Cristiano De André: Concerto + Accessibile è meglio
Fotografica la testimonianza di accessibilità per dismappa del cantante e musicista Cristiano De André, dopo il concerto che ha inaugurato la Rassegna Verona Folk 2016.
Gli applausi e il concerto a Zevio
Galleria fotografica Concerto Cristiano De André
Video Gallery De André canta De André
ZEVIO. Il cantautore ha aperto con successo il Verona Folk. Ovazioni e richieste di bis
Splendido Cristiano De André
Nuova vita alle canzoni di papà
Beppe Montresor
La sua voce matura le trasforma, ma alcuni arrangiamenti sono pesanti
Partenza a razzo, in tutti i sensi, della dodicesima edizione di «Verona Folk», rassegna internazionale organizzata da Box Office Live, con una tradizione illustre che va dai Fairport Convention a Suzanne Vega; stando solo al Parco del Castello di Zevio, una delle sedi più belle e predilette del festival, qualche anno fa aveva accolto Niccolò Fabi. L’altra sera è arrivato Cristiano De André, personaggio controverso e tribolato caratterialmente – nel bene e nel male è un uomo che, a 53 anni, ha già vissuto più di una vita – ma musicista di talento incontrovertibile. E da tempo diciamo anche che Cristiano ha smesso di essere soltanto «il figlio di Fabrizio», come succede ad altri figli d’arte che, schiacciati dalla figura paterna, faticano a far emergere una propria personalità. Magari quella di C. (così lo chiamava il grande papà) non è quella di un cavaliere infallibile, senza macchia e senza paura, ma l’uomo ha senz’altro una personalità forte, semmai più portata a debordare che difettare di coraggio. Non ha parlato molto, l’altra sera, tra una canzone e l’altra, Cristiano, forse perché lo aveva già fatto nelle precedenti tournée e oggi non sente più il bisogno di «giustificare» le sue riletture del canzoniere di papà (comunque, evidentemente, è la persona che ha più titolo di farle). Ha ribadito soltanto la sua volontà di dare veste nuova ad un corpus di canzoni straordinarie, soprattutto per ribadire in primis il valore etico sempre presente nella poetica di Fabrizio, facendola possibilmente conoscere ovunque, anche all’estero. Il concerto, accolto da un pubblico decisamente numeroso, si è concluso con vari encore e una sorta di ovazione. Strumentista notevolissimo (suona chitarra, bouzouki, violino e pianoforte, oltre a dirigere il gruppo), Cristiano è dotato anche di una bella vocalità, molto più personale rispetto agli esordi, e sempre più distinta, in timbro e fraseggio, da quella di papà. Non tutto ci ha convinto, diciamo la verità, negli arrangiamenti scelti da Max Marcolini. Cristiano ha detto di aver cercato vesti che mettessero insieme world, etnica, elettronica, rock. Così è stato, e alcuni brani ci sono risultati «schiacciati» da volumi e addobbi un po’ troppo pesanti, col risultato di tarpare un po’ le ali a capolavori di profonda leggerezza come Il testamento di Tito o La collina, anche dal punto di vista di una nitida comprensione dei testi. Altrove, come per esempio nel crescendo catartico di Quello che non ho (Cristiano ha citato con ammirazione e affetto Massimo Bubola, coautore di questo e tanti pezzi scritti con Fabrizio, tra l’altro anche Don Raffaé eseguita molto bene da C.) la veste molto rock (spesso con dichiarati debiti a Daniel Lanois) ha ben funzionato; ma il meglio, per noi, è venuto dai momenti caratterizzati da scelte più «asciutte», come una splendida La guerra di Piero, Amore che vieni amore che vai, La canzone dell’amore perduto, o anche più marcatamente folk come Creuza de ma, Khorakhanè, Dolcenera.
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