Alessandro Anderloni racconta Carlo Zinelli
Teatro Ristori di Verona
12 gennaio 2015, ore 21.00
22 e 23 aprile 2015, ore 21.00
Alessandro Anderloni
in
Carlo, l’ombra e il sogno
È il 1947 quando Carlo Zinelli viene rinchiuso nel manicomio di Verona. Dieci anni di duro isolamento, poi Carlo scopre la pittura. L’arte invade la sua esistenza e diventa la sua terapia, il suo desiderio, il suo destino. Si accorgono di lui lo scultore scozzese Michael Noble e lo psichiatra Vittorino Andreoli che danno voce e visibilità mondiale a un talento immenso, a un’arte spontanea che non teme giudizi e lascia attoniti di fronte al suo mistero. Il monologo di Alessandro Anderloni è racconta l’incredibile vicenda umana e pittorica di Carlo Zinelli, un viaggio avvincente di parole e suoni dentro ai suoi dipinti.
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Testo e regia di Alessandro Anderloni. Collaborazione ai testi: Lorenza Roverato. Disegno sonoro: Samuele Tezza. Disegno Luci: Luigi Castagna. Proiezioni: Digital Network.
Galleria fotografica
Una produzione Le Falìe e Àissa Màissa grazie alla Fondazione Carlo Zinelli, con il sostegno della Pia Opera Ciccarelli, in collaborazione con Moduli d’Arte e Altri Posti in Piedi.
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Ingresso € 12. Prenotazione dei posti (fornendo nome, cognome e recapito telefonico):
email: info@lefalie.it, tel. 347 7137233
L’entrata per i disabili è gratuita ed è ridotta ( 8 euro ) per gli accompagnatori.
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La voce di Zinelli si aggiunge a tele e narrazioni
Simone Azzoni
Anderloni porta in scena la vita di Carlo che venne internato al manicomio di San Giacomo E fa ascoltare anche una registrazione originale
Alessandro Anderloni porta al Ristori il suo spettacolo su Carlo Zinelli, prodotto con il sostegno della Fondazione Zinelli e la Pia Opera Ciccarelli, Carlo, l’ombra e il sogno. Sul palco c’è da ascoltare e soprattutto vedere l’opera di quel Carlo, la cui esistenza tanto assomiglia alle vicissitudini di Antonin Artaud. Biografia manicomiale che s’infarina di arte e trascende gli ambiti disciplinari che dividono malattia da estetica. Problema tutto della storia dell’arte e di cui non c’è ombra, per parafrasare il titolo. Si accenna invece al nodo Basaglia.
Anderloni piuttosto sceglie la via della semplicità. Oggi paga la semplicità, ma se noi non ci siamo molto emozionati sicuramente eravamo delle mosche bianche. La semplicità sono frasi piane, dalla sintassi lineare, con le pause giuste, l’enfasi che sospende e anticipa per dare al recitato l’atmosfera di una bella fiaba, di una fiaba buona. E quando il pathos lo richiede si sostiene la parola con una Vie en rose che trascina e, appunto, emoziona. Il pubblico apprezza le storie, quelle semplici, magari spolverate di quel dialetto che le rende ancora più veraci e vicine.
Il regista delle Falìe ha un Ipad in mano con cui scorre, ingrandisce i dipinti che sono proiettati sullo schermo a fianco a lui. Ai dipinti sovrappone narrazioni che entrano nel dedalo delle immagini come un racconto che volesse seguire le peripezie figurative di Keith Haring. Storie inventate, gratuite. I profili forati, gli asini, i cappelli da alpino, gli uccellini (alla Max Ernst) diventano puzzle di racconti che s’interrompono per incastrarsi nella biografia storica del pittore «matto» e nella voce stessa del protagonista che ora parla in prima persona, ora è comprimario al testo narrato in «terza».
Piccoli spezzoni, uniti come i link della rete, di quell’Ipad che ingrandisce i particolari delle opere per pochi istanti. Brevi pezzi dai registri drammaturgici molto diversi che si susseguono nella logica della conoscenza in internet: poco, breve, semplice. Anderloni cambia i registri di continuo, si sposta lungo il triangolo classico di proscenio, leggio e sfondo per movimentare il racconto e renderlo polifonico. Intona un canto, fa il grammelot di Zinelli, indossa il suo cappotto nel finale, fa il narratore esterno per dire di Andreoli e Dubuffet e la voce dei pazienti e dei medici di San Giacomo alla Tomba, dove Carlo fu internato nel «padiglione dei pericolosi» del manicomio nel 1947 con la diagnosi di schizofrenia cronica. Un ipertesto di finestre accomunate da un’inflessione veneta che scorrono sulla necessità di farne confezione-spettacolo, di emozionare. Si intuiscono alcune citazioni a soluzioni teatrali strutturate (il recitato sul jazz alla Paolini), si ascolta il prezioso registrato della voce di Zinelli, questo sì un cammeo disarmante.