Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, oggi a San Nicolò
LA SINDACO DI LAMPEDUSA GIUSY NICOLINI DOMENICA 20 LUGLIO ALLE ORE 11,00 A SAN NICOLO’ ALL’ARENA – VERONA
Domenica 20 Luglio alla messa delle ore 11.00 a San Nicolò all’Arena sarà presente la Sindaco di Lampedusa e Linosa Giusi Nicolini. Arrivando a Verona in occasione del Premio Trabucchi che le sarà conferito nel pomeriggio di domenica ad Illasi, ha accolto l’invito dei sacerdoti di San Nicolò, tramite il regista e poeta etiope Dagmawi Yimer, di visitare la comunità, partecipando alla messa domenicale.
Nessuno muore di accoglienza ma ci sono tante, tante, tante persone che oltre a morire di guerre, di fame, di oppressioni, muoiono su quei barconi solo perché noi abbiamo deciso di fargli chiedere aiuto a nuoto.
Video:
Introduzione di don Marco Campedelli
Il discorso di Giusi Nicolini
Il Padre nostro
L’estate scorsa, Dagmawi Yimer, a cui sarà conferita in Ottobre, la cittadinanza onoraria di Lampedusa, don Marco Campedelli e lo scultore Marco Danielon si erano recati nell’Isola, incontrando le diverse realtà presenti sul Territorio, tra cui la Sindaco Nicolini. In quell’occasione veniva portata nella chiesa di San Nicolò all’Arena la “TAVOLA DI LAMPEDUSA”. L’opera dell’artista Giacomo Sferlazzo raccoglieva su una tavola di legno, pezzi di barconi naufragati e pagine della Bibbia del Corano trovati tra le cose più care, che i migranti avevano portato con sé. Quella Tavola diventava anche un impegno, una responsabilità, un appello. La Sindaco Giusi Nicolini, vuole con la sua presenza a San Nicolò rinnovare una relazione di amicizia, di impegno, di solidarietà. Sarà possibile accogliere la sua testimonianza, esprimere a lei, alla gente di Lampedusa e Linosa, a tutti i Migranti che in quell’Isola continuano a giungere la nostra vicinanza. Facendo memoria anche dei tanti morti nel mare. Un’occasione per pensare, per non disgiungere la liturgia dalla vita, per rinnovare il nostro impegno di giustizia e di pace.
Vangelo Mt 13, 24-43
In quel tempo, Gesù espose alla folla una parabola: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».Un’altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami». Un’altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti». Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: “Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste” fin dalla fondazione del mondo. Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è i l Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda! ».
Dio sembra meno ossessionato dalla sindrome della “perfezione” degli uomini.
Una sindrome che invece può colpire molti, non solo singoli ma anche comunità.
La preoccupazione dei servi della parabola di separare la zizzania dal grano sembra rispecchiare una certa forma di separazione mentale, che divide il bene e il male con il coltello dello “zelo”.
Il Dio del Vangelo non confonde il bene con il male. Infatti alla fine prospetta un raccolto in cui grano e zizzania saranno separati: il primo nel granaio, la zizzania nel fuoco. Eppure lascia che grano e zizzania stiano “abbracciati insieme” , crescano uno accanto all’altra. La pazienza di Dio conosce il cuore umano. Attende, concede tempo di maturazione, non vuole rischiare di sradicare il buon grano insieme alla zizzania.
Un approccio ideologico alla vita è padre di ogni fondamentalismo. A priori si presume di sapere, di distinguere in modo chiaro e distinto, dove invece la realtà è complessa, composita. Questa proiezione ideologica la facciamo anche sull’immagine di Dio. Si proietta il proprio”delirio di perfezione” su Dio pensando che il suo sguardo sia semplificato come il nostro, incapace di vedere le sfumature, di cogliere le impensabili novità. E la prima novità il vangelo la racconta su Dio, rivelandone il volto inedito, sorprendente, perfino spiazzante rispetto ai nostri calcoli.
Il grano del campo perfetto non conosce il campo della vita. Nella vita chiaro e scuro stanno uno vicino all’altro, come in certi pavimenti della chiese barocche. Forse solo un grano che accetta questa sfida sarà più felicemente grano, perché passerà per il confronto, per la strettoia del dubbio, per il coraggio della scelta.
Noi stessi siamo campo in cui grano e zizzania crescono insieme. Di questa pazienza di Dio conosciamo la larghezza, la misericordia.
Credere in un Dio paziente genera sguardo e cuore pazienti, capaci di attesa, di discernimento. Accogliere la pazienza di Dio ci permette di entrare nel suo sguardo.
Se dovessimo rivedere la parabola della nostra vita, sarebbe abbastanza probabile che là dove noi avremmo pensato di bruciare zizzania abbiamo bruciato grano. Forse proprio in quella parte del campo su cui non avremmo scommesso ( sia un figlio, uno studente, un volto incontrato) il grano è cresciuto ed e’ diventato la nostra gioia. Perfino nel campo che siamo noi, nella terra della nostra coscienza questo si è avverato.
Il Regno dei cieli è lievito che fermata la massa. Non gli importa di essere “rilevante” gli basta essere una “manciata di senso” che fermenta la vita.
E’ come il chicco di senape, così piccolo da non vedersi neppure sul palmo di una mano, che seminato diventa l’albero più grande dell’orto, dove gli uccelli vanno a riposarsi la sera. Non potremmo diventare alberi dai rami ospitali se non crederemo a questa logica del vangelo, del piccolo che diventa grande, del gratuito che si fa sorpresa, promessa, dono…
Oggi è con noi la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini.
Potremmo dire : c’è una piccola isola, grande come un chicco di senape che è diventata albero grande, ospitale. C’è una piccola, coraggiosa donna, che non ha paura di fare della sua Isola un porto accogliente. Anche lei, chicco di senape, è diventa albero dai rami ospitali sui quali tanti si riposano dopo la tragica attraversata dal mare. Una donna stanca di seppellire i morti, che grida verso portoni chiusi, perché si faccia spazio all’aurora.
Anche stanotte sono morti in venti a Lampe
E proprio ora un giovane di appena vent’anni sta per essere sepolto, nella terra di Lampedusa… Diamo la parola a Giusi Nicolini:
Sono emozionata di parlare da qui, nell’immensità di questa chiesa, grazie perché questo è un modo di essere vicini a Lampedusa, vicini a tutte quelle persone che sono state a lungo tempo invisibili, che sono invisibili. Stamattina lì si stanno occupando e mi informano continuamente della sepoltura di questo giovane ragazzo che è arrivato morto. Erano 18 trovati i corpi trovati nella stiva di questo barcone, tre erano ancora vivi e sono stati portati a Lampedusa e un giovanissimo ragazzo appena ventenne sta per essere sepolto mentre noi parliamo qui. L’unica differenza tra vivere queste cose a Lampedusa e da Lampedusa lì nel centro del Mediterraneo e sentirle dalla Tv, è che lì un morto è un morto e non c’è bisogno di contarne 366, non c’è bisogno di tornare al 3 ottobre per contare fino a 366 per capire che i morti sono morti e che queste morti sono assurde e che sono non solo il risultato di azioni criminali ma sono il risultato delle politiche europee che hanno trasformato il Mediterraneo in cimitero, queste politiche che hanno individuato la piccola Lampedusa da nord e le coste magrebine e libiche da sud come guardiani dell’Europa. Questo che io trovo insopportabile, questo che tutti dobbiamo trovare insopportabile, non possiamo considerare politica qualcosa che provoca questa immane tragedia. Una politica dell’immigrazione, una politica dell’asilo deve fondarsi prima di tutto, per potersi definire tale, sul riconoscimento di questi numeri come persone. Bisogna cominciare a guardare queste persone come a ciascuno di noi, come noi italiani quando siamo andati in America, quando siamo andati in Belgio, in Svizzera, come i nostri giovani laureati che devono lasciare il nostro paese per poter costruire un’idea di futuro per la loro esistenza, altrimenti quella non è politica. Quello che non dobbiamo dimenticare mai che se un’isola così piccola come Lampedusa è riuscita in questi anni ad essere l’ancora di salvezza per Dagmawi Yimer ( Regista e poeta etiope, presente alla messa) e per tanti, tanti, tanti altri, più di centoventimila le persone salvate, provenienti dall’Africa, dai paesi in guerra, dall’Eritrea, tutti giovanissimi solo per non essere costretti a fare il militare, costretti a impugnare il fucile contro il proprio fratello, se un’isola così piccola non è morta di accoglienza, ma riesce a sopravvivere addirittura con il turismo, nessun altro morirà di accoglienza né Verona né Milano né Torino né l’Europa morirà e non si capisce perché si spaventi di questi numeri così piccoli rispetto al grande tema dell’immigrazione irregolare che arriva da ogni dove nei paesi d’Europa. Nessuno muore di accoglienza ma ci sono tante, tante, tante persone che oltre a morire di guerre, di fame, di oppressioni, muore su quei barconi solo perché noi abbiamo deciso di fargli chiedere aiuto a nuoto. Spero che Lampedusa possa diventare questo nel Mediterraneo un posto dove venire a imparare cosa sono i naufraghi a conoscere le ragioni assurde di queste morti assurde, a contare i morti, a contarli piuttosto che contare i numeri dell’invasione. Dobbiamo continuare a contare i morti anche quando è uno solo come oggi,come in questo momento che un ragazzo morto sta per essere sepolto, contiamoli questi morti e a un certo punto credo scriveremo la parola FINE. Altri olocausti hanno avuto la parola fine e questo è l’impegno che ciascuno di noi deve avere ed è questo che vi chiedo, vi chiedo di accogliere questo seme dell’accoglienza perché da Lampedusa passano, noi li salviamo, noi li sfamiamo, poi da là ripartono e ogni giorno facciamo qualcosa per impedire che il Mediterraneo sia ancora un cimitero. Solo questo. Grazie
20/07 – Il Premio Trabucchi 2014 a Giusi Nicolini
Il Premio Trabucchi alla Passione Civile VIII edizione 2014 sarà assegnato a Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa e Linosa e alla cittadinanza lampedusana da una giuria formata da Ascanio Celestini, Marco Paolini, Gino Strada, Milena Gabanelli, Carlo Petrini, Gianni Minà, Massimo Cirri, Alex Zanotelli, Giuseppe e Raffaella Trabucchi, Enrico Faccio.
La cerimonia di consegna si terrà presso Villa Trabucchi a Illasi (Vr) domenica 20 luglio alle ore 15.30 .
Il tema e la motivazione sono di grande attualità. Colpiscono le parole del Sindaco Nicolini per la loro incisività. “Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umani a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.” Le sue parole ci parlano della grandezza di un Sindaco e di una città lasciati soli a patire il peso del dolore per le vite spezzate, la solitudine dei sopravvissuti, lo smarrimento dei bambini.
Con il premio si vogliono condividere le scelte del Sindaco e della sua Giunta, sottolineando lo straordinario impegno di tutta la cittadinanza lampedusana, che vale come mirabile esempio per tutti, testimonianza del superamento di confini e distinzioni.
La giornata ruoterà attorno al dibattito sulla Passione Civile tra Giusi Nicolini, Ascanio Celestini, Marco Paolini, Gianni Minà, Fiorella Mannoia, Gianfranco Bettin e il filosofo Massimo Donà coordinati da Massimo Cirri.
Interventi musicali di Lorenzo Monguzzi accompagnato da Daniela Savoldi, Roberto e Maurizio Giannone e Gianluca Casadei e la partecipazione di Frankie Hi nrg Mc.
Anche quest’anno sarà l’Amarone Trabucchi l’ambito premio prodotto dall’Azienda di famiglia che da sempre si batte in difesa dei valori umani.
L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti.
Il programma su: premiotrabucchi.it (fonte)