l’allegria e il dolore, il mistero. Non c’è un’epoca definita (anche se sentiamo balenare tanto la Napoli del dopoguerra quanto quella della criminalità dei nostri giorni), non c’è la Micaela dell’opera (che in Mérimée non esiste, serviva a Bizet per ragioni morali e musicali). Soprattutto, nel testo di Enzo Moscato, la protagonista non muore: a raccontare al “forestiero” (cioè a tutti noi) quanto è successo non c’è più solo Don José, anche Carmen prende finalmente parola».