Gli Inti-Illimani festeggiano 50 anni di carriera al Teatro Romano
Teatro Romano di Verona
Giovedì 31 agosto 2017, ore 21.30
Ultimo appuntamento della rassegna Verona Folk 2017 con protagonista il gruppo vocale e strumentista cileno Inti-Illimani Historico.
Autentico simbolo e punto di riferimento del movimento musicale conosciuto come ‘la nueva cancion cilena’, la formazione celebra il cinquantesimo anniversario di attività musicale con la tourneè ’50 anni’.
A quarantadue anni di distanza dal trionfale concerto in Arena del 6 settembre 1975, il prestigioso settetto degli Inti-Illimani torna a Verona con la formazione ‘storica’, frutto del rinnovato incontro tra Horacio Duran, Horacio Salinas e José Seves, i creatori del repertorio indimenticabile del Gruppo. A loro si sono aggiunti i giovani musicisti cileni Fernando Julio, Camilo Salinas, Danilo Donoso e Hermes Villalobos.
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HORACIO DURÀN (INTI- ILLIMANI)
«Da mezzo secolo cantiamo per una società più giusta»
Enrico Santi
Di nuovo a Verona, 42 anni dopo il memorabile concerto in Arena del 6 settembre 1975. Un ritorno per i 50 anni dalla nascita, era l’agosto 1967, di un gruppo musicale diventato un simbolo della lotta per la libertà in Cile e in tutto il mondo, gli Inti-Illimani. L’appuntamento (ultima data della rassegna Verona folk)è per giovedì 31 agosto, alle 21.30, al Teatro Romano (biglietti: 32 euro in platea numerata e 20 euro in gradinata disponibili al Box office di via Pallone 18, su www.boxofficelive.it e nei circuiti Ticket one e Geticket). Con il nucleo storico formato da Horacio Duràn, Horacio Salinas e José Seves ci saranno i giovani Fernando Julio, Camilo Salinas, Danilo Donoso, ed Hermes Villalobos. Il golpe del generale Pinochet, l’11 settembre 1973, li sorprese mentre erano in tournée in Italia. Quando seppero del bombardamento del Palazzo della Moneda e della morte del presidente Salvador Allende stavano visitando la cupola di San Pietro, a Roma. Da lì cominciò il lungo esilio che sarebbe finito il 18 settembre 1988 con il ritorno in Cile dopo la fine della dittatura. E, come a chiudere i conti con il passato, il tour europeo dei 50 anni si concluderà il 15 settembre in Vaticano, dove ora c’è un papa argentino, come loro “venuto dalla fine del mondo”. Durante gli anni di forzata lontananza dalla loro terra, gli Inti-Illimani (il nome, al quale dopo alcune vicissitudini interne l’attuale formazione ha aggiunto l’aggettivo Historico, nacque durante un concerto a La Paz: in quechua Inti significa sole e Illimani è il monte che sovrasta la capitale della Bolivia) hanno fatto conoscere a tutto il mondo la Nueva canciòn chilena che aveva accompagnato la rivoluzione democratica di Allende. Il successo fu enorme. Solo nel 1974 fecero 151 concerti in 19 Paesi, ma quello in Arena sarebbe rimasto un ricordo indelebile. Sul palco salì anche Joan, la vedova di Victor Jara, il musicista ucciso dai militari nello stadio di Santiago. «Quel concerto», confiderà poi Horacio Duràn al muralista Mono Carrasco, «mi diede l’energia per dire agli italiani: quello che avete visto stasera è ciò che ci è stato rubato, ma proprio da questa rapina nascerà un ponte di bellezza che ci riporterà al nostro Paese». Horacio Duràn, sono passati più di 40 anni da quel 6 settembre, con i 40mila in Arena ad ascoltare voi e i Quilapayun. Il vostro esilio era appena cominciato. Qual è il ricordo più emozionante? Sentire la solidarietà, e la commozione nel renderci conto che il sentimento di solitudine che sentivamo, tanti italiani lo vivevano come se il golpe fosse accaduto in Italia. Nel dolore eravamo vivi. Il 31 agosto tornerete a Verona, al Teatro Romano, per il concerto dei 50 anni. Tanta parte di questa storia ha a che fare con l’Italia… Potete immaginare dei “ragazzi” fra i venti e i trent’anni, con un futuro esistenziale incerto e figli che nascevano lontano dalla loro terra. Abbiamo assunto la responsabilità di non fermarci al dramma e ci siamo dati allo sviluppo artistico professionale con tutte le nostre capacità, vivendo in modo austero. Il popolo italiano ci ha capiti e sostenuti. Quindi, potete capire l’amore immenso che abbiamo per l’Italia. Voi avete portato in Europa la Nueva cancion chilena. Che cosa resta nel 2017 di quella musica “rivoluzionaria”? Essa corrisponde all’espressione più alta, nell’ambito della canzone, di un grande movimento popolare. Fu rivoluzionaria perché mise al centro il popolo, le sue aspirazioni, le sue lotte, il suo misticismo, e fondamentale fu il ruolo di Violeta Parra, rivoluzionaria fu anche la scelta di assimilare le musiche tradizionali dei Paesi fratelli dell’America Latina. La vicenda umana e politica di Salvador Allende può insegnare ancora qualcosa? Sì, anche se i tempi sono diversi, con la sua generosità, onestà, coerenza, le sue idee di sviluppo a partire da noi stessi. Basta leggere il programma di Unidad Popular per rendersi conto della sua attualità. Sono rari i politici come lui oggi. Poi, purtroppo, il massimalismo da una parte e, dall’altra l’imperialismo e le forze reazionarie segnarono la fine di quella stagione. In questi 50 anni come è cambiata la vostra musica? I contenuti più importanti non sono cambiati. Abbiamo amalgamato nuovi suoni e ritmi insieme agli stessi strumenti di quegli anni. Poi l’Italia è dentro di noi e ovviamente è viva nella musica di oggi. Ha ancora senso cantare “El pueblo unido jamàs serà vencido”? È una canzone di rara bellezza, sarà sempre valida oltre al momento drammatico in cui diventò celebre. E avrà sempre senso, com’è per i francesi Le temps des cerises o per voi Bella ciao. Nel 1975 dedicaste il concerto a Victor Jara. Oggi a chi lo vorreste offrire? Ai sogni sempre attuali di una società più giusta, la stessa che sognavamo negli anni Settanta. Come vorreste essere definiti da chi è nato negli anni Duemila? Noi abbiamo fatto una musica “alla ricerca di un Paese immaginario”. Vorremmo essere definiti come quelli, fra milioni di esseri umani, che seguono sempre le aspirazioni comuni a tanti.
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