Duetto organo e didgeridoo a San Nicolò all’Arena
CHIESA DI SAN NICOLO’ ALL’ARENA – VERONA
Domenica 23 febbraio 2014
DALLE ORE 10 ALLE ORE 11
Il Giardino Sospeso
Musiche dell’ora media
Le jardin suspendu
«Le Jardin suspendu, c’est l’idéal
perpétuellement poursuivi et fugitif
de l’artiste, c’est le refuge inaccessible
et inviolable.»Jehan Alain (1911-1940)
DIDGERIDOO: Massimo Rubulotta
ORGANO: Francesco Bellomi
NOTE
Se il mitico inventore dell’organo, Ctesibio di Alessandria, lo inventa in Egitto nel 275 a.C. (così almeno dicono molte antiche fonti ma esse sono attendibili come i giornalisti di oggi), l’invenzione del Didgeridoo si perde nella notte dei tempi, fra i duemila e i quindicimila anni fa, in Australia.
Se l’organo si diffonde prima a Roma, poi nell’impero romano d’oriente, quindi nel mondo arabo, e torna infine in occidente dopo vari secoli, il Didgeridoo rimane per millenni chiuso in quell’universo a parte che è stata ed è, per certi versi ancora oggi, l’Australia.
Se l’organo è una delle macchine più complesse per produrre suoni, con tasti leve canne mantici legno metalli colla pelli chiodi vernici ecc., il Didgeridoo è un tronco scavato dalla termiti, punto.
Se gli autori di musica per organo sono innumerevoli, il Didgeridoo non ha mai avuto, se non negli ultimi anni, pezzi scritti appositamente per esso con una qualche forma di scrittura.
Niente in comune? si una cosa sola: la possibilità di tenere un suono lungo, lunghissimo, senza interruzioni. (Stravinsky chiamava l’organo “il mostro che non respira mai”.)
Il modo di arrivare a questo suono continuo è simile nella meccanica ma diversissimo nei materiali. L’organo usa mantici a cuneo (ieri), e/o motori elettrici (oggi), per pompare l’aria, camere di compensazione con acqua (egiziani e romani) o mantici a lanterna (da circa 1300 anni) per mantenere costante la pressione dell’aria. Il Didgeridoo usa lo stesso procedimento usando i polmoni come pompa e la bocca del suonatore come riserva d’aria. L’organo serve a fare “musica”. Il concetto occidentale di “musica” è totalmente sconosciuto ed estraneo alla cultura aborigena.
Mettere assieme questi due strumenti è ovviamente una impresa impossibile: proprio quello che ci piace fare.
In Le Banquet Céleste, questo immobile e meraviglioso brano di Messiaen, abbiamo cercato di far dialogare l’immobilità del Didgeridoo con l’immobilità della contemplazione mistica che avvolge questa musica come una nuvola.
Nei brani tratti da una delle più antiche raccolte esistenti di musica per organo, Il Buxheimer Orgelbuch abbiamo cercato di far dialogare due forme diverse di primitivismo.
Nei Brani di Bellomi scritti appositamente nel 2002 per il piccolo organo Nicolò Alboreto, costruito a Napoli nel 1876 e posto in questa chiesa, abbiamo pensato ad un adattamento, approvato d’ufficio dall’autore della musica.
Per il brano del compositore armeno Arno Barbajanian il caso ci ha aiutato: uno studente armeno ha regalato all’organista lo spartito di questo brano malinconico e un po’ decadente. Il grosso del lavoro è stato scoprire il nome dell’autore e il titolo smanettando sul computer per tradurre dall’armeno.
I tre pezzi di Haydn per orologio di flauti (erano usati come suoneria in alcuni orologi di casa Esterházy) vogliono mettere di fronte il ‘700 viennese, con le sue parrucche, le sue ciprie, i suoi boccoli, i suoi arzigogoli, le sue manine grattaschiena e i “pettegolezzi del caffè” (Der Kaffeeklatsch) con il vuoto totale del deserto australiano, con l’aborigeno che, vestito di niente, vagava naturalmente e armoniosamente in quel mondo dove un occidentale si perdeva e moriva in meno di tre giorni.
Infine Gurdjieff, che scrive musica come un selvaggio e commuove per la sua rude semplicità di scrittura. Ma dietro questa semplicità, come dietro a quell’unico suono che esce dal Didgeridoo, vive un intero universo che si lascia scoprire a poco a poco, basta avere la follia di essere attenti e il coraggio di dimenticarsi dell’orologio.
Massimo Rubulotta e Francesco Bellomi tornano a suonare assieme dopo trent’anni circa, e l’impressione è che non sia cambiato niente e che ogni volta che un pezzo inizia non si sa bene dove si andrà a finire. Una vera festa: andare a zonzo nel mondo dei suoni.