Rassegna organizzata dall’Associazione culturale Conoscere Eurasia in collaborazione con il Verona Film Festival.
La rassegna parte con un film che si rifà alla tradizione del genere bellico sulla seconda guerra mondiale, quella che i russi chiamano la Grande Guerra Patriottica, La fortezza di Brest (2010) di Aleksandr Kott, giovane e prolifico regista. L’assalto tedesco alla fortezza di Brest, atto d’inizio della guerra nazista, e il successivo massacro di soldati e civili sono visti attraverso gli occhi di un ragazzino.
Nello stesso periodo è ambientato Anime nella nebbia (2012) del geniale documentarista ucraino Sergej Loznitsa, da qualche anno passato anche alla finzione. Ispirandosi a uno dei romanzi di guerra dello scrittore bielorusso Vasilij Bykov, Loznitsa crea un dramma morale nel quale tre uomini sono chiamati a prendere delle decisioni di fronte a dilemmi etici: qualsiasi sia la loro scelta, i risvolti e le conseguenze saranno drammatici.
Nella Russia più profonda, ai confini nord del mondo eurasiatico, ci trasporta Le notti bianche di un postino (2014) di Andrej Končalovskij. Il maestro ultraottantenne (che è stato ospite d’onore alla recente rassegna sulla Rivoluzione d’Ottobre Incontri con la Cultura Russa), utilizza magistralmente la leggerezza creativa consentita dalle nuove tecnologie digitali. A modelli americani si rifanno anche Il maggiore (2013) di Jurij Bykov e Il tempo dei pionieri (2017) di Dmitrij Kiselëv. Se il primo pesca nella tradizione del “rogue cop”, il poliziotto bastardo e immorale, figura classica del noir made in USA, il secondo sfida i kolossal hollywoodiani sugli incidenti spaziali, rievocando l’epopea dei trionfi sovietici nello spazio dei primi anni Sessanta, in una rinnovata chiave patriottica, molto in auge in questi ultimi anni in Russia.
Ad abbassare i toni, con storie che affrontano il disagio esistenziale e il male del vivere, ci pensano due autori che hanno portato nel cinema la loro esperienza di teatro, Vasilj Sigarev e Kirill Serebrennikov, due registi molto critici nei confronti dell’attuale società russa. E se Vivere (2012) di Sigarev ci cala direttamente nell’inferno esistenziale provocato in esseri psicologicamente fragilissimi da un grave lutto e dall’impossibilità di elaborarlo, Parola di Dio (2016) di Serebrennikov (uno dei protagonisti della dissidenza russa, imprigionato da alcuni mesi con l’accusa di aver usato a scopi personali finanziamenti pubblici) mette in luce i rischi del fanatismo religioso.
La Dama di Picche (2016) di Pavel Lungin, invece, si rifà a un classico, un testo di Aleksandr Puškin messo in musica da Pëtr Čajkovskij, attualizzandolo.
Come ho passato questa estate (2010) di Aleksej Popogrebskij riprende un tema classico: due uomini costretti a vivere insieme, in condizioni estreme, in uno spazio isolato e lontano da tutto. L’intensità della vicenda narrata gli fa assumere una valenza simbolica, tanto che alcuni critici vi hanno letto in trasparenza una metafora della Russia d’oggi.
Aleksej German jr, infine, con Sotto nuvole elettriche (2015) si colloca sul solco della tradizione di Andrej Tarkovskij e del padre Aleksej German sr. e dei loro film complessi e altamente simbolici.