Dove sorgeva l’Arco dei Gavi
QUI SORGEVA IL CENOTAFIO
DENOMINATO ARCO DEI GAVI
ERETTO NEL SECOLO D’ORO DI ROMA
DEMOLITO DAI FRANCESI NELL’ANNO MDCCCV
[toggle title=”Arco dei Gavi su Wikipedia”] Arco dei Gavi Da
Wikipedia, l’enciclopedia libera. Coordinate: 45°26′24″N 10°59′20″E (Mappa)
L’arco dei Gavi. L’Arco dei Gavi è una monumentale architettura romana di Verona, fatto erigere intorno alla metà del I secolo lungo la via Postumia poco fuori dalle mura della città romana. Molto probabilmente Verona è stata la città natale della più nota famiglia veronese di epoca romana, la gens Gavia, allora conosciuta anche in altre città italiane. I nomi di alcuni componenti della famiglia si possono trovare incisi in una loggia del teatro romano di Verona e in un’iscrizione che ricorda che un membro della gens Gavia provvide, per testamento, alla costruzione di un acquedotto; lo stesso Arco dei Gavi prende il nome dalla famiglia veronese che lo fece erigere, come conferma la scritta dedicatoria CURATORES L[ARUM] V[ERONENSIUM IN HONOREM?] GAVI CA DECURIONUM DECRETO. Sotto le nicchie che originariamente contenevano delle statue sono indicati i nomi di quattro membri della famiglia Gavia: i nomi ancora leggibili sono C[aio] Gavio Strabone, M[arco] Gavio Macrone e Gavia, mentre un quarto nome è andato perduto.[2] Architetto[modifica sorgente] L’architetto dell’Arco ha lasciato la propria firma sulla faccia interna di uno dei pilastri, evento molto raro: si può leggere in grafia latina la scritta L. VITRVVIVS. L. CERDO ARCHITECTVS. L’architetto Lucio Vitruvio Cerdone, come indica il nome Cerdone, fu uno schiavo greco liberato da un cittadino romano. Il gentilizio Vitruvius può richiamare Marco Vitruvio Pollione, architetto romano noto per aver scritto il trattato De architectura, anche se non è sovrapponibile con certezza. Ubicazione[modifica sorgente] Semiprospetti, prospetti e dettagli dell’Arco dei Gavi, disegnati da Andrea Palladio. L’Arco dei Gavi venne eretto lungo la via Postumia, non distante del punto in cui a questa si congiungeva la via Gallica, e a soli 150 metri da porta Borsari, quindi a breve distanza dalle mura della città romana. Il luogo in cui venne realizzato lo fece risultare una quinta scenografica, infatti giungendo dalla città delimitava il principale asse stradale della città, mentre giungendo dalla campagna aveva come sfondo le mura della città e la scenografia del monumentale colle San Pietro, su cui sorgevano il teatro romano cittadino e un tempio pagano. L’Arco venne distrutto dai napoleonici nell’agosto 1805, ufficialmente per ragioni di viabilità. I blocchi che formavano l’Arco finirono depositati, dopo alcune sistemazioni momentanee, sotto gli arcovoli dell’Arena, e vennero riutilizzati solamente nel 1932 per essere ricomposti non più nella sede originaria, ma in una piazza a breve distanza, di fianco a Castelvecchio. Il luogo in cui sorgeva originariamente l’Arco è individuabile grazie ad un rettangolo di marmo visibile sulla carreggiata della strada di fronte al castello. Storia[modifica sorgente] L’Arco dei Gavi venne commissionato all’architetto Vitruvio Cerdone e realizzato verso la fine del regno di Augusto o nei primi anni di regno di Tiberio, quindi nella prima metà del I secolo. Eretto lungo la via Postumia come monumento isolato, in epoca comunale venne inglobato nella cinta muraria che correva lungo la depressione dell’Adigetto, venendo così utilizzato come porta ubica con il nome di porta di San Zeno. Con il tempo il monumento andò deteriorandosi, tanto che nel medioevo il basamento si trovava quasi completamente sotto il livello stradale, e nel Cinquecento gli furono addirittura addossate alcune casupole.
Nel 1805, durante l’occupazione napoleonica, il Genio Militare francese decretò e attuò la demolizione del monumento, i cui blocchi vennero alloggiati negli arcovoli dell’Arena. Ai progetti per la ricostruzione del monumento veronese lavorarono Luigi Trezza, Ferdinando Albertolli, Giuseppe Barbieri, Gaetano Pinali, Bartolomeo Giuliari e perfino Luigi Negrelli (progettista del Canale di Suez), ma nessuno dei loro progetti venne mai compiuto. Solo nel 1932, grazie all’opera dell’amministrazione comunale e di Antonio Avena, direttore dei musei civici di Verona, il monumento venne riedificato basandosi sui disegni di Andrea Palladio. Il monumento venne ricomposto in parte per anastilosi e in parte per integrazione in un’area a verde di fianco a Castelvecchio.
Struttura
L’Arco è strutturato su due fronti principali, collegati sui lati minori da due fornici minori. Il monumento possiede un’altezza di 12,69 metri, una lunghezza di 10,96 metri dei lati maggiori e di 6,02 metri di quelli minori. Il fornice maggiore ha una luce di 8,40 x 3,48 metri mentre quello minore ha una luce di 5,50 x 2,65 metri. Sui due fronti maggiori si trovano quattro nicchie alte 2,50 metri, larghe 0,98 metri e profonde 0,68 metri, in cui si trovavano le statue di quattro personaggi. La copertura del soffitto è a cassettoni, non è presente quindi la conclusione a volta a botte tipica degli archi romani, tanto che si può pensare a una contaminazione delle forme di un tetrapylon ellenistico con il classico arco romano.[4] La pietra bianca che si utilizzò per la costruzione dell’Arco è il rosso ammonitico di Verona, completamente decolorato e proveniente, molto probabilmente, dalla Valpolicella, da dove i blocchi vennero trasportati fino a Verona sul fiume Adige. [/toggle]