Enrico IV secondo Franco Branciaroli
Teatro Nuovo di Verona
25-26-27-28-29-30 novembre 2014
Enrico IV
di Luigi Pirandello
con Franco Branciaroli
CTB Teatro Stabile di Brescia in collaborazione con Teatro de gli Incamminati
regia di Franco Branciaroli
scene e costumi di Margherita Palli – luci di Gigi Saccomandi
con Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti
Valentina Violo, Tommaso Cardarelli, Daniele Griggio
e con (in o.a.) Sebastiano Bottari, Andrea Carabelli, Pier Paolo D’Alessandro, Mattia Sartoni
Incontro con Franco Branciaroli e il cast giovedì 27 novembre alle ore 17 al Teatro Nuovo con ingresso libero.
Dopo il clamoroso successo di pubblico e di critica del debutto bresciano la scorsa stagione, a partire dal 21 ottobre 2014 avrà inizio, dal Piccolo Tearo di Milano la tournée di Enrico IV di L.Pirandello, portato in scena da Franco Branciaroli, interprete nel ruolo del titolo e regista. Fino al 22 marzo 2015 proseguirà toccando le città di Genova, Piacenza, La Spezia, Novara, Rovereto, Pordenone, Verona, Gallarate, Castelfranco Emilia, Lugano, Forlì, Trieste, Pietrasanta, Cagliari, Sassari, Lucca, Catania, Venezia, Cesena, Asti, Roma, Bergamo, Firenze.
Enrico è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente, ma dell’impossibilità di adeguarsi ad una realtà che non gli si confà più.
Franco Branciaroli, dopo i recenti successi ottenuti con Servo di scena, Il Teatrante e Don Chisciotte, continua la sua indagine sui grandi personaggi del teatro portando sulla scena l’Enrico IV, dramma in 3 atti di Luigi Pirandello, scritto nel 1921 e rappresentato per la prima volta il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano. Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello insieme a Sei personaggi in cerca di autore. Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro all’autore del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità.
In una lettera che Pirandello scrive a Ruggero Ruggeri – uno degli attori più noti dell’epoca – il drammaturgo agrigentino dopo avergli raccontato la trama, conclude dicendogli che vede in lui il solo attore in grado d’interpretare e dare corpo e anima al ruolo del titolo. Scrive infatti:“Circa vent’anni addietro, alcuni giovani signori e signore dell’aristocrazia pensarono di fare per loro diletto, in tempo di carnevale, una “cavalcata in costume” in una villa patrizia: ciascuno di quei signori s’era scelto un personaggio storico, re o principe, da figurare con la sua dama accanto, regina o principessa, sul cavallo bardato secondo i costumi dell’epoca. Uno di questi signori s’era scelto il personaggio di Enrico IV; e per rappresentarlo il meglio possibile, s’era dato la pena e il tormento d’uno studio intensissimo, minuzioso e preciso, che lo aveva per circa un mese ossessionato. (…) Senza falsa modestia, l’argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte.”
Il personaggio di Enrico IV, del quale magistralmente non ci viene mai svelato il vero nome, quasi a fissarlo nella sua identità fittizia, è descritto minuziosamente da Pirandello. Enrico è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente, ma dell’impossibilità di adeguarsi ad una realtà che non gli si confà più, stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta intorno e sceglie quindi di ‘interpretare’ ruolo fisso del pazzo.
Dopo le recenti prove di Il teatrante, Servo di scena e Don Chisciotte, Franco Branciaroli prosegue il proprio percorso di esplorazione dei grandi personaggi del teatro scegliendo Enrico IV di Luigi Pirandello, dramma in 3 atti scritto nel 1921 e rappresentato per la prima volta nel 1922 al Teatro Manzoni di Milano.
Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello insieme a Sei personaggi in cerca di autore, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro all’autore del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità.
Enrico IV è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente, ma dell’impossibilità di adeguarsi a una realtà che non gli si confà più stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta intorno e sceglie quindi di “interpretare” il ruolo fisso del pazzo.
COMUNICATO STAMPA
La ventinovesima edizione del Grande Teatro inizia martedì 25 novembre al Nuovo con un capolavoro di Pirandello: Enrico IV che vede Franco Branciaroli protagonista e regista. Repliche sino a domenica 30. Giovedì l’incontro con gli attori. L’apertura della stagione 2014-15 del Grande Teatro (al Nuovo martedì 25 alle 20.45) è affidata a Luigi Pirandello, uno dei massimi autori italiani del Novecento, premio Nobel per la letteratura nel 1934, e a un attore di notevole talento che più volte i veronesi hanno applaudito al Nuovo e al Teatro Romano, Franco Branciaroli. che per la prima volta nella sua carriera affronta il drammaturgo siciliano. Per l’occasione, l’attore e regista milanese ha scelto Enrico IV, unanimemente considerato il capolavoro di Pirandello assieme a Sei personaggi in cerca d’autore. Lo spettacolo, che indaga e sviluppa il tema della pazzia e contemporaneamente quello del rapporto finzione-realtà (problematica pirandelliana per antonomasia), è proposto nell’allestimento del CTB Teatro Stabile di Brescia e del Teatro degli Incamminati. Con Enrico IV, Branciaroli prosegue il percorso sulla natura del personaggio teatrale che lo ha visto interpretare i ruoli di Don Chischiotte e Sancho Panza nella celebre opera di Cervantes, vestire i panni di un famoso interprete Shakespeariano alle prese con i disastri interiori ed esteriori della guerra (in Servo di scena) e ancora quelli del bizzoso attore costretto a recitare nelle osterie (Il teatrante). Con l’opera pirandelliana si cambia totalmente registro: qui siamo di fronte a un uomo privo di una reale identità “imprigionato” dagli eventi nei panni del pazzo. Il suo vero nome non è infatti mai svelato e tutti lo chiamano con quello fittizio di Enrico IV, ovvero quello della maschera che ha deciso di indossare durante una collettiva cavalcata in costumi d’epoca. Una pazzia, la sua, che in un primo momento è reale (in quanto conseguenza di una rovinosa caduta da cavallo, provocata da Belcredi, suo rivale in amore che gli contende i favori di Matilde Spina), poi, a distanza di anni e a guarigione avvenuta, è solo una finzione. La follia diviene per Enrico IV una sorta di rifugio, un modo per sottrarsi a una quotidianità a lui sempre più estranea, soprattutto quando rischia di finire in carcere dopo avere ucciso Belcredi per vendetta. Meglio, dunque, fingere d’avere agito così perché insano di mente. Banco di prova per numerosi grandi attori del passato – da Ruggero Ruggeri per il quale Pirandello lo scrisse – a Renzo Ricci e a Salvo Randone, da Tino Carraro a Romolo Valli, Enrico IV è l’ennesima sfida di Branciaroli, qui protagonista e regista. Sfida ampiamente vinta, vista l’accoglienza che lo spettacolo ha sin qui ottenuto da parte di critica e pubblico. «È un ruolo – sottolinea Branciaroli – che caratterialmente mi è congeniale… Enrico IV entra nella mia galleria degli “attori” che in scena fanno gli attori come accade in Servo di scena di Ronald Harwood, nel Teatrante di Thomas Bernhard e in Don Chisciotte. Questo, per me, è l’unico modo per un attore d’essere sincero. Il protagonista di Pirandello, infatti, non è pazzo; è un attore che interpreta lucidamente il ruolo del re, vittima dell’impossibilità di adeguarsi a una realtà che non gli si confà più. Come nei Giganti della montagna, in quelle villone giganti e isolate avvengono delle recite della vita. E qui la tematica della maschera pirandelliana raggiunge la perfezione». L’allestimento ha ottenuto recensioni molto lusinghiere. «Al suo primo incontro con Pirandello – ha scritto Renato Palazzi sul Sole 24 Ore – Branciaroli riesce a immettere nell’Enrico IV una nota di crudeltà, quasi di sconsolata spietatezza che non vi avevo mai sentito prima. E il finale è bellissimo». Molto positivo anche il commento di Magda Poli sul Corriere della Sera: «Branciaroli offre di Enrico un’interpretazione bellissima, carica di crudeltà, fatica di vivere, lucidità verso un senso della vita che sfugge e bisogna reinventare». Per Maria Grazia Gregori dell’Unità «Branciaroli è un Enrico IV double face, bravissimo e sprezzante nella sua follia tutta di testa con cui vitalmente governa la prima parte del dramma e superbo nel lungo monologo della seconda». Accanto a Branciaroli recitano Melania Giglio, Valentina Violo, Tommaso Cardarelli, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti e, ancora, Sebastiano Bottari, Mattia Sartoni, Pier Paolo D’Alessandro, Andrea Carabelli e Daniele Griggio. Scene e costumi sono di Margherita Palli, le luci di Gigi Saccomandi. Dopo la “prima” di martedì 25 novembre lo spettacolo replica tutte le sere sino a sabato (alle 20.45). L’ultima recita, domenica 30, è alle ore 16. Com’è tradizione, giovedì 27 alle 17 ci sarà il tradizionale incontro con gli attori. Franco Branciaroli e tutta la compagnia saranno intervistati dal giornalista Lorenzo Reggiani.
ESTRATTI RASSEGNA STAMPA
Maria Grazia Gregori, L’Unità, 16 maggio 2014
L’imperatore di cartapesta
In uno spazio equestre che Margherita Palli crea fra teste di cavalli, stendardi, costumi d’epoca, un vero e proprio arsenale delle apparizioni che è il mondo in cui vive Enrico IV, sottolineato dalle luci di Gigi Saccomandi ecco dunque arrivare il mondo di fuori in abiti di oggi. Un continuo dentro e fuori il tempo, la storia, i sentimenti dove la marchesa Spina della brava Melania Giglio con il suo amante Belcredi (Giorgio Lanza), la figlia di lei (Valentina Violo) una morbosetta in minigonna e il suo fatuo innamorato (Tommaso Cardarelli) tessono la loro ingannevole tela. A fare da raccordo fra un mondo e l’altro c’è l’inquietante psichiatra di Antonio Zanoletti, che plasma le inquietudini della mente e intanto cuce i costumi che sono la buccia esteriore di ciò che davvero siamo. E poi c’è lui, Franco Branciaroli, un Enrico IV a double face, bravissimo e spiazzante nella sua follia tutta di testa con cui vitalmente governa la prima parte del dramma e superbo nel lungo monologo della seconda, in cui rivela la verità a quelli che vivono con lui, per poi regredire consapevolmente al passato inforcando un cavallo da giostra dei pupi. Imperatore di cartapesta come la corona che il medico gli mette sulla testa per continuare la recita e il gioco della vita e della morte.
Magda Poli, Corriere della Sera, 15 maggio 2014
La follia per difendersi dall’accusa di omicidio
(…) Branciaroli offre di Enrico una interpretazione bellissima, carica di crudeltà, fatica di vivere, lucidità verso un senso della vita che sfugge e bisogna reinventare, rendendo quasi visibile il processo del reale che perde peso e consistenza nella misura in cui tra la finzione e l’arte ne acquistano: la realtà dei personaggi reali è ben poca cosa rispetto alla verità complessa della “finzione” del personaggio irreale.
Bravi gli attori Melania Giglio, Antonio Zanoletti, Giorgio Lanza, Tommaso Cardarelli che efficacemente seguono il dettato registico. Folgorante il finale nel quale Enrico, nella bella scena di Margherita Palli, sale su un cavalluccio da giostra pronto a scomparire tra essere e apparire.
L GRANDE TEATRO. In scena al Nuovo, oggi l’incontro con i protagonisti
Enrico IV, la follia
di un uomo
e di un attore
Daniela Bruna Adami
Grande Branciaroli nell’opera di Pirandello segnata dalle finzioni: un capolavoro di sovrapposizioni Nella compagnia di attori spiccano la Giglio e Lanza
Ha scelto uno dei personaggi più complessi ed affascinanti, Franco Branciaroli, per il suo primo Pirandello. Con Enrico IV è al Grande Teatro al Nuovo fino a domenica, tappa di una lunga tournée di successo. Merito sicuramente di un testo straordinario, di cui non si finisce mai di trovare ulteriori suggestioni, e della regia molto rispettosa di Branciaroli, che come suo stile va al sodo delle cose.
Anche qui, come in Servo di scena o Il teatrante o la sua rilettura del Don Chisciotte, Branciaroli è un attore che interpreta un attore. Il personaggio è un uomo che interpreta un ruolo e ne rimane imprigionato. Pirandello nemmeno ci dice il nome di quest’uomo, che cade durante una cavalcata in costume storico e per la botta in testa crede di essere Enrico IV, e molti anni dopo, guarito, si accorge di aver perduto le persone che amava, che sono andate avanti senza di lui, decidendo così di fingere la pazzia e restare Enrico IV. Sceglie di «recitare» e quindi «vivere» la vita di un altro.
La pazzia come rifugio dalla realtà, per disperazione o per comodo, è un tema portante della scrittura di Pirandello. Stavolta il protagonista rivuole disperatamente la sua vita e si rende conto che ciò non è più possibile, neppure come Enrico IV. Ci prova: «Voi due, dovreste implorarmi dal papa che lo può: di staccarmi da là (indica il proprio ritratto) e farmela vivere tutta, questa mia povera vita, da cui sono escluso». Ma Pirandello non gli dà alcuna via d’uscita, non gli concede neppure una tragedia vera in senso shakespeariano, abbassandolo a oggetto di commiserazione da parte degli altri anziché eroe tragico della propria esistenza.
Del resto la vicenda partiva già da una serie di finzioni sociali: la marchesa Matilde sembrava disprezzarlo e invece lo amava; il nobile Belcredi lo derideva per scherzo e invece lo odiava sul serio, tanto da farlo cadere da cavallo; lui stesso aveva nausea della società in cui viveva e pure la frequentava. La stessa cavalcata era in travestimento carnevalesco, ma straordinariamente dettagliato anche nei costumi fatti fare da un laboratorio teatrale. Un capolavoro di sovrapposizioni, in cui alla fine la follia di Enrico IV non appare neanche tanto diversa da quella degli altri, che continuano ad assecondarlo vestendosi in abiti medievali.
MA ENRICO IV ad un certo punto molla. È stufo della mascherata e lo dice ai ragazzi che impersonano i consiglieri del re. Da lì inizia una analisi lucida e crudele della situazione, così sincera da essere considerata opinione di un pazzo, l’unico secondo Pirandello, che si può permettere di dire la verità. Branciaroli distingue perfettamente i due momenti. Quando si chiude la porta alle spalle e dice «Buffoni», abbandona il repertorio di effetti vocali da «attore», appunto quale è Enrico IV, per recitare sul serio e colpisce al cuore. Gli è accanto una compagnia numerosa, dieci attori, tra cui spiccano Melania Giglio, una Matilde snob e perennemente in posa, e il dandy Belcredi di Giorgio Lanza, a dividersi uno spazio volutamente ingombro e claustrofobico creato da Margherita Palli.
Repliche fino a sabato alle 20,45 e domenica alle 16. Oggi alle 17 incontro con gli attori, al Nuovo, intervistati dal giornalista Lorenzo Reggiani.
Renato Palazzi, Il SOLE 24 ORE, 11 maggio 2014
Enrico crudele e lucido
Dopo il vecchio mattatore shakespeariano del Servo di scena di Harwood, dopo il Teatrante di Bernahard, il modo in cui Branciaroli si accosta a questo guitto dell’anima mette i brividi. Nelle sue ambigue riflessioni, nei suoi trasalimenti fa risuonare un senso amaro della vita, uno sguardo disincantato sulle persone e sulle cose che trascende di gran lunga la dialettica pirandelliana dell’essere e apparire, che ha qualcosa di “magnifico e terribile”, per usare le parole dell’autore. Al suo primo incontro con Pirandello, Branciaroli riesce a immettere nell’Enrico IV una nota di crudeltà, quasi di sconsolata spietatezza che non vi avevo mai sentito. E il finale è bellissimo, col protagonista che, dopo l’uccisione del rivale, in posa su un cavallo da giostra viene incoronato dallo psichiatra.
Nino Dolfo, Corriere della Sera, 9 maggio 2014
Enrico IV, follia senza illusioni.
Branciaroli è superbo in un dramma più che mai contemporaneo. Geniali le scenografie di Margherita Palli, efficaci le luci di Gigi Saccomandi… Applausi meritatissimi.
Francesco De Leonardis, Brescia Oggi, 8 maggio 2014
ENRICO IV, folle saggio senza nome
Franco Branciaroli sa offrire al personaggio il sublime della tragedia, conservandone però la vena ironica e amara, in momenti di intensa poesia, come nella scena del disincanto in cui Enrico, in una notte di luna, confida agli scudieri la sua guarigione . Calibrata ed efficace la prova della compagnia formata da Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti, Valentina Violo, Tommaso Cardarelli, Daniele Griggio,Sebastiano Bottari, Andrea Carabelli, Pier Paolo D’Alessandro e Mattia Sartoni. Ovazione per Branciaroli e applausi calorosi per tutti.
Paola Carmignani, Giornale di Brescia, 8 maggio 2014
Enrico IV di Branciaroli furioso, amletico istrione
“Enrico IV” è un capolavoro aperto: ogni attore è libero di scrivere la sua storia. Non a caso Luigi Pirandello non dà nome al protagonista, lo lascia coi puntini di sospensione. Franco Branciaroli in quello spazio scrive ora il suo nome a caratteri indelebili (…) è parso chiaro che la sua interpretazione è destinata a grande successo.
Enrico IV di Luigi Pirandello
Il 24 febbraio 1922 fu rappresentata per la prima volta al Teatro Manzoni di Milano la tragedia in tre atti Enrico IV di Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936), drammaturgo, scrittore e poeta italiano, che nel 1934 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura.
L’opera appartiene a quella che viene definita la Terza Fase del teatro pirandelliano, il “teatro nel teatro”, dopo il “teatro siciliano” ed il “teatro umoristico/grottesco”, e prima del “teatro dei miti”.
Enrico IV fu scritto per Ruggero Ruggeri (Fano, 14 novembre 1871 – Milano, 20 luglio 1953), uno degli attori più noti del periodo, che faceva parte della “Compagnia del Teatro D’arte”, fondata a Roma dallo stesso Pirandello il 6 ottobre 1924.
La trama
La tragedia inizia con il racconto dell’antefatto. Un nobile del primo ‘900, di cui non viene mai fatto il nome, partecipa ad una festa in maschera travestito da Enrico IV. Egli ha scelto di vestire i panni di quel sovrano per poter stare vicino alla donna amata, Matilde di Spina, mascherata da Matilde di Canossa.
All’evento partecipa anche il barone Belcredi, suo rivale in amore, che disarciona da cavallo Enrico IV, il quale cade battendo violentemente la testa. A seguito del trauma subìto, Enrico IV si convince di essere davvero il personaggio storico di cui portava le vesti.
Credendolo pazzo, tutti lo assecondano ed il nipote di Nolli cerca di alleviare le sue sofferenze per dodici anni ricostruendo l’ambientazione in cui aveva vissuto il vero sovrano. Trascorso questo tempo, Enrico guarisce e si accorge che era stato Belcredi a farlo cadere intenzionalmente per toglierlo di mezzo e poter sposare la donna contesa da entrambi. Infatti, dopo l’incidente, Matilde era scappata con Belcredi, si erano sposati ed avevano avuto una figlia. Enrico decide di continuare a fingersi pazzo per riuscire a sopportare in qualche modo il dolore che gli procura la presa di coscienza della realtà.
Dopo venti anni dall’incidente, si ritorna al presente, come all’inizio. Matilde con Belcredi, la loro figlia, Frida, e uno psichiatra fanno visita ad Enrico. Lo psichiatra è molto incuriosito dal suo caso, e , per farlo guarire, consiglia di ricostruire l’ambientazione di venti anni prima e di ripetere la caduta da cavallo.
Durante la messa in scena, Enrico si trova davanti la figlia della donna che ama da sempre e per la quale è costretto a fingersi pazzo. La giovane Frida è identica alla madre, quando aveva la sua età, ed Enrico non può fare a meno di abbracciarla. Belcredi non tollera che Enrico si avvicini alla figlia, ma, quando tenta di opporsi, Enrico sguaina la spada e lo ferisce a morte. Per sfuggire alla realtà di dolore, che per di più lo costringerebbe anche ad un processo e alla prigione, Enrico si rassegna a vivere per sempre fingendosi pazzo.
Preferii restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia […] questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quest’altra mascherata, continua, d’ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontarii quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere […] Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio, quieto! – Il guajo è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia. […] La mia vita è questa! Non è la vostra! – La vostra, in cui siete invecchiati, io non l’ho vissuta! (Enrico IV, atto terzo)
Questa tragedia mette in evidenza il relativismo psicologico in cui credeva Pirandello. Tutti gli uomini nascono liberi, ma il Caso interviene impedendo loro di esprimere le proprie volontà, imprigionati come sono dalle convenzioni di società precostituite, in cui ciascuno ha un ruolo prefissato.
L’io non riesce a venire fuori, e così non c’è comunicazione tra esseri umani, perché ciascuno è costretto ad indossare una maschera, dietro la quale si nascondono infiniti io. Un concetto che viene espresso nel romanzo Uno, nessuno, centomila: l’individuo è uno, perché ogni persona crede di essere unica e avere caratteristiche peculiari; centomila, perché ciascuno ha, dietro la maschera che indossa, tante personalità quante sono le persone che lo giudicano; nessuno, perché nel suo continuo cambiare personalità non può dare mai spazio al suo vero io.
Da qui deriva inevitabilmente l’incomunicabilità tra individui, perché ciascuno ha un proprio modo di vedere, e non esiste un criterio oggettivo ed universale su cui basare uno scambio di opinioni. Questo crea solitudine ed emarginazione dalla società, ma anche da se stessi, in quanto l’io è sempre frammentato, nonostante gli sforzi per trovare un senso all’esistenza e all’identificazione di un ruolo che vada oltre la maschera.
Pirandello pone tre tipi di reazioni degli individui a questo relativismo: una reazione passiva, in cui si accetta la maschera e l’infelicità che ne consegue, senza opporre resistenza, come nel caso de Il fu Mattia Pascal; oppure una reazione ironico-umoristica, come ne La patente, in cui si accetta la maschera con un atteggiamento ironico e aggressivo, cercando almeno di trarne vantaggio.
Oppure c’è una reazione drammatica, come nel caso di Enrico IV: l’uomo si rende conto che l’immagine che ha sempre avuto di sé non corrisponde a quella che gli altri hanno di lui, e cerca di comprendere questo lato sconosciuto del suo io.
Vuole togliersi la maschera che gli hanno imposto, ma non riesce a strapparsela di dosso, ed egli sarà sempre come gli altri lo vogliono, anche se continuerà a lottare per impedirlo, arrivando fino alle tragiche conseguenze delle pazzia, del dramma e del suicidio.
L’unico modo per vivere e trovare il proprio io è accettare il fatto di non avere un’identità, ma tanti frammenti, essere consapevoli di essere completamente alieni da se stessi. Eppure, la società non accetta questo relativismo, e chi lo fa è ritenuto pazzo.
Dell’Enrico IV sono state fatte due trasposizioni cinematografiche, una del 1943, per la regia di Giorgio Pàstina, e uno del 1984, per la regia di Marco Bellocchio.