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Carlotta Aschieri – 6 ottobre 1866


La targa, ubicata all’inizio di via Mazzini, recita:

In questa casa
Carlotta Aschieri
venticinquenne e incinta
cadde trucidata dagli austriaci
ultimo sfogo
di moribonda tirannide
6 ottobre 1866

Carlotta Aschieri fu una giovane ragazza veronese assassinata dai soldati austriaci prima di abbandonare Verona in seguito alla Terza guerra di indipendenza.

La sera del 6 ottobre 1866 dal palazzo sopra al caffè Zampi venne srotolato un grande tricolore. I soldati austriaci, infuriati, lo presero a sciabolate e quindi colpirono la folla, saccheggiarono negozi e palazzi. Gli scontri culminarono con l’uccisione di Carlotta Aschieri, venticinquenne, incinta di sette mesi.

L’uccisione di Carlotta Aschieri

Una testimonianza dei fatti accaduti a Verona il 6 ottobre 1866 è contenuta in una lettera che Maria Anna De Stefani spedisce alla nonna Maria Gradenigo Bizio a Venezia. Venne scritta sei giorni dopo quei fatti, il 12 ottobre 1866, quando Verona non era ancora italiana.

“Carissima Nonna!

La faccenda un po’ seria l’avrà udita già raccontare, nondimeno voglio fargliene il ragguaglio.
La Guardia Nazionale faceva la sua prima comparsa e per tutto risuonavano i più clamorosi evviva. Uscita che fu e divisa in più parti a far guardia la folla anch’essa si disperse, e molta di questa si avviò verso la piazza Bra.
Passando per la Via Nuova gridarono unanime fuori la bandiera. I loro desideri furono subito paghi, e la festa proseguiva con ordine essendo stato permesso il farlo anche dal comandante Jacobo.
Giunti in Bra gli stessi gridi si fecero udire ed alcuni ufficiali ch’erano seduti al caffè fecero eco agli evviva.
Durante ciò un zelante ufficiale istriano sfoderò la spada e si diede a stracciare i biglietti, attaccati per tutto, con stampato: Vogliamo l’Italia Una e Vittorio Emmanuello per nostro Re costituzionale.
Poi diede più colpi sulla schiena alle persone a lui vicine, e veduti ben 12 Garibaldini che passeggiavano assieme andò loro incontro con la spada sguainata.
A quest’atto un d’essi tolta una sedia e voltosi al popolo, che un po’ intimorito si allontanava gridò: Veronesi vili o prodi! Ed alzata la sedia la diede su d’una tempia all’ufficiale insolente che sull’istante morì.
Allora fu un serra serra, da una parte s’adropavan le spade dall’altra si facevano volare e sassi e sedie.
La generale chiamata suonò e tutti i soldati uscirono dalla gran guardia. Il coraggio dei veronesi questa volta si mostrò, poiché, ad onta della quantità dei soldati, assalirono quattro volte gli austriaci e pare che quest’ultimi abbiano avuto la peggio.
Un tenente, due ufficiali e alcuni soldati semplici restarono morti e 15 ufficiali feriti, chi gravemente e chi leggermente.
Di civili restò uccisa una donna che rifuggitasi in un caffè fu sorpresa là entro, trapassata con la bajonetta e poi calpestata col calcio del fucile. Il marito per difenderla riportò molte ferite, ed anzi l’altr’jeri morì. Fu ferito ancora un Garibaldino e qualcun altro.
… Maria Anna”

Interessante è la citazione di Carlotta Aschieri in un intervento di Vilfredo Federico Damaso Pareto indirizzato a Di Ruddinì (Antonio Starabba marchese di Rudinì, politico e prefetto italiano). Fu più volte ministro e fu presidente del Consiglio dei ministri italiano nei periodi: 6 febbraio 1891 – 15 maggio 1892 e 10 marzo 1896 – 29 giugno 1898.

Il sociologo critica aspramente la Triplice alleanza, un patto militare difensivo stipulato il 20 maggio 1882 a Vienna dagli imperi di Germania e Austria-Ungheria e dal Regno d’Italia. Sedici anni dopo il 1866 il Regno d’Italia stringeva un patto con l’Impero Austroungarico. Fu voluto principalmente dall’Italia, desiderosa di rompere il suo isolamento e di contrastare la Francia.
La nuova alleanza causò l’inizio della guerra doganale con la Francia, che in quegli anni rappresentava il mercato principale dei prodotti italiani, grano, olio, olive.

I veneti furono i primi in Italia a scegliere la via dell’emigrazione: già negli anni ’70 dell’Ottocento. I braccianti agricoli, vista la situazione di crisi, rischiavano più di qualunque altra classe sociale di precipitare nella miseria. Emigravano per scappare dalla povertà. I bastimenti partivano da Genova con il loro carico di contadini destinati a Buenos Aires o San Paolo.

“Quale rispetto dei nostri usi” scrive Vilfredo Pareto “e dei nostri sentimenti è quello di una politica che impone l’alleanza coll’Austria, a condannare al carcere duro italiani, rei solo di amare la patria? Di una politica, dico, che ci ascrive a delitto sino il ricordo dei nostri martiri, che ci vieta di dire che furono orde barbare che trucidarono una donna incinta, Carlotta Aschieri?…”