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Antichi mestieri: el moleta (l’arrotino)
[quote style=”3″]Son partì da lontan,
con la me mola en man,
Giro la mola n’presa, per guadagnarme ‘l pan.
E sin e son la mola, e sin e son e san,
E l’arte del moleta, l’è ‘n bon mister en man….[/quote]
Le effigi tra gli scuri azzurri di Palazzo Carlotti
Palazzo Carlotti
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Coordinate: 45°26′30.66″N 10°59′33.95″
Palazzo Carlotti
Palazzo Carlotti, di proprietà dell’omonima famiglia, è un palazzo del XVII secolo, in stile barocco, che si trova nel centro di Verona, all’inizio di Corso Cavour.
Palazzo Carlotti è stato costruito sullo scheletro di due palazzi precedenti, che sono stati in parte incorporati nella struttura. I lavori iniziarono intorno al 1666 sotto la supervisione del progettista Prospero Schiavi, con Gerolamo Carlotti come committente dell’opera. La casa venne ampliata diverse volte, l’ultima nel 1698. Nel 1777 l’edificio è stato ristrutturato, dopo che parte della facciata era crollata.
Non distante si trova palazzo Pompei, donato dai proprietari al comune di Verona che procedette in seguito ad acquisire anche palazzo Carlotti. Dopo il restauro degli edifici vennero entrambi utilizzati per il museo di storia naturale.
Struttura
Esternamente il palazzo appare con una facciata in stile barocco, internamente vi sono vari saloni decorati di pitture ed affreschi. Tra le varie opere ci sono dipinti di Ludovico Dorigni, Francesco Lorenzi, Enrico Keldemaker e Diego Zannandreis.
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All’inizio di Corso Cavour, in angolo con Via Diaz, fa bella mostra di se la seicentesca dimora dei marchesi Carlotti, uno dei pochi palazzi barocchi di Verona.
Presenti qui, nella contrada di San Michele alla Porta, dal secolo XIV, i Carlotti, originari di Garda, dovevano aver abitato da subito una o più case signorili distrutte poi nella costruzione dell’attuale grande palazzo, nel quale furono peraltro (secondo una tecnica costruttiva allora assai in voga) in buona parte inglobate. AI piano terra, in facciata, resta infatti tuttora, anche se assai compromessa, una traccia di stemma scaligero, segno appunto che il palazzo è sorto sfruttando precedenti murature d’edifici forse essi stessi già di una certa qualità architettonica.
Qui dovevano essere dunque, fin dai tempi della Signoria scaligera, le case di un tale notaio Arduino, figlio di Bonmartino da Garda, cittadino veronese della contrada di San Martino alla Porta, che in un documento dell’aprile 1326 risulta investito dall’arciprete di Santa Maria di Garda, a nome suo e del capitolo di quella pieve, d’alcune pezze di terra. Tale documento è d’estremo interesse perché – come ha ben notato Bruno Chiappa, che della famiglia Carlotti è il più recente biografo – “permette di stabilire in Bonmartino un punto di partenza sicuro alla serie di generazioni ricostruibile, di lì in avanti, senza soluzione di continuità”.
Sottolineato anche il fatto che d’Arduino è indicata la professione (notarius) – cosa che non si verifica nei documenti che riguardano i suoi successori – Bruno Chiappa ci racconta ancora che un altro Arduino, del fu Antonio detto Gaiardo, testando il 26 ottobre 1398 nella casa di Verona, disponeva che il suo corpo fosse sepolto nel proprio monumento, esistente nel cimitero della chiesa di San Michele alla Porta, nominando eredi in parti uguali i due figli Andrea e Giovanni detto Carlotto, donde il cognome di Carlotti ai suoi discendenti. Lo storico aggiunge poi: “Si parla di Carlotti, ma in effetti – come s’e visto – Antonio è designato nel testamento con il soprannome di Gaiardo (così come un ser lacopo q. Francesco è presente fra i testimoni dell’atto notarile). In documenti successivi di una decina d’anni, quando già era morto, viene anche ricordato come Antonio a fornace o più spesso, sia lui sia i figli, a Miolis. Giustamente il Carinelli annota; che “la famiglia Carlotti è originaria di Garda ove fu detta hor dei Gaiardi, hor de’ Miollis e finalmente Carlotta” ed il Torresani aggiunge che il “genus Miolorum” nel periodo di transizione fra potere dei Carraresi e quello della Serenissima, “fioriva per ricchezze, sangue ed amicizia”.
Si può quindi considerare non sufficientemente documentata la tesi delle origini altomedioevali della famiglia, sostenuta dalla storiografia celebrativa del Seicento, e ricostruire invece la genealogia e le principali vicende della famiglia dagli inizi del Trecento, quando, come si è veduto, lasciato il paese di Garda, i Carlotti s’insediarono nella contrada cittadina di San Michele alla Porta, ove ancora vivono i discendenti, proprio in questo splendido palazzo barocco progettato da Prospero Schiavi.
Va qui opportunamente sottolineato che la ricerca storica del recente biografo della famiglia, di per se stessa laboriosa, è stata resa più complicata, nel caso specifico, dal fatto che per quasi tutto il Quattrocento la famiglia viene designata – come si è veduto – non con il cognome Carlotti, ma con quello già ricordato di a Miollis, o De Garda, o anche, nei primi anni, a Fornace. Per ben orientarsi nella ricerca di testamenti, contratti od altri documenti ci si è dovuti prima rendere conto di questa particolarità: e se spiegare l’appellativo de Garda non presentava problemi, altrettanto non si poteva dire per l’altro a Miollis.
Non senza preziosi consigli dello storico Gian Maria Varanini, prodigo di aiuti anche in altre occasioni, si è potuto risolvere l’enigma costatando che la famiglia era impegnata, fino agli inizi del Quattrocento, nella fabbricazione e nella commercializzazione dei recipienti di vetro (i miolli erano sostanzialmente dei bicchieri) e che il progressivo abbandono del nome, sostituito da un patronimico, si accompagna all’ascesa sociale e fa da spia alla volontà di dimenticare il passato esercizio di un’attività che costituiva pregiudizio all’acquisto della patente di nobiltà.
Ma – e dobbiamo seguire ancora le utilissime indicazioni di Bruno Chiappa – “il contributo maggiore alla crescita economica e sociale della famiglia fu dato, nella seconda metà del Quattrocento, da Bonaventura da Garda, il cui processo di arricchimento è ben documentato dal continuo aumento della cifra d’estimo con cui lo troviamo negli appositi Campioni. Prima di morire (1470) egli figura nella fascia più alta, che comprendeva non più di una decina di cittadini molto ricchi. I suoi acquisti di terreni dall’originaria Garda si erano espansi verso i limitrofi paesi del lago e verso la zona pedemontana. E assieme alla politica economica si svolgeva nel succedersi delle generazioni, quella matrimoniale, con imparentamenti con i Verità, i Branca, i Cavicchia, i Della Torre, in un intreccio di rapporti e di complicità di cui non potevano essere prive le famiglie che nutrissero ambizioni di ascesa”.
“Meno propensi alla carriera ecclesiastica che a quella militare, i Carlotti si distinsero, a cavallo fra Quattro e Cinquecento, per i servizi resi alla Serenissima nel settore militare e in un periodo particolarmente critico per la Repubblica. Nel 1487 Andrea, figlio di Bonaventura, arruolò nella Gardesana trecento uomini d’arme e ottenne, successivamente, il titolo di cavaliere”
“Quanto alla partecipazione alle cariche pubbliche – continua il Chiappa – la presenza dei Carlotti sembra diradarsi durante il Cinquecento, mentre diventa assidua nel corso del Seicento. E’ appunto in questo secolo che il processo di nobilitazione della famiglia giunge a compimento, con l’investitura del marchesato di Ripabella, concessa dai principi di Toscana, e con la celebrazione delle loro “virtù” da parte di Gerolamo Dal Pozzo nell’operetta Lago Fortezza, Rocca di Garda e Parlotti (Verona 1679)”.
“Quando – annota ancora lo studioso – nel 1749 nascerà una controversia fra l’unico erede maschio e le due cugine Annamaria e Vittoria, i Carlotti potranno inventariare un capitale fra terreni e palazzi valutato 200.000 ducati, distribuito fra Castion (134 campi), Garda (390 campi), Caprino (180 campi), il Baldo (820 campi), San Bonifacio (985 campi) e Scaveaghe (112 campi). A ciò si aggiungeva la mobilia delle tre dimore gentilizie (Garda, Caprino, La Prova di San Bonifacio), i preziosi, la quadreria, i vestiti ecc.: tutto più che sufficiente ad assicurare, assieme all’agiatezza del vivere, una posizione di tutto rispetto nella società nobiliare veronese”.
Data la preziosità del materiale a disposizione (pubblicato in un volume curato qualche anno fa da Pierpaolo Brugnoli, sulla bella residenza che i Carlotti edificarono a Caprino e che oggi è sede del locale Municipio) era pur giusto approfittare di dati tanto utili per capire l’importanza di questa famiglia, prima comitale e poi insignita del marchesato di Ripabella e che nei secoli scorsi, come ben scrisse Antonio Maria Cartolari in una sua opera del 1855, seppe esprimere personaggi di notevole peso nel panorama, anche politico-amministrativo di Verona e provincia.
“Nel 1480 – annota lo studioso – un Andrea Carlotti o di Carlotto a nome della Veneta Repubblica presiedeva alla Riviera del Benaco. Questa carica alcuni anni dopo divenne la più illustre delle estrinseche, cioè della provincia, sotto il titolo di Capitano del Lago. Ne’ tempi posteriori un secondo Andrea fu commendatore del Sacro Militare Ordine di Santo Stefano di Toscana ed Alessandro fu decorato della Croce di San Giovanni Gerosolimitano. […] AI presente vivono i marchesi Antonio Cavaliere della Corona Ferrea, ed Alessandro figliolo di lui Deputato Provinciale: Gio. Battista e Bonaventura I.R. Consiglieri e Giulio Ciambellano di S.M.I.”.
Tullio Lenotti, altro benemerito recente biografo della famiglia, ci riferisce da parte sua di quell’Alessandro Carlotti (Alessandro è il nome più ricorrente nella genealogia dei Carlotti) gradito ai Veronesi per l’alta carica che andò a coprire di primo cittadino di Verona liberata dal tallone austriaco: “Fin dal 1829 Alessandro V s’iscrisse alla Società Letteraria, noto vivaio di patrioti, tanto ostico alla polizia austriaca. Ma di quanta stima fosse circondato Alessandro Carlotti è dimostrato dalla sua libera elezione a primo sindaco di Verona (marzo 1867) dopo la liberazione della dominazione austriaca (16 ottobre 1866) e la breve reggenza podestarile di Edoardo De Betta. Carica alquanto onerosa, date le disastrose condizioni in cui si trovavano le casse del Comune e gli urgenti problemi che si dovevano affrontare. Alessandro Carlotti si mise subito all’opera, che disgraziatamente fu presto interrotta, poiché nel novembre dello stesso anno la morte lo colpiva”.
Ma torniamo al palazzo di San Michele alla Porta, la cui costruzione va collocata intorno al 1665 su progetto e direzione dei lavori di Prospero Schiavi, e che “nella magniloquenza dell’impianto, nel grandioso svolgersi della composizione, nella frattura con la tradizione cromatica… per un luminosissimo spiegato” ci offrirebbe -secondo Piero Gazzola – “l’esempio di come facilmente, laddove l’ispirazione è carente e la maniera prevale, anche le invenzioni recenti appaiono logore e artificiose”.
Ma questo severo giudizio che Piero Gazzola riferisce all’edificio non convince Loredana Olivato alla quale “pare viceversa convincente nell’ariosità dell’invenzione, nel gusto già rococò che ne ispira l’apparato decorativo, nella sapiente commistione di formule lessicali, nell’efficace inserimento nel tessuto urbano circostante”.
Del palazzo fu committente Gerolamo Carlotti, mentre avviata la fabbrica, i fratelli Girolamo e Giulio ricorsero a successivi acquisti di case attigue per ampliarla fino al 1673, e ancora, nel 1698. Più precisamente nel 1673 fu acquistata una casa contigua sul Iato destro del palazzo, e nel 1698, questa volta dai fratelli Maffei, una casa contigua sul lato sinistro.
Il palazzo fu nel tempo arricchito di vari e saloni decorati da dipinti di insigni pittori. Pur se scarne, le indicazioni ci sono nella letteratura, riguardanti i frescanti attivi nel palazzo, anche se si tratta di interventi per lo più tardo-settecenteschi e probabilmente succeduti al “ristauro dell’Infortunio accaduto al Palazzo di Verona 1777”, quando ne cadde una parte considerevole, per cui occorsero nel ripristino più di 2000 ducati. Oltre ai già citati “molti buoni quadri”, il Dalla Rosa, nel 1803/04, descrive nel palazzo di città “due soffitti nelle Camere di Francesco Lorenzi. Uno in alto di Ludovico Dorigni. Altra Camera grande con Architettura e figure, di Enrico Keldemaker”, seguito da Diego Zannandreis per quanto riguarda l’intervento del Lorenzi.
Enrico Maria Guzzo – che si è recentemente occupato degli arredi artistici del palazzo, definito già dai tempi della sua costruzione “gran machina che non solo rende decoro alla i famiglia, alla pubblica strada del corso ma alla città tutta” – ricorda che qui esisteva anche una preziosa quadreria, rivisitata sulla scorta delle testimonianze letterarie e d’archivio.
Fonte: Notiziario BPV numero 1 anno 2001
Palazzo Carlotti, proprio di fronte all’antica Porta Borsari di epoca romana, è un classico esempio dello stile barocco che a Verona spesso manterrà una composizione sobria e composta pur conservando la sua grandiosa monumentalità. La fabbrica fu iniziata nel 1665 su disegno dell’architetto veronese Prospero Schiavi.
Sulla facciata ancor oggi trovano posto alcune testimonianze della storia di Verona. Una targa ricorda che qui, secondo alcune interpretazione dei testi della leggenda di Giulietta e Romeo, si ritiene si sia consumato il tragico duello tra Romeo e Tebaldo. Dall’altro lato si conserva un graffito tracciato con una spesso segno rosso lasciato da un soldato di guardia in un giorno di Palio nel ‘700.
A Verona infatti, dalla metà del duecento si teneva una corsa che partendo da Porta Palio, lungo il tracciato dell’antica via postumia attraversava tutta la città, passando proprio davanti a Palazzo Carlotti, per terminare di fronte alla Chiesa di Sant’Anastasia. Il Palio fu soppresso dai napoleonici alla fine del ‘700, ufficialmente per ragioni di morale, ma più probabilmente nel timore che la concitata corsa potesse costituire pretesto per sommosse contro l’oppressiva occupazione francese.
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