Accessibilità Basilica di San Zeno Maggiore
La Basilica di San Zeno Maggiore è parzialmente accessibile ai visitatori in sedia a rotelle.
Dall’omonima Piazza la chiesa è separata da un gradino, l’unico punto in cui si può salire è alla Chiesa di San Procolo (sulla destra guardando San Zeno).
L’entrata per le visite, accessibile in autonomia tramite scivoli dolci, si trova sulla sinistra della facciata ed è già qui segnalato il bagno disabili. Il biglietto disabile+accompagnatore è gratuito.
L’entrata al piano terra della Basilica è tramite rampa (con rivestimento antiscivolo a bolli) con buona pendenza per le carrozzine.
La cripta e la chiesa superiore sono del tutto inaccessibili.
Uscendo da non perdere il bellissimo chiostro, senza barriere.
Nel percorso di uscita si trova il bagno disabili, non attrezzato.
ORARIO DI APERTURA INVERNALE (novembre-febbraio) | ||||||||
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ORARIO DI APERTURA ESTIVO (marzo-ottobre) | ||||||||
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*** Alla domenica mattina in Basilica si celebrano le Sante Messe, sono quindi vietate le visite turistiche singole e in gruppo |
Video gallery: interno, formelle e cripta (inaccessibile)
Basilica di San Zeno
Coordinate: 45°26′33″N 10°58′45″E (Mappa)
La basilica di San Zeno a Verona è uno dei capolavori del romanico in Italia. Si sviluppa su tre livelli e l’attuale struttura fu impostata nel X–XI secolo. Il nome del santo viene talvolta riportato in altri due modi, e così viene talvolta nominata la basilica di Verona: San Zeno Maggiore o San Zenone. Tra le numerose opere d’arte, ospita un capolavoro di Andrea Mantegna, la pala di San Zeno. Nel maggio del 1973 papa Paolo VI l’ha elevata alla dignità di basilica minore.[2]
Storia
San Zeno morì nel 380. Nella cronologia della chiesa veronese fu l’ottavo vescovo. Lungo la via Gallica, nella zona dell’attuale chiesa, vi era il cimitero dove il santo fu sepolto. Sulla tomba fu edificata una piccola chiesetta da Teodorico il Grande, re ariano. La leggenda vuole che dopo la devastante piena dell’Adige del 589 l’inondazione si bloccò sulla soglia della chiesa, risparmiando i fedeli. Paolo Diacono riporta l’episodio nella sua Historia Langobardorum, specificando che avvenne al tempo del re Autari. La prima chiesa fu distrutta nel IX secolo. Venne subito ricostruita per volere del vescovo Rotaldo e di re Pipino d’Italia su progetto dell’arcidiacono Pacifico. Questa nuova chiesa fu distrutta dagli Ungari all’inizio del X secolo. Dopo una breve traslazione nella cattedrale di Santa Maria Matricolare, il 21 maggio 921 il corpo di san Zeno fu riportato nella cripta che oggi è il livello più basso della basilica. La cerimonia fu molto importante, si decise che il trasporto della salma fosse affidato ai santi eremiti Benigno e Caro, considerati a quel tempo i soli degni di toccare il corpo del santo. Alla cerimonia erano presenti il re, il vescovo locale, e quelli di Cremona e di Salisburgo. San Zeno è uno dei santi a cui è stato cambiato più volte il giorno della commemorazione, dal 2004 la diocesi ed il comune di Verona hanno deciso di celebrarlo nella data della traslazione del suo corpo nell’attuale sede, al fine di non sovrapporlo alle feste pasquali e di poter dedicare un periodo più lungo ai festeggiamenti. La chiesa prende l’attuale forma e struttura, rispettando i canoni dello stile romanico veronese, sotto il vescovo Raterio, che ottenne i fondi per la costruzione dall’imperatore tedesco Ottone I nel 967. La chiesa fu danneggiata dal terremoto del 3 gennaio 1117che colpì e danneggiò gravemente molte città del nord Italia, e nel 1138 venne ricostruita e ingrandita. La sistemazione che è arrivata ai giorni nostri fu finita nel 1398 a cura degli architetti Giovanni e Nicolò da Ferrara con rifacimenti del soffitto e dell’abside in stile gotico.
Il rosone circolare detto anche Ruota della fortuna
Il rosone, che fu opera di Brioloto, è decorato da sei statue che raffigurano le alterne fasi della vita umana, ovvero della Fortuna (nel senso latino di “destino”). Così concepita e così rappresentata, la “ruota del destino” pone in risalto la precarietà dei beni terreni, per i quali ci insegna a non nutrire un eccessivo attaccamento, in quanto ne possiamo essere privati in ogni momento. Solo lo stolto confida unicamente nella Fortuna, ma il suo destino è quello di essere deriso, come insegna il quarto verso della ruota del Brioloto.[3]
Il protiro
Il protiro è firmato dal maestro Niccolò ed è del XII secolo. I leoni alla base rappresentano i guardiani della chiesa, coloro che impediscono l’entrata delle anime immeritevoli (non a caso trattengono sotto le loro zampe due intrusi). La copertura del protiro poggia su due telamoni rannicchiati, sui quali, in ideale prolungamento delle stesse colonne, sono scolpiti i bassorilievi di san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista. Sull’arco risaltano l’Agnello e la mano di Dio benedicente con una scritta latina che tradotta recita: La destra di Dio benedica le genti che entrano per chiedere cose sante.
All’interno, nella lunetta alcune scene dedicate alla storia cittadina di quei tempi. Vi è la consacrazione del comune veronese libero finalmente dalle servitù feudali verso l’impero tedesco. Al centro della lunetta si trova un san Zeno benedicente mentre calpesta il demonio che simboleggia il paganesimo sconfitto simbolo anche del coevo potere imperiale identificato come il male.
Ai lati di San Zeno sulla destra i rappresentanti della nobiltà veronese e delle famiglie dei mercanti a cavallo (gli equites) e a sinistra i rappresentanti del popolo, dei fanti armati (i pedites). San Zeno, nella scena, consegna una bandiera ai veronesi, una sorta di investitura di derivazione sacra, l’affresco è accompagnato da una scritta in latino: Il Vescovo dà al popolo la bandiera degna di essere difesa / San Zeno dà il vessillo con cuore sereno.Niccolò sotto la lunetta ha scolpito bassorilievi che rappresentano i miracoli compiuti da san Zeno: l’esorcismo sulla figlia di Gallieno preda del demonio; un uomo salvato mentre precipitava nell’Adige su un carro; e i pesci che san Zeno pescatore donava.
Sulle mensole interne ed esterne del protiro sono rappresentati i dodici mesi dell’anno con i lavori tipici relativi ai mesi, questo calendario inizia da marzo. Nel protiro vi sono mescolati tre tipi di rappresentazioni, quelle sacre relative alla vita del santo, quelle politiche relative alla nascita del comune e quelle profane rappresentate dai mesi e dai mestieri collegati. Dodici mesi che riprendono i dodici settori della ruota della fortuna e riprendono anche la rotazione e la ripetizione di un ciclo, i mesi e le stagioni che indefinitamente si susseguono. È la parte didattica rivolta al popolo che non sa leggere, ripetuta più volte nella architettura della basilica.
Gli altorilievi ai lati del protiro
Ai lati del protiro e del portale ci sono 18 altorilievi risalenti al XII secolo. A sinistra quelli del maestro Guglielmo e a destra quelli del maestro Nicolò. Sono soggetti sacri tratti dal Nuovo e Antico Testamento e profani con al centro Teodorico il Grande in uno il duello fra Teodorico ed Odoacre e in un altro Teodorico all’inseguimento del cervo, che rappresenta il demonio della Leggenda di Teodorico.
Le storie vanno lette dal basso in alto. Guglielmo a sinistra curò temi esclusivamente religiosi. Dall’alto, a coppie si ha: la mano di Dio e l’agnello, poi, il tradimento di Giuda e la crocifissione, indi, la fuga in Egitto e il battesimo di Gesù, ed infine, i Magi, la presentazione al tempio, l’avviso a Giuseppe, il presepio, la visitazione e l’annunciazione.
Niccolò, in basso mette re Teodorico a cavallo e il cervo che lo guida all’inferno, forse da questi altorilievi il Carducci trovò l’ispirazione. Sopra si torna all’Antico Testamento ed in particolare alla Genesi: Dio crea gli animali, Adamo, Eva; il peccato originale, la cacciata dal paradiso terrestre e la condanna al lavoro. Sopra fra le cariatidi, un leone e un ariete, un centauro e un cane musicisti che suonano.[4]
Il portale con 24 formelle bronzee
Il portale della chiesa, oramai chiuso per motivi di sicurezza, è decorato con 24 formelle quadrate bronzee per ogni anta della porta. Le formelle sono legate fra di loro da cornici di bronzo. Oltre alle formelle regolari, ve ne sono di minori su entrambe le parti della porta. A destra ve ne sono sette rettangolari che rappresentano probabilmente santi e figure storiche, l’attribuzione non è certa per tutti: san Pietro, san Paolo, san Zeno, sant’Elena, Matilde di Canossa, il suo sposo Goffredo e lo scultore.
Matilde ed il marito sono rappresentati per le donazioni all’abbazia, ed è curiosa la presenza di un autoritratto di chi le fece. A sinistra le formelle minori sono diverse: tre vengono chiamate gli Imperatori e tre rappresentano le tre virtù teologali: la fede, la carità e la speranza. Sulla base otto piccole formelle riprendono un tema caro a chi ha eretto la basilica: la musica. Questa volta sono dei re suonatori con degli strumenti in mano.
Le formelle non appartengono alla stessa epoca storica. Le prime sono di origine tedesca, probabilmente fuse in Sassonia. Hanno un forte collegamento con le analoghe del duomo tedesco dell’XI secolo di Hildesheim (Hidelsheimer Dom, Duomo di Hildesheim). I monaci benedettini dell’abbazia erano in quel momento tedeschi. Altre appartengono alla scuola veronese ed opera di almeno due scultori: i miracoli di San Zeno e l’Antico Testamento. Lo stile li avvicina alla scuola veronese e vengono citati come esempi Benedetto Antelami, Niccolò (scultore) e Guglielmo; gli ultimi due autori del protiro. Nel momento dell’allargamento della facciata le formelle furono rimontate in forma casuale, perdendo il filo logico che le univa.
Da parte di molti studiosi viene data una patente di unicità alla struttura del portale, una complessità ripetuta poche volte in altri luoghi di culto. Ancora al centro di discussione è l’epoca a cui far risalire il portale in formelle bronzee della chiesa romanica di San Zeno Maggiore (o fuori le mura) di Verona.
Ritenute da alcuni risalenti all’XI secolo, prevale oggi l’ipotesi sostenuta da W. Neumann che vadano datate verso il 1118 e comunque in epoca tardo-wiligelmica delle cui precedenti opere conservano qualcosa dello spirito e dello stile, come il gruppo della verità e della frode nel Duomo di Modena.
Comunque il termine temporale finale per la loro esecuzione deve essere necessariamente anteriore al 1150, in considerazione del fatto che in quella data nei cantieri di Magdeburgo in Sassonia, vengono fuse le porte di bronzo di Novgorod, chiaramente derivate da quelle veronesi, e che Nicholaus concepì il portale maggiore di San Zeno adattandosi sin dal principio alle preziose porte di bronzo che con le loro misure determinarono quelle del timpano e del protiro.
Attualmente il portale misura m.4,80 x 3,60 ed è il probabile adattamento del precedente portale, più ridotto, dell’anteriore prospetto romanico. Si pensa che quello presentasse minori elementi ornamentali: quattro file verticali di sette formelle ciascuna che furono utilizzate nel contesto del nuovo battente (vedi quanto relativo alla formella del miracolo del carrettiere) anche se ciò ha portato ad un evidente disordine sia dal punto di vista iconologico che dal puro e semplice accostamento estetico dei vari pezzi.
Le due ante del portone ligneo, di abete rosso, restaurate nel corso degli anni’80, sono rivestite con 48 formelle quadrangolari. 24 sono chiodate sull’anta sinistra, a cui si aggiungono 17 altre formelline quadrangolari di circa cm 16 x 16 raffiguranti re incoronati, di cui due, trafugate nel 1909, furono conservate per molti anni al Kaiser Friedrich Museum di Berlino ma poi andate distrutte durante un bombardamento aereo. Di esse ci restano le riproduzioni, raffiguranti due re. 24 formelle maggiori sono chiodate nell’anta destra, a cui si aggiungono altre 7 formelle rettangolari. In origine probabilmente queste ultime erano di più.
Le formelle di dimensione maggiore sono perimetrate da un fregio di listelli a traforo che negli incroci è “legato” da una ventina di mascherine raffiguranti volti umani od animali ed otto figure di re ed è incompleto in alcuni punti.
Seguendo all’incirca il ritmo della trilogia, le formelle maggiori narrano storie dell’Antico (20 pezzi) e Nuovo Testamento (20 formelle) e quattro storie di San Zeno, cui vanno aggiunti un San Michele e due protome leonine che reggevano anticamente il battente; le minori, rettangolari, raffigurano santi tra cui San Zeno stesso ed un lapicida o scultore. Le opere, la cui autografia è da lungo tempo dibattuta dagli studiosi e che il Maffei definì “fantocci strani di maniera affatto barbara” ed il Venturi “il regno delle scimmie”, sono per alcuni di quattro diverse mani, “maestri” o “lavoranti” che definirli si voglia. Per quelle relative alla vita del santo si è avanzato il nome di Brioloto[5], ma più genericamente si parla di un anonimo “terzo maestro”.
Certo son proprio queste le più “moderne” in senso gotico e quelle che in qualche spunto hanno maggior efficacia icastica[6]; per altri appartengono genericamente ad una “prima officina” affine ai modi dei primi del XII secolo e ad una “seconda officina” della fine del XII, inizi XII secolo.
Secondo il Puppi, le quattro storie di san Zeno rivelano una particolare fisionomia stilistica “attribuibile ad una distinta personalità rispetto agli autori delle altre formelle, riferibili ad un divulgatore dei modi di Benedetto Antelami attivo al Battistero di Parma” .
Seguendo l’agiografia di Coronato, i riquadri rappresentano: il miracolo del carrettiere salvato dalle acque, San Zeno che pesca e accoglie i messi del re, San Zeno che libera l’ossessa dal demonio, Gallieno che offre al Santo la sua corona. La storia del carrettiere, mancante di una grossa porzione sul lato destro, ha fatto avanzare al Mellini l’ipotesi di una doppia trilogia delle storie, di cui in origine questa sarebbe stata parte. Probabilmente la sezione mancante doveva raffigurare il demonio. Per una forma di “esorcismo“, all’epoca non infrequente, la formella fu subito vandalizzata e la figura malefica eliminata. Non essendo praticabile la mera sostituzione di essa in quanto anche la nuova formella probabilmente avrebbe subito la medesima sorte, quella fu accantonata e sostituita con una con nuovo soggetto. Si sarebbero avute così nel tempo due serie di tre elementi ciascuna: una prima, comprendente San Zeno pescatore, il miracolo del carrettiere e dell’ossessa; una seconda in cui il miracolo del carrettiere è sostituito dalla formella con Gallieno che offre la corona al santo. Comunque attualmente quell'”avanzo” è collocato al centro del secondo trittico partendo dal basso sul battente di destra, contestualmente alle altre tre storie. Esso rappresenta il carrettiere che cerca di trattenere i buoi, già entrati in acqua, aggrappandosi alla coda di quello alla sua destra, urlante ed agitante un lungo bastone mentre il carro già ha perso due ruote.
Di qualche interesse è il fatto che l’episodio di Nabucodonosor II che condanna i fanciulli alla fornace, opera di un anonimo “primo maestro”; è riportato proprio nella formella a fianco di quella del carrettiere e quindi naturale “pendant” delle storie del santo se si ricorda che tale episodio è usato quale premessa al miracolo della chiesa risparmiata dalla piena narrato da papa Gregorio I.
Sullo stesso registro, a destra di quest’opera, è la formella cronologicamente conclusiva del ciclo, rappresentante il dono della corona. Gallieno, con gesto reverente, offre la sua corona al vescovo mitrato che con la destra regge il bastone pastorale e con la sinistra accenna ad un gesto di meraviglia, di ricusazione o di benedizione. In essa è visibile la traccia di un “pentimento”: il re offre la corona con la mano destra, che ha però la morfologia della sinistra, forse frutto di un successivo “girarsi” del personaggio rispetto alla scena di prima ideazione. Immediatamente sopra, è la formella rappresentante l’episodio della figlia dell’imperatore.
La scena si svolge sotto un arco sostenuto da due colonne ed in essa ricorrono tutti i motivi iconografici fin qui più volte visti circa l’ossessione e l’esorcismo: la donna, il cui corpo traspare dalle pieghe delle vesti, torce ad arco verso il santo l’addome, la testa volta all’indietro, mentre un diavoletto antropomorfizzato, con lunga barba terminante in tre punte, con corna e lunga coda che gli si attorciglia tre volte intorno alla gamba destra che termina con uno zoccolo, le esce dalla bocca e sembra fuggire verso l’alto. Un personaggio tonsurato in tonaca e sotto-veste, probabilmente un religioso, trattiene con la destra il moto ossessivo e con la sinistra regge la testa rivolta all’indietro dell’indemoniata. Anche il santo la trattiene, spingendo verso il basso il suo braccio che pare irrigidito mentre con la destra la benedice con indice e medio congiunti. La decorazione del manto del santo è data da un motivo che sembra voler essere fatto a stelle. I più recenti restauri, dopo la pulitura hanno evidenziato coloriture celesti nel fondale. La presenza di tracce di colore in altre formelle, testimonia che in origine le formelle bronzee erano colorate, per cui l’aspetto originario del portale non è quello che appare oggi.
Immediatamente a sinistra di questa scena è la formella col santo intento a pescare in riva all’Adige. San Zeno indossa una semplice tonaca, ampiamente descritta nel drappeggio della parte inferiore, seduto su una sorta di scanno semicircolare. L’autore dell’opera cerca anche di dare l’illusionismo dei pesci rifratti nell’acqua. Schiacciati sullo sfondo, quasi a voler dare la sensazione di un’altra riva, due personaggi, uno visto di fronte, l’altro a tre quarti, osservano il santo con le mani conserte. Un calderone pieno di pesci pende, al centro della formella, da un ipotetico ramo.
La terza delle formelle rettangolari partendo dall’alto, sotto quella raffigurante San Paolo, sulla porta di destra, raffigura, sotto un arco colonnato, San Zeno barbuto, in abito vescovile che con la destra benedice stendendo le prime tre dita e con la sinistra regge il bastone pastorale.
Il frontone
Il frontone segna esternamente alla chiesa la sommità della navata centrale. Il frontone triangolare è di marmo bianco. Questo marmo crea un contrasto con il resto della facciata della chiesa fatta in tufo, pietra e percorso centralmente da sette lesene in marmo rosa.
Max Ongaro nel 1905 scoprì graffiti sul timpano relativi ad un grande Giudizio Universale. Lo riprodusse in calco e lo illustrò sul “Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione”. L’opera del Brioloto e di Adamino da San Giorgio è una delle più importanti ed antiche rappresentazioni veronesi del Giudizio Universale.
L’opera aveva al centro il Cristo in trono con a fianco due angeli, da Maria e da san Giovanni evangelista. Al di sotto gli Apostoli e ai lati gli eletti ed i reprobi. Dalla parte degli eletti Abramo li tiene in grembo, degli angeli portano in cielo un re, un vescovo e due santi e i morti si alzano dalle tombe al suono delle trombe angeliche.
Dalla parte dei dannati gli angeli li cacciano con la spada e suonano trombe di giustizia. Fra i dannati un vescovo, un re e una donna. Cinque donne li seguono ed una di esse tira la barba al diavolo. Sullo sfondo le fiamme ardono i dannati e un diavolo li punisce.
L’interno
Com’è d’uso nelle chiese romaniche, l’interno della chiesa è posto su tre livelli di altezza, dal basso: la Cripta (una vera e propria chiesa nella chiesa), la parte centrale (detta anche chiesa plebana) e il Presbiterio (la parte contenente l’altare maggiore).
La cripta
La cripta è del X secolo, dal 921 il corpo del santo è custodito in un sarcofago a vista con il volto coperto da una maschera d’argento. È una chiesa completa all’interno della basilica. Ha una struttura particolare, è suddivisa in nove navate con gli archi sostenuti da ben 49 colonne, che hanno la particolarità di avere tutti capitelli differenti.
Qui, secondo la tradizione, si sposarono Romeo e Giulietta, nella celebre opera di Shakespeare.
Adamino da San Giorgio, scultore locale, nel 1225 scolpì sugli archi di accesso decorazioni basate su soggetti non religiosi: animali fantastici e mostruosi. La cripta fu ristrutturata nel XIII secolo e XVI secolo.
Parte centrale
La parte centrale detta anche “chiesa plebana” è a tre navate, longitudinali. Le navate sono delimitate da possenti pilastri con sezione a forma di croce in alternanza a colonne sormontate da capitelli con motivo zoomorfo e capitelli corinzispesso recuperati da edifici romani preesistenti. Il soffitto è ligneo e carenato ed è datato XIV secolo.
Fra la parte centrale e il presbiterio vi sono numerose opere d’arte pittoriche, dal XIII al XVI secolo e sculture dal XII al XIV secolo. Fra le altre una croce stazionale di Lorenzo Veneziano, la coppa di porfido che faceva parte delle terme romane della città alle quali è legata una leggenda, il battistero di marmo ottagonale del XIII secolo, la Pala della Madonna e Santi di Francesco Torbido, l’affresco del XIII secolo di San Cristoforo.
Presbiterio
Il presbiterio è soprelevato rispetto al piano basilicale, ed è raggiungibile tramite due scalinate poste nelle navate laterali.
Sull’altare maggiore vi è il sarcofago di San Lupicino, San Lucillo e San Crescenziano tutti e tre vescovi veronesi. A sinistra dell’abside sopra l’entrata della sagrestia troviamo un dipinto della scuola di Altichiero[7], la Crocifissione, e nella piccola abside di sinistra la statua in marmo rosso e colorato che ritrae il patrono detta il “San Zen che ride“, eseguita da un anonimo del XII secolo, che rappresenta probabilmente l’icona più importante dei veronesi. Alla destra della porta della sacrestia vi è un pannello votivo raffigurante San Zeno che presenta gli offerenti alla Madre di Dio, del XIV secolo.
L’opera più importante del Presbiterio è la pala di Andrea Mantegna, considerato un capolavoro della pittura del Rinascimento italiano. Il soggetto del polittico è nel trittico superiore la Madonna con Bambino e santi e nella predellascene della vita di Gesù. Il polittico fu portato via dai francesi di Napoleone nel 1797. Fu recuperata la parte superiore dopo anni, mentre la predella rimase in Francia ed oggi quella che si vede in loco è una copia, opera di Paolino Caliari, discendente di Paolo Veronese.
Altri interni
Le altre parti interne facevano parte dell’Abbazia in parte distrutta. Si ricorda il chiostro, che al suo interno contiene una edicola e il Sacello di San Benedetto. Le linee diagonali che si intersecano sul prato del chiostro rappresentano i quattro fiumi del Paradiso (ricordati anche nella Torah e nel Corano).[8]
La parte esterna, il campanile e San Procolo
Il campanile
Il campanile è staccato dalla chiesa. La torre campanaria è alta 62 metri. I lavori di costruzione e restauri iniziarono nel 1045 con l’abate Alberico e finirono nel 1173con il “maestro Martino” anche se è certo che vi fosse una torre campanaria precedente, edificata nei secoli VIII-IX. Un lungo lavoro interrotto dal terremoto del 1117 con il restauro seguente del 1120. Il campanile riprende lo stile della chiesa, sopra la zoccolatura alterna fasce di tufo e cotto che ne dona la sua bicromia.
Vista l’altezza, è diviso in 5 piani da cornici ad archetti di tufo ed ha un doppio ordine di trifore. La cuspide svetta sulla cima del campanile ed ha quattro pinnacoli angolari. È decorato all’esterno da sculture romane.
Già nel 1498 ospitava 6 campane (per approfondire si veda Campane alla veronese). La più grande, fusa nel 1423, sfiora la tonnellata di peso ed emette la nota Sol bemolle: ha un diametro di oltre un metro. Le altre, in accordo frigio sono degli anni 1423, 1498, 1067 e 1149 ma queste ultime due sono state rifatte nel 1755. La più antica è ottagonale e, nel 2005, è stata datata da un gruppo di esperti austriaci, tedeschi ed italiani, risalente ai secoli VIII-X: ciò ne farebbe una fra le più antiche campane esistenti. Aveva una funzione particolare: veniva suonata in occasione dei temporali ed è esposta benché ancora perfettamente funzionante.
La chiesa di San Procolo
San Procolo fu il quarto vescovo di Verona. La chiesa a lui dedicata ne conserva le sue spoglie. La prima erezione fu del periodo paleocristiano V o VI secolo all’interno della necropoli pagano-cristiana lungo la via Gallica.
Altre immagini
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Dettaglio di un bassorilievo, raffigurante la Creazione di Adamo