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Il secondo appuntamento del Grande Teatro, da martedì 26 novembre a domenica 1° dicembre al Nuovo, è con Hedda Gabler di Henrik Ibsen, protagonisti Manuela Mandracchia e Luciano Roman, regia di Antonio Calenda. Dopo lo straordinario successo di Toni e Peppe Servillo, acclamati interpreti, assieme agli attori dei Teatri Uniti, della commedia di Eduardo De Filippo Le voci di dentro, il secondo appuntamento del Grande Teatro è ancora con un classico. Martedì 26 novembre alle 20.45 va in scena al Nuovo Hedda Gabler di Henrik Ibsen nell’allestimento del Rossetti - Teatro Stabile di Trieste e della Compagnia Enfi Teatro. Protagonisti Manuela Mandracchia e Luciano Roman. A firmare la regia è Antonio Calenda. Assieme allo svedese August Strindberg, di una ventina d’anni più giovane, il norvegese Henrik Ibsen (1828-1906) è sicuramente uno dei massimi esponenti della letteratura teatrale ottocentesca di cui segue in parte i modelli ma ripulendoli di sentimentalismi e convenzioni per aprirli a una nuova prospettiva di modernità. Sensibile a diverse correnti culturali europee – dal teatro romantico di Goethe e Schiller al primo realismo francese rappresentato da Balzac e da Dumas figlio – Ibsen fu anche molto attento alle tradizioni e alle leggende del suo Paese mostrando analogo interesse per la vita politica e per il progresso scientifico. La lunga assenza (trent’anni) dalla natìa Norvegia lo portò in Germania dove fu molto seguito e rappresentato, e in Italia. Pur avendo vissuto a Roma e a Ischia, non subì più di tanto l’influenza della cultura italiana e le sue opere continuarono a descrivere il mondo norvegese. Considerato il padre della drammaturgia moderna, Ibsen delinea con spietata verità il conflitto tra l’individuo e una società borghese fatta di ingiustizie, ipocrisia, conformismo. Dramma in quattro atti scritto tra l’estate e l’autunno del 1890 e rappresentato per la prima volta nel gennaio dell’anno successivo al Residenztheater di Monaco, Hedda Gabler è incentrato su una delle figure femminili più problematiche e seduttive di Ibsen, un personaggio che continua a essere uno dei ruoli preferiti dalle attrici di tutto il mondo. In Italia la prima a interpretarla fu Eleonora Duse. Ritenuta a torto o a ragione una sorta di femminista ante litteram, Hedda Gabler incarna una donna in netto contrasto con i canoni dell’epoca di Ibsen, una donna che cerca l’autonomia e che sfugge ai condizionamenti sociali, eppure chiusa in una fragilità e in un intreccio di egoismo, odio e gelosia che le impedisce di emanciparsi. «Hedda Gabler – osserva il regista Calenda – è una creatura non catalogabile, carica di tensione, struggente e perciò teatralmente contraddistinta da una bellezza assoluta… Hedda supera in modernità e complessità ogni figura femminile e, nella sua intima e profonda frustrazione, è attualissima». Al centro della vita di Hedda ci sono quattro uomini, a cominciare dal padre, il generale Gabler, defunto, ma che rimane per lei una figura di riferimento tanto da conservarne il cognome anche da sposata. C’è poi il marito, Tesman, scialbo intellettuale piccolo-borghese che aspira a una cattedra universitaria e che Hedda sposa per mere ragioni economiche. Il terzo, che improvvisamente torna a farsi vivo, è l’antico amore, Lovborg, personalità brillante e dissoluta che l’aveva affascinata proprio per la sua vita tutta “genio e sregolatezza”. A distanza di anni, Lovborg ha conservato per lei il suo fascino e sarà proprio lui a mettere inconsapevolmente in moto un meccanismo fatale. Lovborg aspira infatti alla stessa cattedra universitaria cui punta Tesman e ritiene di poterla ottenere grazie a un’importante opera che ha appena scritto e di cui è particolarmente fiero. Solo che una notte, completamente ubriaco, perde il prezioso manoscritto che viene ritrovato da Tesman. Questi vorrebbe restituirglielo ma Hedda glielo impedisce. Quando Lovborg le confessa la sua disperazione, la donna lo incoraggia a uccidersi procurandogli lei stessa la pistola. Il quarto uomo della vita di Hedda è il viscido giudice Brack, suo assiduo corteggiatore che, a conoscenza dei fatti che sono avvenuti, la pone davanti a un odioso ricatto. E pur di non cedergli, Hedda è disposta a tutto. Protagonista dello spettacolo è Manuela Mandracchia, attrice con alle spalle una grande carriera teatrale con registi come Luca Ronconi (che recentemente l’ha diretta nella commedia Il panico di Rafael Spregelburd) e come Massimo Castri con cui ha interpreto testi di Goldoni, Pirandello e Giordano Bruno. Il pubblico veronese l’ha già vista recitare per il Grande Teatro: nel 2006 è stata protagonista, accanto a Umberto Orsini, del dramma di Strindberg Il padre. Due anni dopo, nel 2008, Manuela Mandracchia ha interpretato al Camploy (nell’ambito della rassegna L’altro teatro) lo spettacolo Roma ore11 tratto da un’inchiesta di Elio Petri su un tragico fatto accaduto nella Capitale nel 1951. Insieme a lei erano in scena, al Camploy, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres e Avia Reale. Completano il cast Luciano Roman (il giudice Brack) che è stato diretto da importanti registi tra cui Giorgio Strehler, Luca Ronconi e Massimo Castri, Jacopo Venturiero (Jorgen Tesman), Massimo Nicolini (Ejlert Lovborg), Simonetta Cartia (Juliane Tesman), Federica Rosellini (la signora Elvsted) e Laura Piazza (Berte, domestica dei Tesman). Traduzione di Roberto Alonge, scene di Pier Paolo Bisleri, costumi di Carla Teti, musiche di Germano Mazzocchetti, luci di Nino Napoletano. Dopo la “prima” di martedì, lo spettacolo replica tutte le sere alle 20.45 sino a sabato. L’ultima recita, domenica 1° dicembre, è alle 16. Giovedì 28 novembre alle 17 al Teatro Nuovo gli interpreti di Hedda Gabler incontreranno il pubblico. L’incontro sarà condotto dal giornalista Lorenzo Reggiani. Un quarto d’ora prima, alle 16.45, è previsto un approfondimento del testo, un “invito alla visione” a cura di Simone Azzoni che parlerà di “oscuro tormento del nero”. Entrambi gli appuntamenti sono a ingresso libero.

Il secondo appuntamento del Grande Teatro, da martedì 26 novembre a domenica 1° dicembre al Nuovo, è con Hedda Gabler di Henrik Ibsen, protagonisti Manuela Mandracchia e Luciano Roman, regia di Antonio Calenda.

Dopo lo straordinario successo di Toni e Peppe Servillo, acclamati interpreti, assieme agli attori dei Teatri Uniti, della commedia di Eduardo De Filippo Le voci di dentro, il secondo appuntamento del Grande Teatro è ancora con un classico. Martedì 26 novembre alle 20.45 va in scena al Nuovo Hedda Gabler di Henrik Ibsen nell’allestimento del Rossetti – Teatro Stabile di Trieste e della Compagnia Enfi Teatro. Protagonisti Manuela Mandracchia e Luciano Roman. A firmare la regia è Antonio Calenda.
Assieme allo svedese August Strindberg, di una ventina d’anni più giovane, il norvegese Henrik Ibsen (1828-1906) è sicuramente uno dei massimi esponenti della letteratura teatrale ottocentesca di cui segue in parte i modelli ma ripulendoli di sentimentalismi e convenzioni per aprirli a una nuova prospettiva di modernità. Sensibile a diverse correnti culturali europee – dal teatro romantico di Goethe e Schiller al primo realismo francese rappresentato da Balzac e da Dumas figlio – Ibsen fu anche molto attento alle tradizioni e alle leggende del suo Paese mostrando analogo interesse per la vita politica e per il progresso scientifico. La lunga assenza (trent’anni) dalla natìa Norvegia lo portò in Germania dove fu molto seguito e rappresentato, e in Italia. Pur avendo vissuto a Roma e a Ischia, non subì più di tanto l’influenza della cultura italiana e le sue opere continuarono a descrivere il mondo norvegese.
Considerato il padre della drammaturgia moderna, Ibsen delinea con spietata verità il conflitto tra l’individuo e una società borghese fatta di ingiustizie, ipocrisia, conformismo.
Dramma in quattro atti scritto tra l’estate e l’autunno del 1890 e rappresentato per la prima volta nel gennaio dell’anno successivo al Residenztheater di Monaco, Hedda Gabler è incentrato su una delle figure femminili più problematiche e seduttive di Ibsen, un personaggio che continua a essere uno dei ruoli preferiti dalle attrici di tutto il mondo. In Italia la prima a interpretarla fu Eleonora Duse. Ritenuta a torto o a ragione una sorta di femminista ante litteram, Hedda Gabler incarna una donna in netto contrasto con i canoni dell’epoca di Ibsen, una donna che cerca l’autonomia e che sfugge ai condizionamenti sociali, eppure chiusa in una fragilità e in un intreccio di egoismo, odio e gelosia che le impedisce di emanciparsi.
«Hedda Gabler – osserva il regista Calenda – è una creatura non catalogabile, carica di tensione, struggente e perciò teatralmente contraddistinta da una bellezza assoluta… Hedda supera in modernità e complessità ogni figura femminile e, nella sua intima e profonda frustrazione, è attualissima».
Al centro della vita di Hedda ci sono quattro uomini, a cominciare dal padre, il generale Gabler, defunto, ma che rimane per lei una figura di riferimento tanto da conservarne il cognome anche da sposata. C’è poi il marito, Tesman, scialbo intellettuale piccolo-borghese che aspira a una cattedra universitaria e che Hedda sposa per mere ragioni economiche. Il terzo, che improvvisamente torna a farsi vivo, è l’antico amore, Lovborg, personalità brillante e dissoluta che l’aveva affascinata proprio per la sua vita tutta “genio e sregolatezza”. A distanza di anni, Lovborg ha conservato per lei il suo fascino e sarà proprio lui a mettere inconsapevolmente in moto un meccanismo fatale. Lovborg aspira infatti alla stessa cattedra universitaria cui punta Tesman e ritiene di poterla ottenere grazie a un’importante opera che ha appena scritto e di cui è particolarmente fiero. Solo che una notte, completamente ubriaco, perde il prezioso manoscritto che viene ritrovato da Tesman. Questi vorrebbe restituirglielo ma Hedda glielo impedisce. Quando Lovborg le confessa la sua disperazione, la donna lo incoraggia a uccidersi procurandogli lei stessa la pistola. Il quarto uomo della vita di Hedda è il viscido giudice Brack, suo assiduo corteggiatore che, a conoscenza dei fatti che sono avvenuti, la pone davanti a un odioso ricatto. E pur di non cedergli, Hedda è disposta a tutto.
Protagonista dello spettacolo è Manuela Mandracchia, attrice con alle spalle una grande carriera teatrale con registi come Luca Ronconi (che recentemente l’ha diretta nella commedia Il panico di Rafael Spregelburd) e come Massimo Castri con cui ha interpreto testi di Goldoni, Pirandello e Giordano Bruno. Il pubblico veronese l’ha già vista recitare per il Grande Teatro: nel 2006 è stata protagonista, accanto a Umberto Orsini, del dramma di Strindberg Il padre. Due anni dopo, nel 2008, Manuela Mandracchia ha interpretato al Camploy (nell’ambito della rassegna L’altro teatro) lo spettacolo Roma ore11 tratto da un’inchiesta di Elio Petri su un tragico fatto accaduto nella Capitale nel 1951. Insieme a lei erano in scena, al Camploy, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres e Avia Reale.
Completano il cast Luciano Roman (il giudice Brack) che è stato diretto da importanti registi tra cui Giorgio Strehler, Luca Ronconi e Massimo Castri, Jacopo Venturiero (Jorgen Tesman), Massimo Nicolini (Ejlert Lovborg), Simonetta Cartia (Juliane Tesman), Federica Rosellini (la signora Elvsted) e Laura Piazza (Berte, domestica dei Tesman). Traduzione di Roberto Alonge, scene di Pier Paolo Bisleri, costumi di Carla Teti, musiche di Germano Mazzocchetti, luci di Nino Napoletano.
Dopo la “prima” di martedì, lo spettacolo replica tutte le sere alle 20.45 sino a sabato. L’ultima recita, domenica 1° dicembre, è alle 16. Giovedì 28 novembre alle 17 al Teatro Nuovo gli interpreti di Hedda Gabler incontreranno il pubblico. L’incontro sarà condotto dal giornalista Lorenzo Reggiani. Un quarto d’ora prima, alle 16.45, è previsto un approfondimento del testo, un “invito alla visione” a cura di Simone Azzoni che parlerà di “oscuro tormento del nero”. Entrambi gli appuntamenti sono a ingresso libero.

Il secondo appuntamento del Grande Teatro, da martedì 26 novembre a domenica 1° dicembre al Nuovo, è con Hedda Gabler di Henrik Ibsen, protagonisti Manuela Mandracchia e Luciano Roman, regia di Antonio Calenda.

Dopo lo straordinario successo di Toni e Peppe Servillo, acclamati interpreti, assieme agli attori dei Teatri Uniti, della commedia di Eduardo De Filippo Le voci di dentro, il secondo appuntamento del Grande Teatro è ancora con un classico. Martedì 26 novembre alle 20.45 va in scena al Nuovo Hedda Gabler di Henrik Ibsen nell’allestimento del Rossetti – Teatro Stabile di Trieste e della Compagnia Enfi Teatro. Protagonisti Manuela Mandracchia e Luciano Roman. A firmare la regia è Antonio Calenda.
Assieme allo svedese August Strindberg, di una ventina d’anni più giovane, il norvegese Henrik Ibsen (1828-1906) è sicuramente uno dei massimi esponenti della letteratura teatrale ottocentesca di cui segue in parte i modelli ma ripulendoli di sentimentalismi e convenzioni per aprirli a una nuova prospettiva di modernità. Sensibile a diverse correnti culturali europee – dal teatro romantico di Goethe e Schiller al primo realismo francese rappresentato da Balzac e da Dumas figlio – Ibsen fu anche molto attento alle tradizioni e alle leggende del suo Paese mostrando analogo interesse per la vita politica e per il progresso scientifico. La lunga assenza (trent’anni) dalla natìa Norvegia lo portò in Germania dove fu molto seguito e rappresentato, e in Italia. Pur avendo vissuto a Roma e a Ischia, non subì più di tanto l’influenza della cultura italiana e le sue opere continuarono a descrivere il mondo norvegese.
Considerato il padre della drammaturgia moderna, Ibsen delinea con spietata verità il conflitto tra l’individuo e una società borghese fatta di ingiustizie, ipocrisia, conformismo.
Dramma in quattro atti scritto tra l’estate e l’autunno del 1890 e rappresentato per la prima volta nel gennaio dell’anno successivo al Residenztheater di Monaco, Hedda Gabler è incentrato su una delle figure femminili più problematiche e seduttive di Ibsen, un personaggio che continua a essere uno dei ruoli preferiti dalle attrici di tutto il mondo. In Italia la prima a interpretarla fu Eleonora Duse. Ritenuta a torto o a ragione una sorta di femminista ante litteram, Hedda Gabler incarna una donna in netto contrasto con i canoni dell’epoca di Ibsen, una donna che cerca l’autonomia e che sfugge ai condizionamenti sociali, eppure chiusa in una fragilità e in un intreccio di egoismo, odio e gelosia che le impedisce di emanciparsi.
«Hedda Gabler – osserva il regista Calenda – è una creatura non catalogabile, carica di tensione, struggente e perciò teatralmente contraddistinta da una bellezza assoluta… Hedda supera in modernità e complessità ogni figura femminile e, nella sua intima e profonda frustrazione, è attualissima».
Al centro della vita di Hedda ci sono quattro uomini, a cominciare dal padre, il generale Gabler, defunto, ma che rimane per lei una figura di riferimento tanto da conservarne il cognome anche da sposata. C’è poi il marito, Tesman, scialbo intellettuale piccolo-borghese che aspira a una cattedra universitaria e che Hedda sposa per mere ragioni economiche. Il terzo, che improvvisamente torna a farsi vivo, è l’antico amore, Lovborg, personalità brillante e dissoluta che l’aveva affascinata proprio per la sua vita tutta “genio e sregolatezza”. A distanza di anni, Lovborg ha conservato per lei il suo fascino e sarà proprio lui a mettere inconsapevolmente in moto un meccanismo fatale. Lovborg aspira infatti alla stessa cattedra universitaria cui punta Tesman e ritiene di poterla ottenere grazie a un’importante opera che ha appena scritto e di cui è particolarmente fiero. Solo che una notte, completamente ubriaco, perde il prezioso manoscritto che viene ritrovato da Tesman. Questi vorrebbe restituirglielo ma Hedda glielo impedisce. Quando Lovborg le confessa la sua disperazione, la donna lo incoraggia a uccidersi procurandogli lei stessa la pistola. Il quarto uomo della vita di Hedda è il viscido giudice Brack, suo assiduo corteggiatore che, a conoscenza dei fatti che sono avvenuti, la pone davanti a un odioso ricatto. E pur di non cedergli, Hedda è disposta a tutto.
Protagonista dello spettacolo è Manuela Mandracchia, attrice con alle spalle una grande carriera teatrale con registi come Luca Ronconi (che recentemente l’ha diretta nella commedia Il panico di Rafael Spregelburd) e come Massimo Castri con cui ha interpreto testi di Goldoni, Pirandello e Giordano Bruno. Il pubblico veronese l’ha già vista recitare per il Grande Teatro: nel 2006 è stata protagonista, accanto a Umberto Orsini, del dramma di Strindberg Il padre. Due anni dopo, nel 2008, Manuela Mandracchia ha interpretato al Camploy (nell’ambito della rassegna L’altro teatro) lo spettacolo Roma ore11 tratto da un’inchiesta di Elio Petri su un tragico fatto accaduto nella Capitale nel 1951. Insieme a lei erano in scena, al Camploy, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres e Avia Reale.
Completano il cast Luciano Roman (il giudice Brack) che è stato diretto da importanti registi tra cui Giorgio Strehler, Luca Ronconi e Massimo Castri, Jacopo Venturiero (Jorgen Tesman), Massimo Nicolini (Ejlert Lovborg), Simonetta Cartia (Juliane Tesman), Federica Rosellini (la signora Elvsted) e Laura Piazza (Berte, domestica dei Tesman). Traduzione di Roberto Alonge, scene di Pier Paolo Bisleri, costumi di Carla Teti, musiche di Germano Mazzocchetti, luci di Nino Napoletano.
Dopo la “prima” di martedì, lo spettacolo replica tutte le sere alle 20.45 sino a sabato. L’ultima recita, domenica 1° dicembre, è alle 16. Giovedì 28 novembre alle 17 al Teatro Nuovo gli interpreti di Hedda Gabler incontreranno il pubblico. L’incontro sarà condotto dal giornalista Lorenzo Reggiani. Un quarto d’ora prima, alle 16.45, è previsto un approfondimento del testo, un “invito alla visione” a cura di Simone Azzoni che parlerà di “oscuro tormento del nero”. Entrambi gli appuntamenti sono a ingresso libero.

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