Applausi per Village Vanguard a Verona Jazz
Ieri sera al Teatro Romano di Verona
Fabrizio Bosso, tromba e flicorno – Julian Oliver Mazzariello, pianoforte – Luca Alemanno, contrabbasso – Nicola Angelucci, batteria
Elisabetta Fadini, voce narrante
John De Leo, voce
Lo spettacolo, dedicato al leggendario locale del Greenwich Village di New York non è solo la rievocazione di un luogo di culto del jazz ma vuole essere un omaggio ai grandi maestri che ci sono passati “tra “poesie”, sbronze, fumo e musica”. La musica, la vita e gli aneddoti dei più grandi musicisti che la storia del jazz abbia visto: Miles Davis, Thelonious Monk, Art Blakey, John Coltrane, Bird-Charlie Parker, Sonny Rollins, Charles Mingus. Un incontro tra brani immortali che sono divenuti gli standard jazz, racconti e canto. In scena Fabrizio Bosso e il suo quartetto, Elisabetta Fadini che narra le vicende di questi grandi musicisti e della baronessa Pannonica Rothschild De Koenigwarter- Nica, (loro amica, che cancellò censo e privilegi per diventare la biografa, la mecenate e l’”infermiera” dei grandi del jazz -in primis di Charlie Parker e Thelonious Monk-) e John De Leo nella duplice veste di cantante crooner e di voce narrante.
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Bosso, De Leo e Fadini
Il Village Vanguard
rivive sul filo dei ricordi
Il Village Vanguard di New York è una mecca per i jazzisti e gli appassionati di tutto il mondo. Non solo per i dischi dal vivo che hanno registrato in quel locale John Coltrane, Bill Evans e tanti altri, ma anche perché nei suoi ottant’anni ininterrotti di attività dal 1935 a oggi lo scantinato del Greenwich ha ospitato, senza eccezioni, tutto il meglio del jazz.A quel luogo l’attrice Elisabetta Fadini accompagnata da John De Leo e dal quintetto di Fabrizio Bosso ha dedicato la terza serata di Verona Jazz con uno spettacolo che univa tanti classiconi e standard suonati dal vivo alle letture tratte dai ricordi della mecenate dei jazzisti Nica Rothschild de Koenigswarter, da vari testi autobiografici e soprattutto dal libro Dal vivo alVanguard in cui il fondatore Max Gordon racconta aneddoti e storie di vita vissuta nel locale dedicando ampi spazi a Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk, Sonny Rollins, Charle Mingus e altri. Lo spettacolo- che ha delle forti analogie con quello portato dal vivo al Filarmonico dalla Fadini una decina di anni fa in un’altra versione e con un’altra formazione- francamente sulla carta destava qualche sospetto di retorica; nei fatti invece, al di là dell’inevitabile mitologia che una proposta di questo tipo si porta dietro, ha prevalso la qualità dello spettacolo e la serata è riuscita. Così attraverso una carrellata di una quindicina di brani che va dall’iniziale Speak Low di Kurt Weill fino alla formidabile Eighty One scritta da Miles Davis e Ron Carte nel 1965 si è percorso il meglio della storia del jazz moderno dall’epoca del be bop agli anni Sessanta attraverso gli aneddoti sui deliri di Charlie Parker, sulle psicosi di Mingus, sull’autismo di Monk, sulla cattiveria di Miles Davis. A suonarne la colonna sonora c’era un quartetto guidato dal trombettista Fabrizio Bosso, una macchina da swing perfettamente carburata con Julian Oliver Mazzariello al piano, Luca Alemanno al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria. A loro si è aggiunta la voce versatile e dalle risorse impressionanti di John De Leo che, oltre a vari interventi melodici e recitativi, ha cantato Darn that dream, una stupenda versione funk di Angel eyes e una My funny Valentine, servita nel gran finale dopo la richiesta di bis, a suon di gran pestoni sul pavimento della platea.L.S.
Filarmonico jazz. Ultimo appuntamento stasera alle 21. Lo spettacolo è dedicato al mitico «Vanguard Village»
Un club dove suonavano i giganti
Mix di voce recitante, canto e musica con Fresu, De Leo e Fadini
Una felice intuizione che da questa sera diventa una realtà compiuta ed uno spettacolo a tutto tondo; un teatro austero (il Filarmonico) che stasera indosserà i panni – mi si passi la parola – di un club newyorkese, divenuto leggenda nella letteratura del jazz, quel «Vanguard Village», dove tra gli anni Quaranta, Cinquanta ed inizi Sessanta sono passati tutti i mostri sacri della musica afroamericana; una rappresentazione, infine, in cui sarà possibile stasera ascoltare all’unisono (ora in solitudine, ora in “interplay”) voce, canto e suono perfettamente integrati tra di loro.
«Village Vanguard lives», ultimo appuntamento della rassegna «Jazz al Filarmonico» e che vede sul palco l’attrice veronese Elisabetta Fadini, il funambolico cantante dei Quintorigo, John De Leo, e lo storico quintetto dello stellare Paolo Fresu, ha, infatti, un duplice obiettivo: riportare a galla un momento cruciale, magicamente innovativo della storia del jazz (be bop, cool jazz, hard bop, new thing, free music, etc.) e al tempo stesso liberare dall’aureola e dal mito i tanti giganti, che qui sono passati, raccontandone vizi e virtù, genialità e
umane depressioni, “grandeur” e spicciola sopravvivenza.
Ecco perché in questo spettacolo, sostenuto da una serie di immagini in bianco e nero dell’epoca, c’è una voce (quella appunto di ElisabettaFadini) che recita o si insinua tra le note del Paolo Fresu Quintet e l’acrobatico vocalismo di John De Leo.
Scelta eccentrica, potrebbe superficialmente dire qualcuno, ma che in realtà non lo è. I frammenti narrativi appartengono ad un testimone oculare, a quella Nica Rotschild de Koenigswater (in arte la baronessa Pannonica), che cancellò censo e privilegi aristocratici per diventare la musa, la biografa, la mecenate e l’ “infermiera” dei grandi del jazz (in primis Charlie Parker e Thelonious Monk), sempre con il cervello pieno di idee ma con le tasche bucate.
Voce, dunque, “ad hoc”, che introduce, commenta e scolpisce la dolente umanità di questi miti afroamericani (Charlie Parker, Art Blakey, Charles Mingus, Thelonious Monk, Sonny Rollins, Coleman Hawkins, Rahsaan Roland Kirk, John Coltrane, Miles Davis, Dizzie Gillespie, etc.) ma che contemporaneamente apre la strada o si mescola con l’orchestra vocale di John De Leo («Darn that dream», «Stormy Weather», «A love supreme», «Summertime», «Night and day») e con una manciata di pezzi immortali, riarrangiati e rivisitati per l’occasione dalla “mediterranea” tromba – flicorno di Paolo Fresu e dei suoi compagni.
«Quando sono entrato per la prima volta al Vanguard Village», ha detto il batterista Max Roach, «ho sentito bicchieri che tintinnavano, voci che parlavano di salute e cedimenti mentali, canzoni profumate di blues e scale musicali, uscite dalla fragilità e dalla provocazione, dall’orgoglio e dalla disperazione. Per un momento ho pensato che in quel locale regnasse il caos, allora avevo soltanto diciassette anni, poi ho capito, ascoltando le voci alterate dall’alcol e guardando i bicchieri e quelle mani che stavano scrivendo le pagine della mia musica, che lì c’era la nostra casa e scorreva il ritmo del jazz. Noi non siamo solo musicisti ma anche uomini che, quando salgono o escono dal palco, hanno voglia di urlare o di piangere
».
«Village Vanguard lives», che debutta questa sera (ore 21) in anteprima nazionale, è tutto questo.
Un omaggio, indubbiamente, ma anche un modo per ricordare che, dietro quei “giants”, c’erano vestiti presi in affitto, rivalità spaventose e musica indimenticabile.
Giampaolo Rizzetto
«Folgorata dalla baronessa»
Parla l’attrice che omaggerà anche la mecenate dei musicisti
«Jazz al Filarmonico» ultimo atto. Si chiude stasera (inizio ore 21) con il concerto dal suggestivo titolo “Village Vanguard Live” la bella e composita rassegna che ha portato a Verona parte del miglior jazz italiano ed internazionale degli ultimi anni e che ha riscosso un successo straordinario in termini di pubblico.
«Jazz al Filarmonico», dunque, si congeda con un’insolita proposta che si preannuncia accattivante: l’attrice veronese Elisabetta Fadini, affiancata dal cantante John De Leo, e accompagnata nientemeno che dal quintetto del trombettista PaoloFresu, «racconterà» a suo modo il Village Vanguard, un luogo, un locale di New York, nel cuore di Manhattan, ammantato di leggenda per chiunque ami il jazz.
«Da tempo pensavo di proporre un reading dedicato al jazz – dice Elisabetta Fadini – che secondo me è una delle forme espressive più complete ed esaustive del secolo scorso. Così ho proposto a Paolo di imbastire questo spettacolo sceneggiato e scritto da me ma elaborato su alcune ispirazioni precise».
Quali sono queste ispirazioni?
«Il reading è incentrato sul libro di Max Gordon “Dal vivo al Vanguard” (Il Saggiatore). Scritto dall’uomo che aprì e gestì il locale dove mossero i primi passi musicisti come Miles Davis, John Coltrane ma anche tanti altri protagonisti della musica americana».
Come è stato organizzato lo spettacolo?
«La struttura della serata sarà molto dinamica: in alcuni momenti leggerò accompagnata dal gruppo in altri interverrà John De Leo cantando alcuni standards. In altri ancora sarà lasciato il palco al solo quintetto di Fresu».
Perché tra i tanti libri che raccontano in termini più “mitologici” il mondo del jazz hai scelto proprio questo che è poi una sorta di autobiografia?
«Perché racconta una storia piena di umanità e verità: la realizzazione di un sogno».
Farà anche un omaggio a Gregory Corso.
«Sì. Leggerò un omaggio che Corso dedicò a Charlie Parker. Per me i poeti della “Beat Generation” sono un punto di riferimento importante e non solo perché furono i primi a fare dei reading accompagnati da musicisti di jazz».
Chi sono i musicisti che verranno ricordati?
«Tutti i protagonisti della più importante stagione del jazz moderno: Charlie Parker, Sonny Rollins, Art Blakey, Charles Mingus e tanti altri. Ho scelto di dedicare un piccolo spazio anche alla memoria di “Pannonica” la baronessa Rothschild che, andando contro molte convenzioni del tempo, frequentò e aiutò tanti di questi jazzisti quando attraversarono momenti di difficoltà».
Luigi Sabelli
La lunga notte con i «giganti»
Fresu, De Leo e la Fadini rendono omaggio al locale di New York
Il neon con la scritta «Vanguard Village» (idea dello scenografo Riccardo Ricci) evoca struggenti ricordi, storie di sbronze e alcol e bollenti rivoluzioni musicali. A fianco di quel punto luminoso, simbolo del jazz postbellico e di una terra di frontiera, fatta di geni e di fragili sentimenti, le tenere immagini in bianco e nero dei «giganti» della musica afroamericana si alternano in un ideale, affettuoso abbraccio con i testimoni di oggi e si incastrano, in nome della continuità (splendide foto seppiate di Marisa Morelato) con il Paolo Fresu Quintet, con il cantante dei Quintorigo, John De Leo e con lattrice veronese Elisabetta Fadini.
E i sette artisti, in un teatro, che per un istante sembra stato scagliato sulla 52ª strada e sul pavimento in rosso mattone del locale di Max Gordon, simpegnano alla morte, regalando al pubblico (ora in religioso silenzio, ora in adrenalina dapplausi) uno spettacolo, bilanciato in tutte tre le sue parti – recitazione, canto e suono – e viaggiando a 360 gradi tra hit immortali e dolente anedottica, tra pagine cruciali (be bop, cool jazz, hard bop, free music) e storie di quotidiana follia.
Onestamente non era facile riunire in una mano le principali espressioni dellarte (immagine, narrazione, esplorazione vocale ed architettura musicale) e fonderle. Ed invece, tutto questo, il «beat goes on» di Fernanda Pivano, si realizza al Filarmonico (ancora una volta tutto esaurito) in un sapiente mix, in cui l«interplay» è ferreo, larrangiamento delle covers e degli standards non è filologico ma addirittura stravolto e i frammenti recitati sono formidabili tunnel per comprendere che, dietro quelle «canzoni» (da Nicas dream a Pannonica , da Quasimodo aPithecanthropus erectus, da Vierd Blues a Round Midnight ) ci sono uomini in carne e ossa, vizi e virtù, rabbia e genialità.
Ad accendere questa contaminazione, che sarebbe tanto piaciuta agli antichi guerrieri della Beat Generation, ci pensano tre bocche da fuoco (Elisabetta Fadini, John De Leo e il Paolo Fresu Quintet), che, a modo loro e secondo le proprie specificità, penetrano tra i segreti del Vanguard Village e li riportano a galla, usando le armi dellumiltà, del rispetto e della devozione. Elisabetta Fadini è una baronessa accorata ed accigliata (Nica Rothschild de Koenigswater, la musa dei jazzisti), ma soprattutto è unindispensabile coreuta greca, che racconta, fuori dal mito e dalle leggende, i diari intimi di questi mostri sacri (da Mingus a Parker, da Blakey a Monk, da Rollins a Coltrane, da Hawkins a Davis, etc.), le loro furibonde rivalità, il loro orgoglio di essere jazzisti neri e le loro fragilità. Lo fa, come i boppers, accelerando o scavando tra la malinconia, ma in particolare lo realizza, aprendo la strada agli altri due… ammiragli musicali.
E qui laccensione diventa fiamma, con John De Leo che tira fuori limpensabile vocale, che strappa brividi ( Dan …that dream!) con acrobazie, disumani registri e rantoli surreali, che pensavamo sepolti dopo la morte di Demetrio Stratos e che lascia tutti a … terra con un ipnotico, psichedelico A love supreme così pagano da convertire perfino il «mistico» John Coltrane.
E da ultimo, ma non ultimo, ecco laltro ammiraglio, Paolo Fresu con la sua tromba e il suo flicorno, profumati di aromi mediterranei e di rumori newyorchesi, e con la sua rodatissima pattuglia di amici (Tino Tracanna, sax soprano e tenore; Roberto Cipelli, pianoforte; Attilio Zanchi, contrabbasso; Ettore Fioravanti, batteria) a far quadrare il cerchio e a disegnare il Vanguard del futuro con originalissime rivisitazioni e aristocratica sensibilità.
I suoi strumenti sanno di mare e tempesta, distillano ed amplificano note ed armonici, e quando vola Round midnight e scattano i due bis (Only woman bleed e unicastica, tribale ripresa di A love supreme ) non hai più scampo …
Giampaolo Rizzetto